“Spetta a noi, tutti insieme, vigilare
perché la nostra società sia una società di cui andare fieri”
Stéphane Hesse
§
Si resta impigliati dalla commozione. Si
resiste ancora commosse ma fino ad un punto delimitato perché altri
sentimenti ti invadono e la ragione identifica quello che stai
ascoltando in un sentimento d’indignazione. Sentire il racconto della
verità dei funerali di Stato a Lampedusa, ad esempio, t’indigna; I
funerali hanno aggiunto dolore su dolore ai familiari degli annegati ,
lasciati senza pace né salme, travolti dall’umiliante visione delle
autorità africane invitate “sul palco”, quelle stesse autorità che
qualcuno dimentica così spesso di chiamare tiranniche per questioni di
interesse nazionale”. E chi ha raccontato a Bologna è somalo, è
eritreo, conosce quel viaggio che ha causato i lutti, e tu ti interroghi
sulle parole che altri hanno presentato sui mass media e ti (ri)chiedi:
“ma davvero noi abbiamo gli stessi “interessi” con chi costringe a
vivere il proprio popolo in una prigione perenne di paura e di fame? E
perché dicono che tutto il Paese era rappresentato da quelle autorità
che stringevano le mani e davano solidarietà a quelle autorità che hanno
costruito il destino di fuga e morte dei trecento affogati a
Lampedusa? Ma sono responsabile anch’io delle leggi che spaventano i
marinai siciliani dal salvare i migranti che affondano nelle carcasse
delle navi più vecchie del Mediterraneo?”
No, non lo sono, questo non è il presente
che voglio vivere, è un presente che deve essere cambiato. Non è
interesse della nazione, è amnesia generale del rispetto dei valori
umani. Il giorno dopo Bologna, sotto l’elegantissimo porticato del
cuore di Modena, nella domenica del week end dei morti, sto ascoltando
altre storie insieme ai poeti che hanno voluto dare voce all’altro
presente, quello consolante e soprattutto libero che può
diventare futuro, sebbene come nota di colore a margine (a proposito di
voci) ogni quarto d’ora le nostre voci si sovrappongono allo scampanio
fortissimo del Duomo.
C’è ancora commozione fortissima quando
si leggono i versi della giovane poetessa Warsan Shire, nata in Kenya da
genitori somali. “Dovete capire\che nessuno mette i figli su una
barca\a meno che l’acqua non sia più sicura della terra”. Cosa sia avere
sotto gli occhi ogni giorno il genocidio del futuro di altri popoli,
così vicini a noi, e lasciarlo in mano alla paura, in questo Paese da
milioni di abitanti di che una volta andavano sui bastimenti e l’hanno
dimenticato. I versi della Shire li legge Pina Piccolo; li ha tradotti
dall’inglese ma nonostante li conosca bene è emozionantissima quando
alzando ancora di più la voce arriva ai versi “le parole\gli sguardi
storti\ come fai a scrollarteli di dosso? \ forse perché il colpo è meno
duro\che un arto divelto\ o le parole sono più tenere\che quattordici
uomini tra le cosce\ o gli insulti sono più facili\ da mandare giù\che
le macerie \ che le ossa\che il corpo di tuo figlio\ fatto a pezzi”.
Anche gli altri poeti, quelli che sono da
circa due ore a leggere in tre gruppi nel portico, sono in ascolto.
Sono versi potentemente semplici, senza complicate impalcature metriche
perse o sperse in canoni egotici per il godimento del lamento del
proprio ombelico innamorato. C’è la vita dentro. Quella vita e quel
dolore. Anche le altre poesie che da due ore i poeti stanno leggendo
sono apportatrici di verità. Le poesie, tutte, anche quella della
giovane Shire sono distribuite in fotocopie su due tavolini, così quelli
che vogliono prenderle e portarle a casa non hanno che da allungare la
mano. Le poesie del Contenitore Lampedusa, dedicate ai morti per
respingimento nel mare di Lampedusa sono anche scaricabili gratuitamente
dal sito Glob011, ma più si diffondono meglio è. Sono state loro, le
poesie, a creare i due giorni emiliani. I poeti dei 100thousand for
change ma non solo loro, hanno creduto che “restare” commossi fosse
necessario per cambiare, per trasformare questo presente in futuro, e
per me, ottimista di natura, l’atto del cambiare è solo nel “cambiare
in meglio”.
