16 giugno 2014

LA FIGURA DELLA NINFA NELLA MITOLOGIA GRECA CLASSICA





Istruzioni per la cattura della ninfa

di  Susanna Mati

La ninfa, fanciulla discinta, assoluta, ambrosiaca, desidera con tutta se stessa la giusta cattività: non credere di farle torto se ne tenti la cattura. Falla entrare nel labirinto, uomo demonico: la ninfa non invoca altra perdizione; falla accedere al dedalo, sollevala dalla moltitudine al ruolo dell’unica: ad Arianna. In particolare a marzo, mese apollineo, la stagione propizia la creatura a gettarsi con furia contro i meandri, a sbattere agli angoli, a procedere a capofitto; l’alta pressione le dà alla testa e le risveglia nostalgie di scenari promettenti, popolandole la mente d’immaginazioni di felicità. E se premurosamente le prepari la giusta esca, ella entrerà: né si vede ond’esca.
Sileni lascivi e satiri poco raccomandabili tentano la cattura della ninfa tramite rozze gabbie di giunchi o tranelli camuffati nel fogliame; sanno purtroppo che la ninfa, ignara d’ogni pericolo al mondo, va inevitabilmente a precipitarvisi – le reti e i lacci segnano ancora adesso le sue bianche caviglie. Ma tu non esser volgare né precipitoso; per prendere la ninfa, devi studiarne per mesi usi e costumi, vezzi e abitudini; è una creatura sensibilmente eccentrica e talmente misteriosa che nessuno ha ancora saputo stabilire con certezza la sua genealogia, se umana o divina (– però di sicuro la ninfa a un certo punto muore).
Sfrutta per prima cosa la sua ansiosa sete d’apprendere e d’abbeverarsi, d’accrescersi innaffiata d’acqua pura. Quando esce per andare alla fonte, la ninfa è ciliata e piena d’antenne; come il dorso d’una foglia, condensa l’umidità in gocce; curiosissima di tutto, tutto percepisce, di tutto sente e fa empatia, ma per quanto disponibile e affettuosa, una parte di lei sempre ristagna in una quiete privatissima, è cinta in una sfera oltremondana aldilà dei fenomeni, un mondo differente cui ella appartiene, consapevole, e nel quale soggiorna alienato il più malinconico lembo della sua anima – sopendole a volte del tutto la necessità idrica. La ninfa appare marziana, corre il rischio d’esser abitatrice di mondi trascorsi, anticaglia o ornamento; spesso viene retrocessa, scolora, sfasa in bianco e nero: si ripresenta grigiovestita, per metà impropria e per metà luttuosa, sempre fuori posto, non sapendo mai cosa fare di se stessa, né dove mettersi. Per questo si ficca dappertutto.
Oltre alla curiosità, anche la golosità della ninfa è leggendaria; per attirarla è dunque opportuno profittare del suo lato infantile di goduriosa innocenza. Questi i passi preliminari: si approntano numerose ciotoline di porcellana cinese, colme di latte e miele, frutti rossi, bacche purché dolcissime, e di lato una tazzina di thè verde; quindi si spargono nei luoghi presumibilmente frequentati dalla creatura. Le ciotole nettarine inviteranno l’ape-ninfa che, fingendo dapprima disattenzione, stringerà in seguito sempre più i suoi ignari svolazzi intorno al nettare; alla fine la ninfa si poserà circospetta, intingendovi svelta svelta un dito bianco; poi scapperà. Ma, ombrosa e indiscernibile tra le foglie delle cime, la vedrai sempre occhieggiare verso il suo eletto nutrimento paradivino; quando si sarà assicurata dell’assenza di trappole o di satiri, s’apparecchierà pimpante e sarà uno spettacolo osservarla mentre ingurgita i suoi dolcetti, acini d’uva fragola, microfrutti. La ninfa è una creatura ingorda e bulimica; propinale qualunque schifezza e, se è dolce, l’assorbe in sé e ne fa carni lattee e splendidi cuscinetti di adipe. A volte, quand’è depressa, s’ingurgita dalla disperazione interi favi e litri di latte e zucchero. Se si azzarda un assaggio, un morsetto alla sua pelle, la ninfa saprà di queste cose dolci (con ogni probabilità la ninfa stessa è commestibile).
