Arriva la conferma che
nella biblioteca frequentata dal poeta c'era una copia del Libro
della scala di Maometto che racconta un viaggio nell'aldilà del
profeta dell'Islam.
Corrado Bologna
Dante e Maometto
Aby Warburg elesse a
epigrafe della propria ricerca un motto divenuto celebre: «Der liebe
Gott steckt im Detail», «Il buon Dio abita nel dettaglio». Nel
dettaglio può nascondersi il buon Dio, ma certo anche il perfido
Demonio. In una massa enorme di dati, se si individua con sottile
sagacia ermeneutica «il particolare giusto» e si riesce ad aprirlo
come un forziere, scaturirà un tesoro inatteso, un'intera visione
del mondo. Un piccolo dettaglio, allora, diventerà una cornucopia,
una bacchetta magica, una lampada di Aladino.
Le ricerche
delle Annales lo hanno dimostrato con dovizia, spesso
affidandosi a quell'arte della lettura delle tracce che gli inglesi
chiamano serendipity. Abbiamo tutti nella memoria, per evocare
un caso luminoso, la straordinaria biblioteca in miniatura del
mugnaio cinquecentesco Menocchio, che Carlo Ginzburg dedusse dagli
interrogatori dell'Inquisizione, e che permise di restituire un
fossile culturale di grande importanza: il "Fioretto della
Bibbia", il "libro delle cento novelle del Boccatio",
il "cavallier Zuanne de Mandavilla" (cioè i Viaggi di
John Mandeville), un perturbante, quasi incredibile Corano. «Ma
Menocchio», commentava Ginzburg, «non era Montaigne, era soltanto
un mugnaio autodidatta».
Quel Corano tra le mani
di un mugnaio del XVI secolo in odore d'eresia brilla come una pepita
d'oro nella ganga della miniera. Da un'altra miniera strepitosa, gli
elenchi dei libri posseduti dalle biblioteche dei grandi Ordini
mendicanti dei secoli XIII-XIV e smarriti lungo i secoli, è stato
appena scavato un altro simile diamante rarissimo, dalla forma
curiosa, che permette d'essere incastonato alla perfezione in
un'elegante collana di ricerche avviate giusto un secolo fa.
Il giacimento è la
«piccola ma significativa biblioteca messa insieme da un frate
converso domenicano fuori del comune di nome Ugolino, di cui per ora
sappiamo soltanto che all'inizio del Trecento svolse il compito
prestigioso di "arcarius" e cioè di "guardiano"
della celebre arca sepolcrale di san Domenico, eseguita nel 1267 per
l'omonima chiesa bolognese da Nicola Pisano e dalla sua bottega».
L'elenco dei libri, che in età avanzata Ugolino decise di regalare
al proprio convento, Luciano Gargan l'ha ricavato dall'atto di
donazione (1312) conservato in una pergamena dell'Archivio di Stato
di Bologna che in realtà era già stata pubblicata mezzo secolo fa
da due storici dell'ordine domenicano, rimanendo però del tutto
inerte in fondo a uno studio per specialisti.
A valorizzarlo in una
dimensione di storia della cultura, in particolare di cultura
dantesca, è oggi la métis di Gargan, cioè il suo fiuto,
la sua capacità di riconoscere i dettagli importanti immersi nel
magma e di collegarli in una sottile ricostruzione filologica e
storiografica. Storicizzati, i dettagli respirano, tornano a parlare
di vita, di potenzialità e di realtà.
Tutte le ricerche di
Gargan «per la biblioteca di Dante» sono zeppe di materiali
interessantissimi. Le raccoglie ora un importante libro dell'Editrice
Antenore (che sempre più si conferma faro sicuro nel settore degli
studi su Medioevo e Umanesimo): una piattaforma di sintesi e di messa
a punto anche bibliografica essenziale per qualsiasi futura indagine
sulla cultura dantesca.
