La lezione di Mario
di Giacomo Giubilini
È stato Malcom X (L’ultima battaglia, Discorsi inediti,
Manifestolibri), che piaccia o meno, a tematizzare per primo le due
tipologie di nero secondo i bianchi: il primo è riportabile alla figura
della Zio Tom, un nero di casa, urbano, sedato e a cuccia, tipico nero
igienico dello schiavismo, che vive accanto al padrone. Per lui la
sofferenza del padrone è la sua e se la casa del padrone prende fuoco
lui è il primo che si tuffa tra le fiamme per spegnere l’incendio.
Dall’altra parte c’è invece il nero della campagna, lo schiavo ” e
quando la casa del padrone prendeva fuoco i negri della campagna
pregavano perché la brezza diventasse un vento impetuoso”.
Il razzismo del popolo italiano non è
sindacabile, è assoluto, storico, radicato e indelebile e non trova una
mitigazione formale in un apparato di leggi moderne. Ma ciò che lo rende
davvero farsesco, dal punto di vista culturale, è la sua versione più
inconsapevole e sofisticata, ovvero quella liberal, “colta”, inclusiva a
chiacchiere. Un popolo che rinnega sempre se stesso in un’ansia
patologica di assolversi lo faceva almeno per una saggezza da portinaio,
sentirsi brava gente, quando non assecondava la sua natura triviale con
leggi razziali e tiranni da tragedia in farsa. L’italiano istruito e
liberal invece vuole partecipare ad un impeto di distensione buonista
in cui i diversi sono presenti ma come leve su cui attivare piagnistei ,
litanie mediatiche, carriere politiche. L’italiano brava gente si è
trasformato nell’italiano bravo esegeta del possibile. Sempre goloso di
novità , nuove frontiere, grandi speranze, compiaciuto abitatore di
un’abulia che lo faccia sentire però centrale nelle teoria. A livello
politico , cioè i diritti e i doveri, tutto ciò non ha portato a nulla.
Balotelli infatti, ed è questa l’unica verità che conta davvero, è
diventato italiano solo a diciotto anni pur essendo nato qui.
I mille sofisticati distinguo servono
solo , quando va bene, alla coltivazione della stasi di un fantasma, la
nostra patetica sinistra, che ha logorato la sua ombra. Lo straniero,
se arriva, è recluso in un purgatorio di sbarre detentive ma “inclusive
“: centri di prima accoglienza li chiamano i liberal, che li hanno
anche creati. L’italiano medio, omofobico e cattolico ma se minimamente
istruito quasi sempre anche di sinistra, si racconta sempre più come
“pieno di amici gay”. E tutto si regge fino a quando lo straniero e il
gay e gli altri esclusi, come ad esempio le coppie di fatto, non
insistano troppo a voler essere riconosciute esattamente per quello che
sono e cioè il fatto che loro siamo noi.
Le prassi di inclusione sono accettate
solo se mediatiche, solo se farsesche e carnevalesche, conturbanti
nemmeno più per il provinciale che fa il militare a Bracciano ma innocue
ed estemporanee per la Roma porto delle nebbie. Così ecco un gay pride
con esposizione annuale del bestiario ridicolo e fanfarone, ecco il
Mucca Assassina rifugio danzante per sonnambuli etero ed ecco una
petulante Vladimir, prima deputato e poi commentatore del Grande
Fratello. Tutto per non fare nulla. Un popolo del genere come include il
nero centravanti? Come può renderlo diversamente bianco?
Balotelli, che è sempre incazzato, fa
saltare tutti i piani igienisti e pedagogici di questa ipocrisia
collettiva: non è lo Zio Tom, non vuole esserlo, non ha accettato la
parte in commedia. E’ rimasto addirittura se stesso. Nel momento della
tragedia allora, l’eliminazione, quel popolo che dice di averlo sempre
amato perché è un popolo ”da sempre amico dei negri”, lo usa come capro
espiatorio. I senatori, tra cui uno che a diciassette anni era un
nazista e uno che fino a due anni fa era un alcolizzato, dettano la
legge dell’assurdo: non vogliamo figurine panini, vogliamo uomini veri,
cioè non ci vogliamo. Svuotato della sua fecondità imposta dai media,
essere il nero vendibile perché redimibile, il nero educato, il nero che
usa le posate, il nero Zio Tom adatto al patetico paternalismo di un
mister da “codice etico”, Balotelli è rimasto invece quello che è: un
ottimo calciatore, un carattere sulla difensiva e non un campione
assoluto. Non funziona in questa elegia auspicata la parte conclusiva
del lavacro collettivo e cioè il finale auspicato: il campione
ritrovato, l’eroe italiano anche se nero, il futuro sposo sul carro del
trionfo familista e di sinistra. Peppone, Don Camillo e Rocky virati ad
Obama. Nella sua ultima provocazione, la cresta bionda, Balotelli
invece ricorda esattamente la tragedia di Manfredi in Pane e cioccolata: biondo per non sentirsi straniero, biondo per tifare una nazionale non sua, biondo per essere amato.
29 giugno 2014 |
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