30 giugno 2014

A MARINEO UN MUSEO VIVO










Oggi metto da parte ogni spirito polemico (già espresso in http://cesim-marineo.blogspot.it/2014/04/che-fine-ha-fatto-il-museo-etno.html) e mi congratulo sinceramente con Salvatore Pulizzotto e con tutti coloro che, in forme e modi diversi, hanno contribuito a realizzare il Museo che tanti sognavamo da decenni. 

Domenica scorsa è stato un giorno di festa per Marineo. Ed io, insieme a tanti, ho partecipato con gioia a questa festa congratulandomi con quanti hanno operato per allestire con gusto e sapienza la sezione etno-antropologica del Museo della Valle dell’Eleuterio, allocato nel Castello Beccadelli di Marineo dove, già da anni, si potevano ammirare alcuni reperti archeologici e storico-artistici del territorio.

Se si riesce a conservare lo spirito collaborativo tra persone e istituzioni diverse, la passione e l’entusiasmo di questi ultimi giorni, Marineo  potrebbe ritrovare la strada della sua rinascita come auspicato dall’amico Salvatore Pulizzotto nel suo intervento alla manifestazione svoltasi domenica scorsa che di seguito riproduco:

La possibilità di un nuovo sviluppo per Marineo
Salvatore Pulizzotto

La realizzazione di una sezione etno-antropologica a Marineo, al castello Beccadelli, proprio qui dove fin da bambino entravo in questo luogo magico con mio padre. Erano questi i granai di Pernice e noi venivamo a comprare il grano per la semina o vi portavamo quello da vendere poi al vicino mulino. Tetti altissimi, muri in pietra viva, pavimenti irregolari, quasi dei viottoli tra la roccia viva, enormi cumuli di grano che si vedevano solo qua o per il giorno della Cunnutta di San Ciro, ed io li paragonavo ai cumuli di oro e monete di paperone nei fumetti di Walt Disney. Quello per noi era il nostro oro, il grano, attorno al quale girava tutta l’economia della civiltà contadina sino agli anni 70’ più ancora dell’olio e del vino. Attorno ad essa fioriva un meraviglioso indotto fatto di fabbri, falegnami, calzolai, siddunara, mulini, panifici e tutto il paese era un brulicare di rumori, suoni, incudini, scalpitii di zoccoli di muli. Attorno a questo castello, così come agli inizi del 500’ vi erano un insieme di negozietti, mulini, fabbri, che da piazza Sant’Anna al lavatoio Gorghillo, rendevano questo quartiere attivissimo e pieno di vita. Al castello c’era la nostra scuola media, la nostra radio Marineo, la nostra sala da ballo, il nostro granaio, la nostra liuteria. Il piazzale antistante a curva e con una pendenza del 60% era il nostro unico campo di calcio, essa era la piazza più importante per la rappresentazione della Dimustranza, era lo spazio più grande e soleggiato ove stendere ed essiccare il sommacco. Quando, una quindicina di anni fa, questi luoghi vennero restaurati, mi sembrò naturale e spontaneo chiedere alla sovraintendente di allora se un giorno si sarebbe potuto realizzare un centro di raccolta ed esposizione di reperti etnoantropologici, che io già raccoglievo dal 1985 . Mi rispose che l’architetto che aveva curato il restauro lo aveva fatto pensando proprio ad una sede museale di questo tipo, ma che per il momento non esisteva nulla da potere esporre. La invitai al mio ristorante, che fu il mio primo centro di esposizione e lei quando vide la mia collezione mi disse: << fra una settimana le mando dei funzionari della sovraintendenza per catalogare questi beni affinché non vengano dispersi>>.  Iniziò così una lunga collaborazione che oggi ha portato all’istituzione di questa sezione che al momento riguarda il ciclo del grano, della vite, dell’olio e della pastorizia. I pezzi vincolati sono circa mille e spero che in un futuro prossimo si possano ampliare gli spazi ed il numero di mestieri, Vorrei ringraziare la Sovrintendenza nella persona della dottoressa Volpes, la dottoressa  Giuliano e tutti i suoi collaboratori, che con grande sensibilità hanno fatto in modo che tutto ciò si potesse realizzare. Ringrazio altresì l’amministrazione comunale ed in particolare l’assessore Spataro che con la sua proverbiale disponibilità ha collaborato anche manualmente. Ho apprezzato molto la capacità