23 giugno 2014

TOGLIATTI BIFRONTE


Raccolte le lettere 1944-64 di Togliatti a politici e uomini di cultura. Ne emerge il profilo di un uomo contraddittorio, sottile nelle analisi, quanto cinico nelle scelte. Sicuramente (qualunque sia il giudizio storico) di un livello inimmaginabile rispetto ai politicanti odierni.
Mirella Serri

Togliatti: non fatemi monumenti
 
Togliatti versus Berlinguer. «Se vogliamo rimodernare e ringiovanire la sinistra italiana, dobbiamo tornare alle origini». No, non ha dubbi Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Gramsci: nell’anno in cui ricorrono i trent’anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer e i 50 da quella di Palmiro Togliatti, che si spegne a Yalta 21 agosto 1964, è molto più attuale l’insegnamento del Migliore. «Bisogna guardare e avere nuovamente come punto di riferimento Togliatti.
Qualche assaggio della sua modernità? Nel 1946 incarica Luigi Longo di compilare una relazione sul modello federativo del partito laburista inglese. Poi questa sua attenzione sarà frustrata dalle contrapposizioni più estreme della Guerra fredda. Ma appena può rilancia il progetto: nel 1962 ritorna alla carica e intensifica i suoi rapporti con il Labour, i socialisti francesi e i socialdemocratici tedeschi. Uno straordinario esempio per l’oggi». 
Adesso, per aiutarci a riscoprire l’avventura umana ma soprattutto politica del capo del Pci, sono in arrivo le sue lettere: una ricca scelta della corrispondenza, in gran parte fino a ora inedita, la propone il volume La guerra di posizione in Italia. Epistolario 1944-1964, a cura di Gianluca Fiocco e Maria Luisa Righi, con la prefazione di Vacca (uscirà alla fine di maggio da Einaudi).
I due storici che hanno selezionato la raccolta ricostruiscono la vicenda di Togliatti in Italia, dove era rientrato dopo gli anni dell’esilio, introducendo ogni singolo documento con lunghe note esplicative. Le lettere ricevute e scritte dal leader sono circa tremila e ci fanno ripercorrere anche l’avventurosa storia della sinistra italiana. 
I primi scambi registrati nella raccolta sono del 1944 e annoverano, tra l’altro, un’importante lettera di Pietro Badoglio che ha individuato in Togliatti il leader che può aiutarlo a mantenere i contatti con l’Urss. Per mettersi in buona luce, il Maresciallo spiega di aver avviato, dopo l’8 settembre 1943, «un’intensa opera di collaborazione che facilitò grandemente lo sbarco alleato nei vari porti italiani», e lamenta di non aver avuto riconoscimenti per il suo brillante operato.
Dimentica di ricordare la precipitosa fuga da Roma con il sovrano e la regina Elena e lo sfascio e lo stato di abbandono dell’esercito italiano. A proposito di questa lettera, Togliatti acutamente registra: «Sono convinto che Badoglio nutra per gli inglesi un odio profondo e che da Badoglio si possa ottenere molto […] se gli si dimostra che una data iniziativa sarà svantaggiosa per gli inglesi, ma necessaria per l’Italia. Badoglio ha un atteggiamento più tollerante nei confronti degli americani e non è contrario a civettare con loro per indebolire le posizioni inglesi in Italia». 
Nell’epistolario si passa poi alle numerose missive inviate ai militanti che chiedono lumi sulla questione di Trieste occupata dalle truppe jugoslave e ai testi in cui il segretario del Pci si scontra con Giulio Einaudi sui fatti d’Ungheria. Vi sono poi le spiegazioni sulle sue preferenze poetiche offerte alla gente comune, le polemiche e gli scontri con gli artisti che chiedono indipendenza - come il musicologo Massimo Mila, collaboratore dell’Unità torinese - oppure le tirate d’orecchie agli intellettuali che criticano Il Gattopardo di Visconti. Il Migliore esprime considerazioni persino sulla lottizzazione della tv italiana da parte dei partiti (quando scrive non possiede ancora un televisore).
E antepone sempre al telefono il mezzo epistolare: lo usa nei rapporti con Stalin, Krusciov, Evtušenko, Alcide De Gasperi, Sandro Pertini, Vittorio Valletta e tanti altri ancora. Lo adopera anche per dialogare a lungo con semplici compagni «di base» che gli inviano le più svariate, e a volte anche stravaganti, richieste: dai ragazzi che vogliono conoscere la storia di Gramsci approdato a Torino, a chi, meno giovane, sollecita una raccomandazione per far entrare il figlio in seminario, a chi vorrebbe il permesso di mettere un’immaginetta sacra nei locali condominiali.  
Pure per le questioni strettamente personali prende carta e penna: per rifiutare, per esempio, un surprise party da parte per i suoi sessant’anni («Non si tratta, credo, di fare la sorpresa a un festeggiato minorenne»), o per indignarsi per la posa di un suo busto marmoreo («Decisamente contrario al busto. Si fa, da noi, ai morti ed è una cosa ridicola. Il mio busto, per ora, sono io»).
Come si spiega questa spiccata inclinazione verso il testo scritto del Migliore? «“Scrivere vuol dire dirigere e si dirige scrivendo”: questa era la sua filosofia», osserva Vacca. «Inviando un bigliettino sia al compagno della porta accanto a Botteghe Oscure sia a esponenti del mondo cattolico, come don Giuseppe Dossetti, con cui aveva collaborato alla Costituente, Giorgio La Pira, Ada Alessandrini, Togliatti non dimenticava mai di essere un leader politico e un intellettuale. Aveva un senso fortissimo della comunicazione. E proprio questo lo rende assai adatto a rilanciare oggi un’immagine forte della sinistra». 
La Stampa – 30 aprile 2014
Palmiro Togliatti
La guerra di posizione in Italia
Einaudi, 2014

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