Oggi metto
da parte ogni spirito polemico (già espresso in http://cesim-marineo.blogspot.it/2014/04/che-fine-ha-fatto-il-museo-etno.html)
e mi congratulo sinceramente con
Salvatore Pulizzotto e con tutti coloro che, in forme e modi diversi, hanno
contribuito a realizzare il Museo che tanti sognavamo da decenni.
Domenica scorsa
è stato un giorno di festa per Marineo. Ed io, insieme a tanti, ho partecipato con
gioia a questa festa congratulandomi con quanti hanno operato per allestire con
gusto e sapienza la sezione etno-antropologica del Museo della Valle
dell’Eleuterio, allocato nel Castello Beccadelli di Marineo dove, già da anni,
si potevano ammirare alcuni reperti archeologici e storico-artistici del
territorio.
Se si
riesce a conservare lo spirito collaborativo tra persone e istituzioni diverse,
la passione e l’entusiasmo di questi ultimi giorni, Marineo potrebbe ritrovare la strada della sua rinascita
come auspicato dall’amico Salvatore Pulizzotto nel suo intervento alla
manifestazione svoltasi domenica scorsa che di seguito riproduco:
La possibilità di un nuovo sviluppo per Marineo
Salvatore
Pulizzotto
La realizzazione di una sezione etno-antropologica
a Marineo, al castello Beccadelli, proprio qui dove fin da bambino entravo in
questo luogo magico con mio padre. Erano questi i granai di Pernice e noi
venivamo a comprare il grano per la semina o vi portavamo quello da vendere poi
al vicino mulino. Tetti altissimi, muri in pietra viva, pavimenti irregolari,
quasi dei viottoli tra la roccia viva, enormi cumuli di grano che si vedevano
solo qua o per il giorno della Cunnutta di San Ciro, ed io li paragonavo ai
cumuli di oro e monete di paperone nei fumetti di Walt Disney. Quello per noi
era il nostro oro, il grano, attorno al quale girava tutta l’economia della
civiltà contadina sino agli anni 70’ più ancora dell’olio e del vino. Attorno
ad essa fioriva un meraviglioso indotto fatto di fabbri, falegnami, calzolai,
siddunara, mulini, panifici e tutto il paese era un brulicare di rumori, suoni,
incudini, scalpitii di zoccoli di muli. Attorno a questo castello, così come
agli inizi del 500’ vi erano un insieme di negozietti, mulini, fabbri, che da
piazza Sant’Anna al lavatoio Gorghillo, rendevano questo quartiere attivissimo
e pieno di vita. Al castello c’era la nostra scuola media, la nostra radio
Marineo, la nostra sala da ballo, il nostro granaio, la nostra liuteria. Il
piazzale antistante a curva e con una pendenza del 60% era il nostro unico
campo di calcio, essa era la piazza più importante per la rappresentazione
della Dimustranza, era lo spazio più grande e soleggiato ove stendere ed
essiccare il sommacco. Quando, una quindicina di anni fa, questi luoghi vennero
restaurati, mi sembrò naturale e spontaneo chiedere alla sovraintendente di
allora se un giorno si sarebbe potuto realizzare un centro di raccolta ed
esposizione di reperti etnoantropologici, che io già raccoglievo dal 1985 . Mi
rispose che l’architetto che aveva curato il restauro lo aveva fatto pensando
proprio ad una sede museale di questo tipo, ma che per il momento non esisteva
nulla da potere esporre. La invitai al mio ristorante, che fu il mio primo
centro di esposizione e lei quando vide la mia collezione mi disse: <<
fra una settimana le mando dei funzionari della sovraintendenza per catalogare
questi beni affinché non vengano dispersi>>. Iniziò così una lunga collaborazione che oggi
ha portato all’istituzione di questa sezione che al momento riguarda il ciclo
del grano, della vite, dell’olio e della pastorizia. I pezzi vincolati sono
circa mille e spero che in un futuro prossimo si possano ampliare gli spazi ed
il numero di mestieri, Vorrei ringraziare la Sovrintendenza nella persona della
dottoressa Volpes, la dottoressa
Giuliano e tutti i suoi collaboratori, che con grande sensibilità hanno
fatto in modo che tutto ciò si potesse realizzare. Ringrazio altresì l’amministrazione
comunale ed in particolare l’assessore Spataro che con la sua proverbiale
disponibilità ha collaborato anche manualmente. Ho apprezzato molto la capacità
e la sensibilità dell’architetto Parrinelli, che pur non conoscendo l’uso o la
funzione di alcuni oggetti, è riuscito a realizzare un allestimento sobrio e
gradevole alla vista, facilmente fruibile,mettendo spesso in risalto le qualità
estetiche di alcuni oggetti che, al di là della loro funzione, sono in sé delle
pure espressioni artistiche che egli ha saputo cogliere e trasmettere. Un ruolo
molto importante ha avuto il responsabile del restauro, Giuseppe Inguì, che
figlio di una delle memorie storiche di Marineo Totò Tirrimutuni, e avendo
vissuto in prima persona i periodi in cui tutto ciò era vivo e utilizzato, ha saputo
ridare il colore, il calore, il vissuto
il sudore la fatica che essi emanano, lasciandone intatto il fascino originale.