Piacerebbe avere spazio
per illustrare le tante novità che offre, specie sulla presenza dei
Vittorini. Ma mi limito all'ultimo fra i 14 libri dell'elenco
notarile bolognese del 1312, che mi fa sobbalzare mentre leggo: «Item
voluit frater Hugolinus predictus quod huic donationi adderetur liber
qui dicitur Scala Mahometti... ».
Dunque, fra Ugolino "aggiunse"
ai libri di teologia e di filosofia regalati alla biblioteca di S.
Domenico di Bologna quel famoso e un po' misterioso Libro della
Scala di Maometto che (annota giustamente Gargan, nella sua
sobria prudenza filologica) «non è menzionato in nessun altro
inventario di biblioteca medievale». Dante, durante i suoi studi
bolognesi «nelle scuole delli religiosi», poté quindi leggere,
tradotta in latino, la storia del viaggio di Maometto
nell'oltretomba, accompagnato dall'arcangelo Gabriele.
«Poté» leggere: non
«lesse certamente». È chiaro che su questo punto le polemiche tra
i filologi si accenderanno. A me pare tuttavia che questo dettaglio
rappresenti una punta di diamante fortissima, incisiva, per stabilire
un affidabile paradigma di compatibilità logica, storica,
documentaria. Per la prima volta abbiamo la prova sicura che, negli
anni stessi in cui Dante scriveva la Commedia, in una delle
biblioteche in cui è verosimile che egli abbia studiato si
conservava il Libro della Scala, forse nella stessa versione
latina approntata nel 1264 nella Toledo di Alfonso X "il Saggio"
dal notaio Bartolomeo da Siena.
La pubblicò nel 1949
Ernesto Cerulli, traendola da un codice parigino segnalato nel 1944
da Ugo Monneret de Villard, e congetturando che Brunetto Latini,
maestro di Dante e ambasciatore di Firenze a Toledo, potesse essere
stato mediatore dell'arrivo dell'opera in Italia (un'utile traduzione
italiana, con il testo latino a fronte, procurò l'anno scorso
un'allieva della Corti, Anna Longoni).
Cerulli puntualizzava le acute
ricerche del grande arabista spagnolo Miguel Asín Palacios che per
primo, nel 1919, con L'escatologia islamica nella Divina
Commedia, aveva segnalato l'affinità dell'impianto concettuale e
figurale dell'architettura dell'aldilà dantesco rispetto a quello
islamico (Carlo Ossola, definendolo «una delle poche opere-guida
nella produzione erudita europea del ventesimo secolo», lo fece
tradurre nel 1994). Oggi, scoprendo che nel 1312 i domenicani
bolognesi possedevano il Libro della Scala, la questione va
riaperta con un livello di compatibilità molto più alto.
Mentre leggo Gargan penso
al sorriso solare che sarebbe sbocciato, se avesse potuto conoscere
questi studi, sul volto di Maria Corti, la grande maestra coraggiosa,
generosissima, che negli ultimi anni di una vita intensamente
dedicata in particolare alla ricerca su Cavalcanti e Dante riprese
con intelligenza l'idea di Asín Palacios, segnalando «un possibile
influsso sulla metafisica della luce dantesca» da parte del Libro
della Scala, ma ribadendo prudentemente che l'influenza «è più
strutturale che puntuale, cioè tale da aver agito soprattutto
sull'idea organizzativa del poema, e solo localmente su qualche
episodio».
Quel sorriso lo immagina
di certo anche Gargan quando proprio a Maria Corti dedica un altro
dei suoi capitoli innovativi sui libri di logica, filosofia e
medicina «che Dante poté avere occasione di leggere o rileggere
mentre soggiornava a Bologna».