e la sensibilità dell’architetto Parrinelli, che pur non conoscendo l’uso o la funzione di alcuni oggetti, è riuscito a realizzare un allestimento sobrio e gradevole alla vista, facilmente fruibile,mettendo spesso in risalto le qualità estetiche di alcuni oggetti che, al di là della loro funzione, sono in sé delle pure espressioni artistiche che egli ha saputo cogliere e trasmettere. Un ruolo molto importante ha avuto il responsabile del restauro, Giuseppe Inguì, che figlio di una delle memorie storiche di Marineo Totò Tirrimutuni, e avendo vissuto in prima persona i periodi in cui tutto ciò era vivo e utilizzato, ha saputo ridare  il colore, il calore, il vissuto il sudore la fatica che essi emanano, lasciandone intatto il fascino originale. Egli ha tolto da questi reperti la polvere, la sporcizia, la calce accumulata negli anni di abbandono nei fienili e nelle stalle, ha tolto i segni della dimenticanza riportandoceli vivi anche se logorati, lucidi e consumati dalle mani ruvide dei contadini o dalla terra che aravano o dal legno che tagliavano. Non esistono due pezzi uguali tutti sono personalizzati adattati al proprio modo di lavorare, al proprio corpo, al proprio mulo, alla propria campagna alla propria terra. Ci sono oggetti riparati col fil di ferro, con le latte di pelati o di sarde salate, con lamiere di secchi rotti o con pezzi di zabara. Ogni oggetto ha una vita, una storia da raccontare. Alcuni anni fa ho collaborato con il regista Tornatore per la realizzazione del film Baaria, gli ho procurato mobili, attrezzi, telefoni, animali e quant’altro. Dovevamo realizzare un scena di una fiera del bestiame ambientata negli anni ’40. Nelle fiere ovviamente si vendevano selle, scale, aratri, zappe, falci, tridenti ecc. Lui mi chiese un pezzo per ogni tipo, la cosa mi stranizzò perché alla fiera si vendono decine di ogni pezzo per cui gli dissi che ne avrei reperito tanti altri, mi disse:<<fermati  questi oggetti sono vissuti, sudati, sporchi, macchiati di vita, a me servono per farli ricostruire nuovi, immacolati, alla fiera non si vendono cose vecchie. Gli attrezzi sono come dei libri con le pagine bianche, tutte uguali, tutti  dello stesso colore con lo stesso grado di consumazione, anonimi, sterili, poi ogni contadino giorno per giorno scriverà su di essi la propria storia, la propria sofferenza come su un diario che noi adesso potremo leggere>>. Ognuno di noi può leggere il vissuto dei propri padri, rivedrà quei muli stanchi che macchiavano di sudore il basto, quelle mani sporche di fango che zappavano la terra e lasciavano su ogni arnese il proprio DNA culturale e storico. In questo sito io vedo la possibilità di un nuovo sviluppo per Marineo, uno stimolo per creare nuove forme di economia e di turismo. Marineo è un paese per molti aspetti morto\non ci sono più terre coltivate neanche vicino al paese, tutto è abbandonato, nessuno più semina il grano nessuno prepara un orto, nessuno più vive di agricoltura e se non si semina non si raccoglie. Turisticamente Marineo offre pochissimo, si potrebbero creare dei percorsi turistici agro pastorali che comprendano Ficuzza, il bosco, il Palazzo Reale, il museo Godranopoli, le terme arabe di Cefalà Diana, Piana e le sue tradizioni. Nella valle dell’Eleuterio funzionavano fino al 1950 decine di mulini ad acqua che ancora esistono e si potrebbero riattivare creando così un’attrattiva unica. In questo modo si incrementerebbe la vendita di prodotti tipici di pregio e qualità. Valorizzare inoltre eventi unici come la Dimustranza, il presepe vivente, l’infiorata che potrebbero fungere da volano per tutta l’economia agonizzante. Io spero che con l’apertura di questa nuova sezione, in collaborazione con la Proloco, il Comune, la Scuola, le numerose associazione, si possano promuovere mostre fotografiche a scopo anche didattico, iniziative culturali, eventi, riproposizioni di antichi mestieri, rappresentazioni teatrali, mostre di Pupi siciliani che rendano vivo questo sito e attraente per un turista altrimenti attratto da mete più allettanti.

Salvatore Pulizzotto

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