Egli ha tolto da questi reperti la polvere, la sporcizia, la calce accumulata
negli anni di abbandono nei fienili e nelle stalle, ha tolto i segni della
dimenticanza riportandoceli vivi anche se logorati, lucidi e consumati dalle
mani ruvide dei contadini o dalla terra che aravano o dal legno che tagliavano.
Non esistono due pezzi uguali tutti sono personalizzati adattati al proprio modo
di lavorare, al proprio corpo, al proprio mulo, alla propria campagna alla
propria terra. Ci sono oggetti riparati col fil di ferro, con le latte di
pelati o di sarde salate, con lamiere di secchi rotti o con pezzi di zabara.
Ogni oggetto ha una vita, una storia da raccontare. Alcuni anni fa ho
collaborato con il regista Tornatore per la realizzazione del film Baaria, gli
ho procurato mobili, attrezzi, telefoni, animali e quant’altro. Dovevamo
realizzare un scena di una fiera del bestiame ambientata negli anni ’40. Nelle
fiere ovviamente si vendevano selle, scale, aratri, zappe, falci, tridenti ecc.
Lui mi chiese un pezzo per ogni tipo, la cosa mi stranizzò perché alla fiera si
vendono decine di ogni pezzo per cui gli dissi che ne avrei reperito tanti altri,
mi disse:<<fermati questi oggetti
sono vissuti, sudati, sporchi, macchiati di vita, a me servono per farli
ricostruire nuovi, immacolati, alla fiera non si vendono cose vecchie. Gli
attrezzi sono come dei libri con le pagine bianche, tutte uguali, tutti dello stesso colore con lo stesso grado di
consumazione, anonimi, sterili, poi ogni contadino giorno per giorno scriverà
su di essi la propria storia, la propria sofferenza come su un diario che noi
adesso potremo leggere>>. Ognuno di noi può leggere il vissuto dei propri
padri, rivedrà quei muli stanchi che macchiavano di sudore il basto, quelle
mani sporche di fango che zappavano la terra e lasciavano su ogni arnese il
proprio DNA culturale e storico. In questo sito io vedo la possibilità di un
nuovo sviluppo per Marineo, uno stimolo per creare nuove forme di economia e di
turismo. Marineo è un paese per molti aspetti morto\non ci sono più terre
coltivate neanche vicino al paese, tutto è abbandonato, nessuno più semina il
grano nessuno prepara un orto, nessuno più vive di agricoltura e se non si
semina non si raccoglie. Turisticamente Marineo offre pochissimo, si potrebbero
creare dei percorsi turistici agro pastorali che comprendano Ficuzza, il bosco,
il Palazzo Reale, il museo Godranopoli, le terme arabe di Cefalà Diana, Piana e
le sue tradizioni. Nella valle dell’Eleuterio funzionavano fino al 1950 decine
di mulini ad acqua che ancora esistono e si potrebbero riattivare creando così
un’attrattiva unica. In questo modo si incrementerebbe la vendita di prodotti
tipici di pregio e qualità. Valorizzare inoltre eventi unici come la
Dimustranza, il presepe vivente, l’infiorata che potrebbero fungere da volano
per tutta l’economia agonizzante. Io spero che con l’apertura di questa nuova
sezione, in collaborazione con la Proloco, il Comune, la Scuola, le numerose
associazione, si possano promuovere mostre fotografiche a scopo anche
didattico, iniziative culturali, eventi, riproposizioni di antichi mestieri,
rappresentazioni teatrali, mostre di Pupi siciliani che rendano vivo questo
sito e attraente per un turista altrimenti attratto da mete più allettanti.
Salvatore
Pulizzotto
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