Lettere e documenti
finora inediti gettano nuova luce sul lato “oscuro” della vita di
Arthur Rimbaud che, abbandonata la poesia e l'Europa, diventa
trafficante di armi (e forse di schiavi) nel Corno d'Africa.
Felice Piemontese
La parabola
di Rimbaud
Quello che riguarda
Arthur Rimbaud è, con ogni probabilità, il più affascinante
mistero di tutta la storia letteraria. Come sia stato possibile,
cioè, che alcuni dei versi più belli e complessi della poesia
francese, e universale, siano stati scritti da un ragazzo non ancora
ventenne, che poi ha interrotto per sempre ogni attività letteraria,
riducendosi a fare il mercante all’altro capo del mondo.
Un mistero sul quale si
sono interrogati storici e critici della letteratura, psichiatri e
psicoanalisti, testimoni e compagni d’avventura, senza che nessuna
delle risposte che hanno dato appaia soddisfacente. A riproporre la
questione, ecco ora la pubblicazione, per Nino Aragno, di due
volumoni di corrispondenza, curati da Vito Sorbello, col titolo Non
sono venuto qui per essere felice (pp. 920, euro 50,00).
Naturalmente, la corrispondenza rimbaudiana è ampiamente nota agli studiosi. Sia l’edizione della Pléiade italiana che quella dei Meridiani delle Opere le riservano ampio spazio. La caratteristica del lavoro di Sorbello (cui dobbiamo, tra l’altro, la pubblicazione integrale del Journal dei fratelli Goncourt) è di pubblicare non solo tutte le lettere scritte da Rimbaud e arrivate fino a noi (alcune ritrovate abbastanza di recente) e quelle a lui indirizzate, ma anche documenti di cui il poeta non è né il destinatario né il firmatario ma che fanno luce su episodi e circostanze della sua vita.
E insieme a documenti di
varia natura - articoli di rivista, annunci di giornale, rapporti di
polizia, atti giudiziari, dichiarazioni di confidenti - «che
ricostruiscono il fondale storico in cui si svolse l’avventura
esistenziale e artistica di Rimbaud».
Un’avventura che si svolge sotto i nostri occhi increduli, nonostante i tanti libri letti, le biografie, le ricostruzioni più o meno romanzesche. Ecco il ragazzino quindicenne che chiede disperatamente libri che lo aiutino a uscire dalla soffocante atmosfera provinciale, e quello appena un po’ più grande che scrive parole destinate a incidere profondamente sull’idea stessa di letteratura («lavoro a rendermi Veggente», «si tratta di arrivare all’ignoto mediante lo sregolamento di tutti i sensi»).
Ecco l’arrivo a
Parigi (dopo i fermi per vagabondaggio e accattonaggio) con l’effetto
di una bomba sui compassati poeti dei circoli letterari «perbene».
Su uno in particolare, Paul Verlaine, che abbandonerà moglie e
figlio per imbarcarsi nel più folle dei rapporti, tra Londra e
Bruxelles, fame e grandi bevute, litigi furibondi e improvvise
rappacificazioni, minacce di suicidio, fino ai colpi di pistola
esplosi contro il giovanissimo amico e la prigione, comprensiva di
degradanti esami corporali (va ricordato in proposito il recente Una
sconosciuta moralità di Giuseppe Marcenaro).
Manca poco al più
sorprendente degli sviluppi. Se non si può «cambiare la vita»
(dopo Rimbaud motto di tutti i movimenti d’avanguardia dell’ultimo
secolo) si può sempre cambiar vita, dice Sorbello, e non si può
immaginare cambiamento più radicale di quello che Rimbaud apporta
alla propria esistenza. Diventa viaggiatore - l’elenco dei posti in
cui è stato occupa una pagina - prima di trasformarsi in mercante,
in luoghi che ancora adesso sono tra i più remoti e «difficili »
che si possano immaginare: Aden, l’Abissinia.
Mercante di caffè, di spezie, di fucili, di qualunque cosa si possa commerciare. E non solo non scriverà più un verso, ma sembrerà aver rimosso completamente quel se stesso poeta, cui non dedicherà mai nemmeno il più piccolo cenno nella corrispondenza con i familiari, fitta di conti, di richieste di manuali pratici, di lagnanze («non stupitevi se scrivo poco: il motivo principale è che non trovo mai niente da dire. Che volete che vi si scriva da posti simili? Che ci si annoia, che ci si scoccia, che ci si abbrutisce, che se ne ha abbastanza ma non si può finire»…)
La cosa paradossale è che mentre Rimbaud in Africa porta fino alle estreme conseguenze il suo processo di trasformazione in avido mercante deciso a non farsi sopraffare dai suoi occasionali compagni d’avventura, nella lontana Europa il suo mito comincia a svilupparsi e a crescere, grazie anche al mistero che ne circonda la scomparsa. Qualche lettera riguardante la sua poesia, che nonostante tutto lo raggiunge, rimane senza risposta e tutti lo credono morto. Morirà davvero, a37 anni, dopo un drammatico ritorno in Europa, indifferente al fatto di essere considerato, con Baudelaire, il massimo poeta dell’800 francese.
l’Unità – 8 giugno
2014
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