22 giugno 2014

DANTE E MAOMETTO


Arriva la conferma che nella biblioteca frequentata dal poeta c'era una copia del Libro della scala di Maometto che racconta un viaggio nell'aldilà del profeta dell'Islam.

Corrado Bologna

Dante e Maometto


Aby Warburg elesse a epigrafe della propria ricerca un motto divenuto celebre: «Der liebe Gott steckt im Detail», «Il buon Dio abita nel dettaglio». Nel dettaglio può nascondersi il buon Dio, ma certo anche il perfido Demonio. In una massa enorme di dati, se si individua con sottile sagacia ermeneutica «il particolare giusto» e si riesce ad aprirlo come un forziere, scaturirà un tesoro inatteso, un'intera visione del mondo. Un piccolo dettaglio, allora, diventerà una cornucopia, una bacchetta magica, una lampada di Aladino.

Le ricerche delle Annales lo hanno dimostrato con dovizia, spesso affidandosi a quell'arte della lettura delle tracce che gli inglesi chiamano serendipity. Abbiamo tutti nella memoria, per evocare un caso luminoso, la straordinaria biblioteca in miniatura del mugnaio cinquecentesco Menocchio, che Carlo Ginzburg dedusse dagli interrogatori dell'Inquisizione, e che permise di restituire un fossile culturale di grande importanza: il "Fioretto della Bibbia", il "libro delle cento novelle del Boccatio", il "cavallier Zuanne de Mandavilla" (cioè i Viaggi di John Mandeville), un perturbante, quasi incredibile Corano. «Ma Menocchio», commentava Ginzburg, «non era Montaigne, era soltanto un mugnaio autodidatta».

Quel Corano tra le mani di un mugnaio del XVI secolo in odore d'eresia brilla come una pepita d'oro nella ganga della miniera. Da un'altra miniera strepitosa, gli elenchi dei libri posseduti dalle biblioteche dei grandi Ordini mendicanti dei secoli XIII-XIV e smarriti lungo i secoli, è stato appena scavato un altro simile diamante rarissimo, dalla forma curiosa, che permette d'essere incastonato alla perfezione in un'elegante collana di ricerche avviate giusto un secolo fa.

Il giacimento è la «piccola ma significativa biblioteca messa insieme da un frate converso domenicano fuori del comune di nome Ugolino, di cui per ora sappiamo soltanto che all'inizio del Trecento svolse il compito prestigioso di "arcarius" e cioè di "guardiano" della celebre arca sepolcrale di san Domenico, eseguita nel 1267 per l'omonima chiesa bolognese da Nicola Pisano e dalla sua bottega». 
L'elenco dei libri, che in età avanzata Ugolino decise di regalare al proprio convento, Luciano Gargan l'ha ricavato dall'atto di donazione (1312) conservato in una pergamena dell'Archivio di Stato di Bologna che in realtà era già stata pubblicata mezzo secolo fa da due storici dell'ordine domenicano, rimanendo però del tutto inerte in fondo a uno studio per specialisti.

A valorizzarlo in una dimensione di storia della cultura, in particolare di cultura dantesca, è oggi la métis di Gargan, cioè il suo fiuto, la sua capacità di riconoscere i dettagli importanti immersi nel magma e di collegarli in una sottile ricostruzione filologica e storiografica. Storicizzati, i dettagli respirano, tornano a parlare di vita, di potenzialità e di realtà.

Tutte le ricerche di Gargan «per la biblioteca di Dante» sono zeppe di materiali interessantissimi. Le raccoglie ora un importante libro dell'Editrice Antenore (che sempre più si conferma faro sicuro nel settore degli studi su Medioevo e Umanesimo): una piattaforma di sintesi e di messa a punto anche bibliografica essenziale per qualsiasi futura indagine sulla cultura dantesca.

Piacerebbe avere spazio per illustrare le tante novità che offre, specie sulla presenza dei Vittorini. Ma mi limito all'ultimo fra i 14 libri dell'elenco notarile bolognese del 1312, che mi fa sobbalzare mentre leggo: «Item voluit frater Hugolinus predictus quod huic donationi adderetur liber qui dicitur Scala Mahometti... ». 
Dunque, fra Ugolino "aggiunse" ai libri di teologia e di filosofia regalati alla biblioteca di S. Domenico di Bologna quel famoso e un po' misterioso Libro della Scala di Maometto che (annota giustamente Gargan, nella sua sobria prudenza filologica) «non è menzionato in nessun altro inventario di biblioteca medievale». Dante, durante i suoi studi bolognesi «nelle scuole delli religiosi», poté quindi leggere, tradotta in latino, la storia del viaggio di Maometto nell'oltretomba, accompagnato dall'arcangelo Gabriele.

«Poté» leggere: non «lesse certamente». È chiaro che su questo punto le polemiche tra i filologi si accenderanno. A me pare tuttavia che questo dettaglio rappresenti una punta di diamante fortissima, incisiva, per stabilire un affidabile paradigma di compatibilità logica, storica, documentaria. Per la prima volta abbiamo la prova sicura che, negli anni stessi in cui Dante scriveva la Commedia, in una delle biblioteche in cui è verosimile che egli abbia studiato si conservava il Libro della Scala, forse nella stessa versione latina approntata nel 1264 nella Toledo di Alfonso X "il Saggio" dal notaio Bartolomeo da Siena.

