06 settembre 2014

DOMENICA 7 SETTEMBRE NUOVA BUSAMBRA A VILLAFRATI



Domenica 7 settembre, alle ore 18, nella Biblioteca Comunale di Villafrati (PA) si presenta l'ultimo numero di Nuova Busambra.

      Interverrano Rosario Mercante, in rappresentanza del Comune di Villafrati, e i redattori della rivista Salvina Chetta e Francesco Virga. Seguirà pubblico dibattito.

      Pubblichiamo di seguito l'articolo di Salvina Chetta, compreso nella rivista, che mette a fuoco problemi che non riguardano soltanto Villafrati ma tutti i paesi del nostro territorio, come è dimostrato dal testo successivo del marinese Ezio Spataro.




Compianto per un paese 
di  Salvina Chetta



  Paese, periferia di abitazioni incompiute, grigie, infinite, piani su piani costruti dai padri per i figli e i figli dei figli che sono partiti, emigrati. Ma i padri speranzosi continueranno a costruire. Ancora e ancora, giù giù, un chilometro più vicino alla grande città. Palazzoni senza intonaco, senza infissi ai piani alti, groviere per piccioni e panni stesi ad asciugare, case che attendono i figli lontani che forse non torneranno più. Via Pio La Torre, otto case su otto sono incompiute, Via Pietro Nenni, otto palazzi su otto sono incompiuti, Via Sandro Pertini, nove case su undici sono incompiute, Via Giovanni Verga, dieci case su diciassette sono incompiute, Via Matteotti, sette case su quindici sono incompiute. O Vicolo ultime case, dietro di te ancora altre case, palazzoni grigi tetri.

  Paese sventrato, centrifugato. Sei stato violentato, travolto da una valanga di rimesse, il denaro svizzero dei tuoi emigrati. Ritornati, ti volevano nuovo, alla moda cittadina, con i palazzi dalle forme e dai colori sgargianti. Anglosassoni le insegne dei pub e delle pizzerie: Storik Garden Little Room. Luoghi nei quali, tuttavia, si può mangiare il cuddiruni. Alla moda pure la tua scuola, un cubo di vetro di fronte al tabacchi, da cui i tuoi scolari possono mirare ogni mattino l'andirivieni del pensionato o disoccupato che tenta col gioco la fortuna. Le tue botteghe hanno per clienti anziane signore, per i motorizzati nella zona industriale c'è il Villaggio globale, un centro commerciale dove si leva bianchissima la statua di Padre Pio che accoglie a braccia aperte i consumatori. Bisognerebbe riflettere un po' di più sul sesto comandamento: Non commettere atti impuri. Non mescolare le cose. Che serenità mi mettono nello spirito le rovine del tuo baglio, un'incrostazione d'azolo, Vicolo calcare... No, no, non rimpiango il tuo passato, paese, non rimpiango il fango delle tue strade, che neppure ho conosciuto. Ma forse non è pure questa abbondanza, questa confusione di stili e di cose miseria?

  Chiuse le persiane del centro storico. Vuote le case di corso Sammarco, su cui svetta, come lume del paese dei morti, la croce al neon della Chiesa Madre. La tua piazza, fagocitata dalla veranda di una pizzeria, è deserta. I vecchi si incontrano alla rotonda de La strada larga, dove i giovani fanno cricca a mezzo busto dai finestrini delle auto parcheggiate.

  Gerani di plastica pendono dai balconi di via Cialdini, terrazzi infioriti pure il giorno della festa sacramentata, l'Infiorata. Genocidio di germogli e di ginestre. Feste consacrate al denaro, dissacrate dagli sponsor attorno al Crocifisso, crociferi dello squallore. Tornano per la festa i migranti, vecchi e nuovi, a gridare sotto il palco assieme al cantante: viva il Santissimo dei Santissimi, viva! E se ne andranno dinuovo. Viva! Domattina tutto tornerà come prima, oggi è domenica, domani si muore. Viva! Si spengono le luminarie. Paese che fosti di gesso e di pane, solo le notti ti sono bianche, ma di un bianco che acceca, che abbaglia, specchio per allodole affamate, avide di menzogne. Triste quest'anno pure il tuo carnevale col carro  preso in prestito da un paese di mare.

  Hai dimenticato, paese, le tue calcare, la lentezza dei tuoi somari, scecchi issalori. U paisi ri scecchi issalori, si diceva, ma ai tuoi abitanti suonava come un'ingiuria. Anche se precario meglio il ceto impiegatizio. Che infamente quel giornalista! E' passata anche questa.

  Il teatro da qualche anno è chiuso, è tetro, se lo mangiano i topi. E' fuggita la gioventù, è morta, è sfiorita. Imbarcano senza canzoni con i nuovi corredi di camicie e mutande i miei paesani. Non tornano più, le loro radici erano pesanti, infradicite, le hanno recise, ora si portano dietro un moncone come una ferita sempre di rosso vivo. 
Salvina Chetta
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EZIO SPATARO
 
LA PROSPETTIVA  "NESCI"



Ci sono famiglie che dopo 30 anni
non hanno ancora finito l'affacciata
nelle case del Gorgaccio
nelle alte periferie del Calvario
case senza volto
con spuntoni di ferro
che sporgono dai pilastri
tumori edilizi
di una terra malata
resistente ad ogni sanatoria

Con grandi portoni di ferro
sigillarono le loro dimore
con finestre di alluminio
chiusero gli occhi verso il mondo
mentre preparavano altarini al Santissimo
nelle mura della nefandezza
nelle periferie moderne
dove le case senza prospetto
nascondono vite senza prospettiva

Avevano cominciato con le pietre d'asparo
quando le donne facevano l'astratto
davanti le porte di quegli obbrobbri
false coltivatrici dirette
che mandavano i figli al collocamento
o nelle latrine del sindacato
pastori che conducevano armenti
al foraggio delle mangiatoie politiche
pregando nei templi sacri del do ut des
gente che non usava la piazza
per fare rivoluzioni
gente che passeggiava nella piazza
tra un turno di 50 giorni al bosco
e un turno di cazzeggio
piazza che non tiene a mente nulla
piazza poco Tien a Men
dove i carri armati
sono carrozzoni amici

Capitani coraggiosi
ne gesuiti, ne euclidei
giovani affamati di futuro
scelsero la prospettiva Nesci
partendo per mondi lontanissimi
distanti da quei carri armati
coi cannoni puntati.

Coi carrozzoni avevano giocato da bambini
nelle discese del paese
ma il gioco era finito da un pezzo
l'Ungheria era ormai presa
i carri stavano arrivando
era tempo di fuggire 
dal bersaglio dei cannoni
 
Milano 11 giugno 2014              EZIO SPATARO 


 

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