La ninfa è acquatica e nuota come un pesce, gettandosi in bozzi di qualunque temperatura; dalle una pozza, uno stagno, uno specchio: la ninfa si tuffa nelle più gelide acque in un batter d’occhio. Esistono tuttavia anche ninfe domestiche delle soffitte, dei sottoscala, dei disimpegni, così come ninfe selvatiche degli anfratti e dei cretti ombrosi. La ninfa ama la pioggia e si procura sempre un vetro dietro al quale guardarla, ma teme l’umidità; conservala in un luogo caldo e asciutto, dove arrivi sempre un bagliore di sole, dato che la ninfa odia la luce artificiale. Ovunque vi sia interstizio vitale, s’infila la ninfa. Infiltrazione animante e sensitiva, la vitina e i fianchi larghi svicolano e sfilano in ogni intercapedine, frattura, cavità, animando ogni vacuo mortuum.
La ninfa è inviolabile per decreto divino e vergine perenne. Penetrante ma impenetrabile, la sempre-fanciulla apprezza serietà e costanza, e pian piano arriva a fidarsi, si affida. Le si possono far trovare doni di poco prezzo: un libricino, un mazzolino composto da papaveri, nontiscordardimé e topinambùr, una murrina di Murano, un girasole secco. Se le offri dei fiorellini di barena, la ninfa ci farà il miele. In sovrappiù, la ninfa è catalitica, spande pollini ed è un magnete catartico, provoca raggrumi e condensamenti, quando non disorientamenti inenarrabili o aperti sconquassi mentali. Stai vigile quando la ninfa s’appresta ad intrecciare triplici nodi in vesti, chiome o collanine: potresti non uscirne sano.
Ma (fai tesoro di questo consiglio) sopra ogni cosa la ninfa si lega tramite la parola. Scrivile un piccolo componimento senza pretese, in versi sciolti, endecasillabi imperfetti, non osare sestina o terza rima, sennò la ninfa ride. Usa solo parole semplici, anche quando nello scriverle ti si spezzano. Sii sempre attentissimo a quello che dici, e delicato: la ninfa è paventosa, presagisce, fibrilla, ha sempre un piedino alato.
Se non la vedi in giro, incomincia a parlare piano, come fossi solo, delle tue amarezze; la ninfa s’interessa, e richiamata simpaticamente dal dolore ascolta partecipe e incantata, anche per ore e ore, i tuoi cambiamenti di tono, la chioma ramata poggiata sulle cortecce, le braccia intorno al tronco. La ninfa si sente sempre sola, si erge come uno di quei vasti alberi ammirevoli, eremitici superstiti in mezzo al campo sconfinato d’una zona industriale, o come sparuto alberello spuntato a forza tra le pietre d’un campo veneziano. Anzi, se ne incontri uno, bussa: la ninfa abbisogna di te.
La ninfa è pura e crudele come una vergine: da ciò la sua tenerezza. La fuga della ninfa pare agli inaccorti improvvisa e precipitosa, nel modo più assoluto imprevedibile. In realtà la creaturina la preparava in sé fin da principio, la covava a volte con dolore cosmico e disprezzo del suo comodo, a volte con amore e cura come il suo più riposto e salvifico bene; la ninfa ripone la fuga a lato di se stessa, la conserva latente come più segreta possibilità di ricominciare tutto daccapo. La ninfa non ha mai il destino segnato, solo infedele è fedele, solo slegandosi si mantiene. Il suo più esterno dito del piede pencola sempre sull’orlo del deliquio.