La pubblicò nel 1949 Ernesto Cerulli, traendola da un codice parigino segnalato nel 1944 da Ugo Monneret de Villard, e congetturando che Brunetto Latini, maestro di Dante e ambasciatore di Firenze a Toledo, potesse essere stato mediatore dell'arrivo dell'opera in Italia (un'utile traduzione italiana, con il testo latino a fronte, procurò l'anno scorso un'allieva della Corti, Anna Longoni). 
Cerulli puntualizzava le acute ricerche del grande arabista spagnolo Miguel Asín Palacios che per primo, nel 1919, con L'escatologia islamica nella Divina Commedia, aveva segnalato l'affinità dell'impianto concettuale e figurale dell'architettura dell'aldilà dantesco rispetto a quello islamico (Carlo Ossola, definendolo «una delle poche opere-guida nella produzione erudita europea del ventesimo secolo», lo fece tradurre nel 1994). Oggi, scoprendo che nel 1312 i domenicani bolognesi possedevano il Libro della Scala, la questione va riaperta con un livello di compatibilità molto più alto.

Mentre leggo Gargan penso al sorriso solare che sarebbe sbocciato, se avesse potuto conoscere questi studi, sul volto di Maria Corti, la grande maestra coraggiosa, generosissima, che negli ultimi anni di una vita intensamente dedicata in particolare alla ricerca su Cavalcanti e Dante riprese con intelligenza l'idea di Asín Palacios, segnalando «un possibile influsso sulla metafisica della luce dantesca» da parte del Libro della Scala, ma ribadendo prudentemente che l'influenza «è più strutturale che puntuale, cioè tale da aver agito soprattutto sull'idea organizzativa del poema, e solo localmente su qualche episodio».

Quel sorriso lo immagina di certo anche Gargan quando proprio a Maria Corti dedica un altro dei suoi capitoli innovativi sui libri di logica, filosofia e medicina «che Dante poté avere occasione di leggere o rileggere mentre soggiornava a Bologna».

In un inventario del 1286 (lo scoprì nel 2008 Armando Antonelli), legato a «un singolare processo in cui si trovò coinvolto il medico Tommaso d'Arezzo», per la prima volta si trova una traccia sicura della circolazione bolognese delle opere di Sigieri di Brabante e di Boezio di Dacia, che la Corti, nel suo bellissimo Dante a un nuovo crocevia(1981), propose fossero stati studiati direttamente da Dante, e poi allegoricamente cifrati nella Commedia in «un rapporto simbolico fra la vicenda di Ulisse e il pensiero degli aristotelici radicali» (fra cui Guido Cavalcanti, compagno di studi di Dante proprio a Bologna).

Trent'anni fa la polemica divampò, e si disse che non esistevano prove che Dante avesse letto quei testi. L'inventario del 1286, oggi studiato minuziosamente da Gargan, dimostra che «l'incontro di Dante con l'averroismo latino» assai probabilmente ci fu, e «poté avvenire nella facoltà di arti e medicina di Bologna». Il buon Dio, abita nel dettaglio!


Il Sole 24 ore - 22 giugno 2014

1 commento:

  1. Ecco i primi commenti che mi sono pervenuti tramite facebook:

    Franco Mimmi :• Sempre tutti a sottolineare lo scontro anziché l'incontro delle culture, e guarda un po'...
    circa un'ora fa •

    Muhammad Al Daire Muhammad Al daire
    La Cultura strumento di Pace
    Le radice islamiche nella Divina Commedia
    La Sicilia e la Spagna, sotto il dominio degli Arabi non erano soltanto due porte spalancate dalle quale si sdoganava verso tutta l’Europa la cultura e la scienza araba-musulmana, ma anche due laboratori giganti a cielo aperto, pieni di produzioni scientifiche e letterarie.
    La cultura e il progresso della scienza hanno raggiunto queste due paesi, di grande bellezza mediterranea, secoli prima di raggiungere il resto dell’Occidente. Basta pensare al caso dei Normanni. Prima di arrivare in Sicilia, provenienti dal nord Europa, i Normanni, che appartenevano a un popolo di predatori, sapevano solamente fare la guerra e depredare i territori dove arrivavano senza nessuna pietà umana, ma dopo il loro ingresso in Sicilia cambiarono totalmente.
    Di li (dalla Spagna e dalla Sicilia ) la cultura e la scienza arabo musulmana si è diffusa in tutta l’Europa illuminandola. Le produzioni di tanti scienziati enciclopedisti arabo-musulmani come Al idrisi , Averroè, Avicenna, al-Ma'arrī e molti altri hanno insegnato e influenzato il modo di pensare degli scienziati, letterati e poeti occidentali tra questi il sommo poeta Italiano Dante Alighieri nello scrivere la Divina Commedia come lo evidenzia il seguente articolo La “Scala di Maometto” e la “Divina Commedia” di Gonzalo Alvarez Garcia pubblicato tempi a dietro.
    • 56 minuti fa •

    Bernardo Puleio: sull'influenza dell'averroismo radicale nella formazione di Dante ed in particolare nel canto di Ulisse ho insistito durante la Settimana di studi danteschi dell'ottobre del 2012. Dante colloca in Paradiso l'eretico e laico Sigieri, grande nemico di Tommaso d'Aquino. Sul libro della scala da20 anni Anna Longoni insiste con radicalità estrema ben diversa dall'equilibrato giudizio di Maria Corti. Certo se fosse vero che Dante ha letto e in qualche modo preso a modello untesto riconducibile alla tradizione maomettana avremmo l'ennesima conferma dello spirito libero laico e manipolatore del fiorentino. Con buona pace di certi furbetti bigotti
    • 50 minuti fa •

    Ester de Miro: Il pavimento a mosaico della cattedrale di Otranto raffigura proprio ai piedi dell'altare i segni zodiacali, e alla base, assieme al Paradiso terrestre, L'albero della vita...Nel sud di Federico II° la matematica e la scienza venivano da oriente, e quella di Castel del Monte fu l'unica reggia edificata non per difesa ma per lo sviluppo della cultura e del dialogo proprio con quelli che il papato considerava nemici...Fu quella la base della poesia e della cultura medioevale...

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