21 giugno 2014

EBREI TRA RAGIONE E RIVELAZIONE



Armando Torno

Gli ebrei tra ragione e rivelazione 
Giuseppe Laras, rabbino capo emerito di Milano, è tra gli studiosi più autorevoli del pensiero ebraico medievale. È presidente del Tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia, nonché uno dei massimi specialisti di Mosè Maimonide (Mosheh ben Maimòn). Di questo filosofo ha, tra l’altro, curato dei testi: Gli otto capitoli. La dottrina etica (Giuntina 2001) e Immortalità e resurrezione (Morcelliana 2006).

Sta ora uscendo il primo volume — il secondo a fine estate — di un’opera di sintesi che rispecchia i suoi studi, i mille percorsi: «Ricordati dei giorni del mondo». Storia del pensiero ebraico dalle origini all’età moderna (Edb, pp. 272, e 16.50). Nel successivo volume verrà esaminato il periodo dall’Illuminismo al mondo contemporaneo. Non si tratta semplicemente di una storia della filosofia ebraica, ma di una sintesi dell’inesausto pensare che testi biblici, talmudici, intuizioni mistiche della Qabbalah e produzioni vastissime della normativa rabbinica, la Halakhah, hanno accumulato accanto alle congetture filosofiche.

Rav Laras prende il lettore per mano guidandolo dallo shock che il pensiero talmudico sperimentò entrando in contatto con la razionalità greca fino alla grande sintesi scolastica medievale. È un’epoca in cui emergono due figure colossali: Sa’adyah ben Yoséph ha-Gaòn (882-942), primo traduttore della Bibbia in arabo, secondo il quale «per ben credere bisogna ben ragionare»; e Mosè Maimonide (1135-1204), giurista, medico, rabbino, pensatore innamorato di Aristotele, ma che — sottolinea Laras — «sul tema della creazione erige un netto steccato fra la speculazione aristotelica e il dato della Rivelazione».

Ecco inoltre l’autore offrire preziose indicazioni sull’epoca successiva all’espulsione degli ebrei dalla Spagna da parte di Isabella e Ferdinando (1492). Da quel momento il loro pensiero anziché interrogarsi su Dio si pose la questione riguardante il popolo d’Israele e il suo destino. Nacque una «identità marranica» che si manifestò attraverso «un’intima e straziante contraddizione all’interno dell’animo e della psiche degli ebrei».

È un aspetto della modernità. Laras sintetizza quel che letteratura e filosofia registreranno nei secoli successivi attraverso le opere di eminenti protagonisti: «Essere e non-essere, essere “fuori” ed essere “dentro”, volere e rifiutare, a cavallo tra ebraismo e cristianesimo, tra appartenenza al popolo di Israele e formale adesione al cattolicesimo, tra fedeltà sincera e tenace all’ebraismo e paura del peccato di apostasia: queste le caratteristiche di un vero e proprio sdoppiamento della personalità, che talvolta raggiunse una sorta di para-schizofrenia».

Si pensi a Spinoza e al suo maestro, il qabbalista Menasheh ben Israel, che ebbe tra l’altro un ruolo rilevante nelle trattative con il governo di Oliver Cromwell per la riammissione nei territori inglesi degli ebrei, espulsi nel 1290.

In entrambi i volumi (il secondo abbiamo avuto il permesso di vederlo in bozze) si nota il grande contributo dell’ebraismo italiano in seno alla più generale storia del pensiero ebraico e della normativa rabbinica. Lo provano figure quali Elia Delmedigo, maestro di Qabbalah di Pico della Mirandola e prezioso traduttore di Averroè, o Abravanel padre (uomo di Stato e commentatore dei testi biblici) o suo figlio, l’umanista noto come Leone Ebreo, autore dei Dialoghi d’amore (Roma 1535) in cui si fondono in una luce neoplatonica teorie ermetiche, orfismo, mistica ebraica e araba. Per aggiungere un altro protagonista: Leon da Modena, morto a Venezia nel 1648. Anche se fu tormentato dal vizio del gioco d’azzardo, lasciò scritti dottrinali e apologetici di notevole valore, tra i quali Arì Nohèm (Il leone ruggente ), in cui confutava la Qabbalah e i suoi sostenitori.

Il secondo volume si occupa della contrastata penetrazione del pensiero illuminista in seno alla tradizione dei figli d’Israele, dello scontro tra l’ortodossia rabbinica e la riforma ebraica (oggi coincidente con la maggioranza dell’ebraismo nord americano) e della nascita del sionismo. Laras sottolinea che il Novecento presenta una «difficile mappatura», giacché resta il secolo dei Protocolli dei savi anziani di Sion , della Shoah, della nascita dello Stato d’Israele (1948) e della «disfatta della filosofia» (così definisce l’adesione di Heidegger al nazismo).

La prefazione del libro è del cardinale Carlo Maria Martini. Fu scritta a suo tempo per la collana che ospita l’opera, «Cristiani ed ebrei», ma qui assume un particolare significato per l’amicizia che ci fu tra Laras e il porporato. I due, oltre ad avviare il dialogo ebraico-cristiano, si incontrarono poche settimane prima della scomparsa del cardinale. E reciprocamente si benedirono.

Il Corriere della sera – 20 giugno 2014

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