La ninfa è avvinta solo dall’incanto delle acque che non si regimentano. Per averle sempre sott’occhio, va a riposare in sponda d’un torrente, a margine d’un fiume, sul bordo d’una qualunque pozzanghera – in casa tra le cornici di specchi abbuiati; minuscole ninfe si depositano intorno alle chiazze d’acqua tra le pietre di città, e dormono. Tu bada a non infrangere il sacro e quieto sonno della ninfa.
Leggenda vuole che le ninfe, mielose e invischianti nell’amorosa pania, fuggano a sciami: è giunta l’ora di sfatare questa diceria. La ninfa fugge sempre da sola: altro non le permette il suo orgoglio di cercatrice e di mendicante, la voglia primaria di star da sé che costituì il suo primo distacco. Certo qui risiede anche la sua colpa: e non si lamenti poi, la ninfa, di dover fuggire – ché mal voluto non fu mai troppo. L’apparenza di fuggevole sciame deriverà forse dal moltiplicarsi della ninfa, caduta preda del gioco di specchi; infinitamente rifratta dal labirinto, suo paradossale nido (che potrebbe fare, nel mondo di fuori?), l’ape solitaria appare come nuvola ronzante, il romito annidamento come alveare.
La ninfa rampica per novemila anni sullo stesso albero, col quale coincide in vita simbiotica; edera a quercia, dove s’attacca, muore. Per quanto amorosa verso i mortali, ella non va soggetta a volubilità capricciose; se trova un Odisseo, lo sposa (o almeno ci prova).
La ninfa riposa in media più ore del gatto, adagiando il suo corpo senza tempo e le grandi cosce bianche, alabastrina, flessuosa, piegata in cerchio su se stessa, molto sognando e seguendo il corso dolce dei suoi pensieri. (Potresti esser tu il corso dolce dei suoi pensieri). S’assesta nuda sotto coltri di piume, mostrando talora un sensibile seno bianco, talora un polpaccio polposo e carezzevole; s’involge in velami e crinoline, sete d’oriente e shantung, e lì giacendo si prepara dolente ad esser spiata o talora assaltata.
La vita quotidiana della ninfa è semplice e profonda; è una fanciulla piena di doni squisiti in punta di dita e di molteplici talenti; tesse su telai di pietra manti rosso carminio, strimpella arcaici strumenti, secca fiori in volumi per farne messaggi augurali, si lacca le unghie d’azzurro. Al contrario di quel che la gente pensa, la ninfa non è poi così semplice, e nemmeno del tutto ignorante. La ninfa, ai tempi nostri, non può aver meno di trent’anni terrestri e due dottorati; tanto le serve per prendere coscienza e senso profondi della sua novemillenaria esistenza mitologica. La ninfa, aggiornatissima allo spirito del tempo, vive da single e odia le felicità perché sono cieche; compra le porzioncine al supermercato e la sera legge un libro e buonanotte.
In realtà è tempo perso star sulle tracce della ninfa, sceglierne una e seguirla, persuasi che prima o poi arriverà il tempo in cui si fermi; perché quella ha in testa da sempre l’idea innata, a lei stessa inconscia, di non farsi acchiappare. La ninfa si rende irreperibile, le scoccia parecchio esser stanata, le pare volgare che qualche molestatore la ripeschi sempre. Così va a trovarsi perennemente fuori dai giochi consueti, ovvero nella splendida situazione in cui non ha niente da perdere né da guadagnare. Dunque si permette il più gran lusso: quello di liberarsi mano a mano. La ninfa è un mostro d’orgoglio e di superbia; ben le sta, esser sola; così sfogherà come le pare la passione della propria libertà.
