Domenica 7 settembre, alle ore 18, nella Biblioteca Comunale di Villafrati (PA) si presenta l'ultimo numero di Nuova Busambra.
Interverrano Rosario Mercante, in rappresentanza del Comune di Villafrati, e i redattori della rivista Salvina Chetta e Francesco Virga. Seguirà pubblico dibattito.
Pubblichiamo di seguito l'articolo di Salvina Chetta, compreso nella rivista, che mette a fuoco problemi che non riguardano soltanto Villafrati ma tutti i paesi del nostro territorio, come è dimostrato dal testo successivo del marinese Ezio Spataro.
Compianto per un paese
di Salvina Chetta
Paese, periferia di abitazioni incompiute, grigie, infinite, piani su
piani costruti dai padri per i figli e i figli dei figli che sono partiti,
emigrati. Ma i padri speranzosi continueranno a costruire. Ancora e ancora, giù
giù, un chilometro più vicino alla grande città. Palazzoni senza intonaco,
senza infissi ai piani alti, groviere per piccioni e panni stesi ad asciugare,
case che attendono i figli lontani che forse non torneranno più. Via Pio La
Torre, otto case su otto sono incompiute, Via Pietro Nenni, otto palazzi su
otto sono incompiuti, Via Sandro Pertini, nove case su undici sono incompiute,
Via Giovanni Verga, dieci case su diciassette sono incompiute, Via Matteotti,
sette case su quindici sono incompiute. O Vicolo ultime case, dietro di te
ancora altre case, palazzoni grigi tetri.
Paese sventrato, centrifugato. Sei stato violentato, travolto da una
valanga di rimesse, il denaro svizzero dei tuoi emigrati. Ritornati, ti
volevano nuovo, alla moda cittadina, con i palazzi dalle forme e dai colori
sgargianti. Anglosassoni le insegne dei pub e delle pizzerie: Storik Garden
Little Room. Luoghi nei quali, tuttavia, si può mangiare il cuddiruni.
Alla moda pure la tua scuola, un cubo di vetro di fronte al tabacchi, da cui i
tuoi scolari possono mirare ogni mattino l'andirivieni del pensionato o
disoccupato che tenta col gioco la fortuna. Le tue botteghe hanno per clienti
anziane signore, per i motorizzati nella zona industriale c'è il Villaggio
globale, un centro commerciale dove si leva bianchissima la statua di Padre
Pio che accoglie a braccia aperte i consumatori. Bisognerebbe riflettere un po'
di più sul sesto comandamento: Non commettere atti impuri. Non
mescolare le cose. Che serenità mi mettono nello spirito le rovine del tuo
baglio, un'incrostazione d'azolo, Vicolo calcare... No, no, non rimpiango il
tuo passato, paese, non rimpiango il fango delle tue strade, che neppure ho
conosciuto. Ma forse non è pure questa abbondanza, questa confusione di stili e
di cose miseria?
Chiuse le persiane del centro storico. Vuote le case di corso Sammarco,
su cui svetta, come lume del paese dei morti, la croce al neon della Chiesa
Madre. La tua piazza, fagocitata dalla veranda di una pizzeria, è deserta. I
vecchi si incontrano alla rotonda de La strada larga, dove i giovani fanno
cricca a mezzo busto dai finestrini delle auto parcheggiate.
Gerani di plastica pendono dai balconi di via Cialdini, terrazzi
infioriti pure il giorno della festa sacramentata, l'Infiorata. Genocidio di
germogli e di ginestre. Feste consacrate al denaro, dissacrate dagli sponsor
attorno al Crocifisso, crociferi dello squallore. Tornano per la festa i
migranti, vecchi e nuovi, a gridare sotto il palco assieme al cantante: viva il
Santissimo dei Santissimi, viva! E se ne andranno dinuovo. Viva! Domattina
tutto tornerà come prima, oggi è domenica, domani si muore. Viva! Si
spengono le luminarie. Paese che fosti di gesso e di pane, solo le notti ti
sono bianche, ma di un bianco che acceca, che abbaglia, specchio per allodole
affamate, avide di menzogne. Triste quest'anno pure il tuo carnevale col
carro preso in prestito da un paese di
mare.
Hai dimenticato, paese, le tue calcare, la lentezza dei tuoi somari, scecchi
issalori. U paisi ri scecchi issalori, si diceva, ma ai tuoi
abitanti suonava come un'ingiuria. Anche se precario meglio il ceto
impiegatizio. Che infamente quel giornalista! E' passata anche questa.
Il teatro da qualche anno è chiuso, è tetro, se lo mangiano i topi. E'
fuggita la gioventù, è morta, è sfiorita. Imbarcano senza canzoni con i
nuovi corredi di camicie e mutande i miei paesani. Non tornano più, le loro
radici erano pesanti, infradicite, le hanno recise, ora si portano dietro un
moncone come una ferita sempre di rosso vivo.
Salvina Chetta
Salvina Chetta
****
EZIO SPATARO
LA PROSPETTIVA "NESCI"
Ci sono
famiglie che dopo 30 anni
non hanno
ancora finito l'affacciata
nelle
case del Gorgaccio
nelle
alte periferie del Calvario
case
senza volto
con
spuntoni di ferro
che
sporgono dai pilastri
tumori
edilizi
di una
terra malata
resistente
ad ogni sanatoria
Con
grandi portoni di ferro
sigillarono
le loro dimore
con
finestre di alluminio
chiusero
gli occhi verso il mondo
mentre
preparavano altarini al Santissimo
nelle mura della nefandezza
nelle
periferie moderne
dove le
case senza prospetto
nascondono
vite senza prospettiva
Avevano
cominciato con le pietre d'asparo
quando le
donne facevano l'astratto
davanti
le porte di quegli obbrobbri
false coltivatrici
dirette
che
mandavano i figli al collocamento
o nelle
latrine del sindacato
pastori
che conducevano armenti
al
foraggio delle mangiatoie politiche
pregando
nei templi sacri del do ut des
gente che
non usava la piazza
per fare rivoluzioni
gente che
passeggiava nella piazza
tra un
turno di 50 giorni al bosco
e un
turno di cazzeggio
piazza
che non tiene a mente nulla
piazza
poco Tien a Men
dove i
carri armati
sono
carrozzoni amici
Capitani
coraggiosi
ne
gesuiti, ne euclidei
giovani
affamati di futuro
scelsero
la prospettiva Nesci
partendo
per mondi lontanissimi
distanti da quei carri armati
coi
cannoni puntati.
Coi
carrozzoni avevano giocato da bambini
nelle
discese del paese
ma il
gioco era finito da un pezzo
l'Ungheria era ormai presa
i carri
stavano arrivando
era tempo di fuggire
dal bersaglio dei cannoni
Milano 11 giugno 2014 EZIO SPATARO
Nessun commento:
Posta un commento