La storia di SEL
sembra arrivata al capolinea. Verrebbero in mente facili battute sui
30 denari e gli 80 euro, meglio lasciar perdere. Più utile ragionare
sui motivi della parabola discendente di un partito nato per
rinnovare in profondità la politica della sinistra e finito nella
fuga verso poltrone e prebende mascherata (come da tradizione) da
ricomposizione del campo “riformatore”. Quanto ha pesato in
questo rapido declino l'assenza di un programma e di un lavoro di
costruzione dal basso, sostituiti entrambi dal vuoto affabulatorio
della “narrazione” vendoliana e dall'immagine salvifica del
leader? Crediamo molto. Un progetto fragile che non ha retto quando
il gioco si è fatto davvero duro e i duri (quelli veri) hanno cominciato a giocare.
Insomma, Vendola come un vecchio e sfiatato comico d'avanspettacolo
costretto a lasciare la scena e gli applausi alla giovane e
trionfante nuova star Renzi.
Stefano Folli
Dal debole
antagonismo di Vendola alla sinistra «renziana» di governo
Va rispettato il
«profondo dolore» di Nichi Vendola, ma la vera causa della sua
amarezza non può essere l'addio di Gennaro Migliore e di altri tre
che hanno abbandonato Sinistra&Libertà. Il dolore di Vendola va
riferito alla chiusura di un ciclo. Perché di questo realmente si
tratta. Il capogruppo Migliore che se ne va è l'effetto, non la
causa della crisi. E se ci sono «errori politici», come pensa il
leader storico della sinistra ex antagonista, è un po' ingeneroso
attribuirli tutti agli scissionisti di oggi. Gli errori li hanno
commessi in tanti negli ultimi anni, a cominciare da Vendola stesso.
In fondo l'ambizione iniziale era generosa, nutrita di utopia, ma aveva un senso: creare una sorta di movimento "arcobaleno" alla sinistra del Partito Democratico in cui far confluire diversi filoni, ciascuno con le proprie delusioni e frustrazioni. Ecologisti e verdi di varie sfumature, ex comunisti (ma non tutti), pacifisti, una parte dei seguaci di Fausto Bertinotti, l'uomo che per anni aveva dato spessore e una prospettiva a quell'area politica e il cui abbandono aveva provocato, esso sì, uno strappo doloroso.
Tutto doveva essere filtrato e rigenerato dal leader Vendola con le sue qualità di affabulatore, padrone di un linguaggio forbito e narcisista, certo un po' fumoso. Si avvertiva un'ambiguità di fondo che partiva dal modo di comunicare e arrivava in un attimo alla linea politica. Pochi possono dire di aver capito con precisione cosa volesse Sel. Negli enti locali il partito vendoliano è stato ed è un partner del Pd in innumerevoli giunte. Ma sul piano nazionale è rimasto a metà strada. Né realmente antagonista né davvero determinato a far valere le sue proposte al tavolo del governo.
L'Italia cambiava, ma il leader sembrava prigioniero dei suoi schemi astratti, senza riuscire a dar voce a una classica sinistra «di classe» e tanto meno a una sinistra riformista. E il fatto che il caso dell'Ilva di Taranto sia esploso proprio nella Puglia di Vendola vuol dire qualcosa, anche sul piano simbolico. Si è accreditato il capo di Sel di un rapporto sotterraneo con Renzi, e magari sarà vero, ma i risultati non devono essere granché soddisfacenti, se si è arrivati alla spaccatura di ieri.
Ora Migliore e il gruppetto che lo segue, forse destinato a ingrossarsi nel tempo, tenteranno di costituire la sinistra del «renzismo». Non è importante se entreranno o meno nel Pd (probabilmente non lo faranno adesso), è interessante capire se riusciranno a occupare uno spazio politico che in effetti esiste. Perché se Renzi vuole essere una specie di Tony Blair all'italiana e quindi tende a rappresentare i ceti moderati, nonostante la presenza del Ncd di Alfano nel governo, è evidente che ci sono margini per un'ala sinistra che serva anche a coprire il "renzismo" su quel versante.
L'operazione può riuscire o forse no, vedremo. Quel che è certo, qualcosa si è messo in moto nel campo della sinistra. Soprattutto quella che un tempo vedeva se stessa come antagonista e oggi si è accorta che, almeno in questa fase storica, lo spazio si è ristretto: a meno di non andare sul terreno dei populismi, il cui sbocco però è a destra, come si vede nel caso Grillo-Farage. Il fenomeno Renzi è un'enorme calamita che attira a sé vecchi e nuovi soggetti, scompaginando gli schieramenti precostituiti. Di questa ondata Vendola è la vittima più recente, ma forse non l'ultima.
Il Sole 24Ore – 20
giugno 2014
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