La ninfa, creatura a margine, asterisco dell’Olimpo, è carica d’una millenaria solitudine, e non si porta dietro nulla, tutto abbandona, è tutta lì, come la si vede, non può che buttar tutto fuori: se la guardi in trasparenza ci vedi attraverso. Quando sulla sua isola sbarca un qualcuno bello di fama e di sventura, pensa a farsi moglie, ma sarebbe cosa da farsi quando l’età ninfica declina, verso i trentacinque, come Platone ingiunge nelle Leggi ad ogni cittadino dabbene. La ninfa però non invecchia mai, e soprattutto è selvatica e poco politica, oltre che condannata dalla sua trasparenza ad esser sola piuttosto che male accompagnata. Tanto poi viene regolarmente abbandonata in nome di poco credibili ritorni.
D’estate la ninfa è ingenua e disciolta, di veste libera e traslucida; d’inverno però la ninfa, pur conservando vesti labili, si mette il cappellino di lana perché ha freddo alla punta del naso.
La ninfa ama chi riconosce la sua natura di ninfa.
La ninfa si trova spesso costretta ad enumerare le proprie possibilità di fuga (come narrato nelle Dionisiache), tutte minacciose per la sua verginità; cosa le vale diventare alloro, vegetare, fare la fine di Dafne? o insinuarsi nelle rocce, dove la scoverebbe Pan per infastidirla? o tramutarsi, inseguita, in un’altra Eco, farsi pura voce tra le montagne? tanto ovunque la insidierebbe Zeus, e nel mare Poseidone, e nei venti Tifeo; potrebbe forse unirsi agli uccelli, farsi messaggera delle rose e della rugiada, rondine cara a Zefiro. Ma forse, che siano cielo, o monti, o mare, o sottoterra, tutto è per lei inaccessibile e ostile; se almeno diventasse un’Eliade, dai suoi occhi colerebbe ambra, potrebbe tendere le foglie ad abbracciare le fronde lamentose d’un pioppo, piangerebbe finalmente lacrime torrenziali.
La prima volta che la incontrerai faccia a faccia, la ninfa sarà così intimidita e stupefatta della tua esistenza da muoversi a malapena, da non esser capace di far nulla, tranne mostrarsi lacunosa e accogliente. A qualunque parola rivoltale cercherà come oggetti caduti all’intorno; la ninfa entra in dimestichezza coi tempi di crescita d’un bosco. Abbasserà i tondi occhi neri, senza riuscire a coprirli, e con quelli in fugace alzar di ciglia t’inghiottirà l’anima per sempre. Se sei il suo demone gemello, forse ti farà una carezza, desiderando poi fuggire; forse su un sentiero di montagna ti prenderà la mano per non cadere; forse ascolterà le tue belle parole pensando tra sé: “ora lo bacio, ora lo bacio...”, ma senza saper coglier mai l’occasione. Se riuscirai ad abbracciare la ninfa, a far coltre al vostro amplesso sorgeranno foglie, muschio, tenera erba di prato, vi avvolgeranno rampicanti e spunterà una coltre di piantine infinitesime a creare un giaciglio fiorito, profumato, e una nebbia corpuscolare vi celerà agli sguardi dei mortali mangiatori di pane. Se ti malponi alla cattura, però, stringerai sempre e solo una ninfa speculare, la vera immagine essendo riposta altrove.
La creaturina gode se le carezzi la testa e le guance, ma devi farlo piano, premurandoti di non provocare in nessun modo lo svanimento della ninfa; lo sai che questa svaporata trova nella fuga immobile l’unica sua trascorrente forma d’essere: tu aiutala ad andare, non bloccarne la crescita, non tenerla in prigionia: cerca di trarla a libertà. Tuttavia, se la ninfa mostrasse segni di sofferenza, chinasse intristita la testa, richiudesse tutte le sue dita, e poi volesse scappare, per recuperarla (un momento o l’altro), sarà sufficiente sussurrarle piano: “oh ninfa non fuggire: ninfa, rimani”.
Tanto la ninfa, fedelissima, fuggirà lo stesso.


Da  Ninfa in labirinto, Moretti & Vitali 2007

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