E’una scelta di campo, con i mezzi che
ognuno ha. I poeti hanno la poesia, una via naturale è quella di
permettere alla poesia di esercitare ora ed ancora ora un impegno
civile, perché le voci dei poeti restituiscono la vita, non l’accidia.
L’accidia è un modo di agire metabolizzato da parte dell’italiano
qualunquista, questo, quello di liberarsi dalle voci dell’indignazione e
della commozione lasciando agli altri la forma per costruire il futuro
che alla fin fine liberi i mari dai fantasmi dei morti. Il futuro
possibile siamo noi stessi e noi stessi ne siamo responsabili come
individui, invece (parafrasando Sartre). Gli accadimenti di Lampedusa
sono il passato? I morti in fondo al mare nella carcassa di una scafo
sepolti sotto gli occhi televisivi da un funerale che teneva fuori il
dolore degli affetti dei familiari in nome del gran pavese di Stato sono
il passato? Quanto tempo è passato? Un mese? Un viaggio?
*
Casadi Warsan Shire
(Traduzione di Pina Piccolo)
Nessuno lascia la propria casa a meno che
casa sua non sia la bocca di uno squalo
verso il confine ci corri solo
quando vedi tutta la città in fuga
i tuoi vicini che corrono più veloci di te
in gola il fiato insanguinato
il tuo ex-compagno di classe
quello che ti ha baciato fino a farti girare la testa dietro alla fabbrica di lattine
ora tiene nella mano una pistola più grande del suo corpo
lasci casa tua
quando è proprio lei a non permetterti più di starci.
nessuno lascia casa sua a meno che non sia proprio lei a scacciarlo
fuoco sotto ai piedi
sangue che ti bolle nella pancia
non ti sarebbe mai saltato in testa di farlo
se non fosse per la lama che ti stampa minacce incandescenti
sul collo
e nonostante tutto continui a canticchiare l’inno nazionale
sottotono
e solo dopo aver strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando ad ogni boccone di carta
ti risulta chiaro il fatto che non ci tornerai.
dovete capire
che nessuno mette i figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno va a bruciarsi i palmi delle mani
sotto i treni
sotto i vagoni
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un tir
nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse
abbiano un significato diverso da un qualsiasi altro viaggio.
nessuno striscia sotto ai recinti
nessuno vuole essere picchiato
commiserato
nessuno se li sceglie i campi profughi
o le perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo pieno di dolori
o il carcere,
perché il carcere è più sicuro
di una città che arde
e un secondino
nella notte
è meglio di un carico
di uomini che assomigliano a tuo padre
nessuno ce la può fare
nessuno lo può sopportare
nessuna pelle può resistere a tanto
Il
Tornatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani tese
hanno un odore strano
selvaggio
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro
le parole
gli sguardi storti
come fai a scrollarteli di dosso?
forse perché il colpo è meno duro
che un arto divelto
o le parole sono più tenere
che quattordici uomini tra
le cosce
o gli insulti sono più facili
da mandare giù
che le macerie
che le ossa
che il corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.
a casa ci voglio tornare,
ma casa mia è la bocca di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare casa sua
a meno che non sia stata lei a inseguirlo fino all’ultima sponda
a meno che casa tua non ti abbia detto
affretta il passo
lasciati stare i tuoi stracci
striscia nel deserto
sguazza negli oceani
annega
salvati
fatti fame
chiedi l’elemosina
dimentica la tua dignità
la tua sopravvivenza è più importante
Nessuno lascia casa sua se non quando essa diventa una voce sudaticcia
che ti mormora nell’orecchio
Vattene,
scappatene da me adesso
non so cosa io sia diventata
ma so che qualsiasi altro posto
è più sicuro che qui.
- Warsan Shire -
Da: http://viadellebelledonne.wordpress.com/
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