In un inventario del 1286
(lo scoprì nel 2008 Armando Antonelli), legato a «un singolare
processo in cui si trovò coinvolto il medico Tommaso d'Arezzo», per
la prima volta si trova una traccia sicura della circolazione
bolognese delle opere di Sigieri di Brabante e di Boezio di Dacia,
che la Corti, nel suo bellissimo Dante a un nuovo
crocevia(1981), propose fossero stati studiati direttamente da Dante,
e poi allegoricamente cifrati nella Commedia in «un rapporto
simbolico fra la vicenda di Ulisse e il pensiero degli aristotelici
radicali» (fra cui Guido Cavalcanti, compagno di studi di Dante
proprio a Bologna).
Trent'anni fa la polemica
divampò, e si disse che non esistevano prove che Dante avesse letto
quei testi. L'inventario del 1286, oggi studiato minuziosamente da
Gargan, dimostra che «l'incontro di Dante con l'averroismo latino»
assai probabilmente ci fu, e «poté avvenire nella facoltà di arti
e medicina di Bologna». Il buon Dio, abita nel dettaglio!
Il Sole 24 ore - 22
giugno 2014
Ecco i primi commenti che mi sono pervenuti tramite facebook:
RispondiEliminaFranco Mimmi :• Sempre tutti a sottolineare lo scontro anziché l'incontro delle culture, e guarda un po'...
circa un'ora fa •
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Muhammad Al Daire Muhammad Al daire
La Cultura strumento di Pace
Le radice islamiche nella Divina Commedia
La Sicilia e la Spagna, sotto il dominio degli Arabi non erano soltanto due porte spalancate dalle quale si sdoganava verso tutta l’Europa la cultura e la scienza araba-musulmana, ma anche due laboratori giganti a cielo aperto, pieni di produzioni scientifiche e letterarie.
La cultura e il progresso della scienza hanno raggiunto queste due paesi, di grande bellezza mediterranea, secoli prima di raggiungere il resto dell’Occidente. Basta pensare al caso dei Normanni. Prima di arrivare in Sicilia, provenienti dal nord Europa, i Normanni, che appartenevano a un popolo di predatori, sapevano solamente fare la guerra e depredare i territori dove arrivavano senza nessuna pietà umana, ma dopo il loro ingresso in Sicilia cambiarono totalmente.
Di li (dalla Spagna e dalla Sicilia ) la cultura e la scienza arabo musulmana si è diffusa in tutta l’Europa illuminandola. Le produzioni di tanti scienziati enciclopedisti arabo-musulmani come Al idrisi , Averroè, Avicenna, al-Ma'arrī e molti altri hanno insegnato e influenzato il modo di pensare degli scienziati, letterati e poeti occidentali tra questi il sommo poeta Italiano Dante Alighieri nello scrivere la Divina Commedia come lo evidenzia il seguente articolo La “Scala di Maometto” e la “Divina Commedia” di Gonzalo Alvarez Garcia pubblicato tempi a dietro.
• 56 minuti fa •
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Bernardo Puleio: sull'influenza dell'averroismo radicale nella formazione di Dante ed in particolare nel canto di Ulisse ho insistito durante la Settimana di studi danteschi dell'ottobre del 2012. Dante colloca in Paradiso l'eretico e laico Sigieri, grande nemico di Tommaso d'Aquino. Sul libro della scala da20 anni Anna Longoni insiste con radicalità estrema ben diversa dall'equilibrato giudizio di Maria Corti. Certo se fosse vero che Dante ha letto e in qualche modo preso a modello untesto riconducibile alla tradizione maomettana avremmo l'ennesima conferma dello spirito libero laico e manipolatore del fiorentino. Con buona pace di certi furbetti bigotti
• 50 minuti fa •
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Ester de Miro: Il pavimento a mosaico della cattedrale di Otranto raffigura proprio ai piedi dell'altare i segni zodiacali, e alla base, assieme al Paradiso terrestre, L'albero della vita...Nel sud di Federico II° la matematica e la scienza venivano da oriente, e quella di Castel del Monte fu l'unica reggia edificata non per difesa ma per lo sviluppo della cultura e del dialogo proprio con quelli che il papato considerava nemici...Fu quella la base della poesia e della cultura medioevale...