Raccolte le lettere
1944-64 di Togliatti a politici e uomini di cultura. Ne emerge il
profilo di un uomo contraddittorio, sottile nelle analisi, quanto
cinico nelle scelte. Sicuramente (qualunque sia il giudizio storico) di un livello inimmaginabile rispetto ai politicanti odierni.
Mirella Serri
Togliatti: non fatemi monumenti
Togliatti versus
Berlinguer. «Se vogliamo rimodernare e ringiovanire la sinistra
italiana, dobbiamo tornare alle origini». No, non ha dubbi Giuseppe
Vacca, presidente della Fondazione Gramsci: nell’anno in cui
ricorrono i trent’anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer e i 50
da quella di Palmiro Togliatti, che si spegne a Yalta 21 agosto
1964, è molto più attuale l’insegnamento del Migliore. «Bisogna
guardare e avere nuovamente come punto di riferimento Togliatti.
Qualche assaggio della
sua modernità? Nel 1946 incarica Luigi Longo di compilare una
relazione sul modello federativo del partito laburista inglese. Poi
questa sua attenzione sarà frustrata dalle contrapposizioni più
estreme della Guerra fredda. Ma appena può rilancia il progetto:
nel 1962 ritorna alla carica e intensifica i suoi rapporti con il
Labour, i socialisti francesi e i socialdemocratici tedeschi. Uno
straordinario esempio per l’oggi».
Adesso, per aiutarci a
riscoprire l’avventura umana ma soprattutto politica del capo del
Pci, sono in arrivo le sue lettere: una ricca scelta della
corrispondenza, in gran parte fino a ora inedita, la propone il
volume La guerra di posizione in Italia. Epistolario 1944-1964, a
cura di Gianluca Fiocco e Maria Luisa Righi, con la prefazione di
Vacca (uscirà alla fine di maggio da Einaudi).
I due storici che hanno
selezionato la raccolta ricostruiscono la vicenda di Togliatti in
Italia, dove era rientrato dopo gli anni dell’esilio, introducendo
ogni singolo documento con lunghe note esplicative. Le lettere
ricevute e scritte dal leader sono circa tremila e ci fanno
ripercorrere anche l’avventurosa storia della sinistra italiana.
I primi scambi
registrati nella raccolta sono del 1944 e annoverano, tra l’altro,
un’importante lettera di Pietro Badoglio che ha individuato in
Togliatti il leader che può aiutarlo a mantenere i contatti con
l’Urss. Per mettersi in buona luce, il Maresciallo spiega di aver
avviato, dopo l’8 settembre 1943, «un’intensa opera di
collaborazione che facilitò grandemente lo sbarco alleato nei vari
porti italiani», e lamenta di non aver avuto riconoscimenti per il
suo brillante operato.
Dimentica di ricordare
la precipitosa fuga da Roma con il sovrano e la regina Elena e lo
sfascio e lo stato di abbandono dell’esercito italiano. A
proposito di questa lettera, Togliatti acutamente registra: «Sono
convinto che Badoglio nutra per gli inglesi un odio profondo e che
da Badoglio si possa ottenere molto […] se gli si dimostra che una
data iniziativa sarà svantaggiosa per gli inglesi, ma necessaria
per l’Italia. Badoglio ha un atteggiamento più tollerante nei
confronti degli americani e non è contrario a civettare con loro
per indebolire le posizioni inglesi in Italia».
Nell’epistolario si
passa poi alle numerose missive inviate ai militanti che chiedono
lumi sulla questione di Trieste occupata dalle truppe jugoslave e ai
testi in cui il segretario del Pci si scontra con Giulio Einaudi sui
fatti d’Ungheria. Vi sono poi le spiegazioni sulle sue preferenze
poetiche offerte alla gente comune, le polemiche e gli scontri con
gli artisti che chiedono indipendenza - come il musicologo Massimo
Mila, collaboratore dell’Unità torinese - oppure le tirate
d’orecchie agli intellettuali che criticano Il Gattopardo di
Visconti. Il Migliore esprime considerazioni persino sulla
lottizzazione della tv italiana da parte dei partiti (quando scrive
non possiede ancora un televisore).
E antepone sempre al
telefono il mezzo epistolare: lo usa nei rapporti con Stalin,
Krusciov, Evtušenko, Alcide De Gasperi, Sandro Pertini, Vittorio
Valletta e tanti altri ancora. Lo adopera anche per dialogare a
lungo con semplici compagni «di base» che gli inviano le più
svariate, e a volte anche stravaganti, richieste: dai ragazzi che
vogliono conoscere la storia di Gramsci approdato a Torino, a chi,
meno giovane, sollecita una raccomandazione per far entrare il
figlio in seminario, a chi vorrebbe il permesso di mettere
un’immaginetta sacra nei locali condominiali.
Pure per le questioni
strettamente personali prende carta e penna: per rifiutare, per
esempio, un surprise party da parte per i suoi sessant’anni («Non
si tratta, credo, di fare la sorpresa a un festeggiato minorenne»),
o per indignarsi per la posa di un suo busto marmoreo («Decisamente
contrario al busto. Si fa, da noi, ai morti ed è una cosa ridicola.
Il mio busto, per ora, sono io»).
Come si spiega questa
spiccata inclinazione verso il testo scritto del Migliore?
«“Scrivere vuol dire dirigere e si dirige scrivendo”: questa
era la sua filosofia», osserva Vacca. «Inviando un bigliettino sia
al compagno della porta accanto a Botteghe Oscure sia a esponenti
del mondo cattolico, come don Giuseppe Dossetti, con cui aveva
collaborato alla Costituente, Giorgio La Pira, Ada Alessandrini,
Togliatti non dimenticava mai di essere un leader politico e un
intellettuale. Aveva un senso fortissimo della comunicazione. E
proprio questo lo rende assai adatto a rilanciare oggi un’immagine
forte della sinistra».
La Stampa – 30 aprile
2014
Palmiro Togliatti
La guerra di posizione
in Italia
Einaudi, 2014
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