Un film da vedere
anche solo per una colonna sonora capace di conquistare anche i non
patiti del country. Una riflessione sull'amore e sulla vita dalle
cui prove nessuno esce indenne.
Natalia Aspesi
Colpo al cuore
«Piangeremo a casa »,
impone Elise a Didier, attorno al lettino d’ospedale dove alla loro
meravigliosa piccola, ridente Maybelle hanno appena diagnosticato un
male terminale. Si guardano perduti, cercando di aggrapparsi a quel
reciproco fortissimo amore che, pur tanto diversi, li ha allacciati
nella felicità fino a quel momento. Il dolore sta per devastarli, ma
questo presente tragico viene continuamente confrontato con il loro
passato, quando era pieno di reciproche scoperte, di gioia, di
futuro, in un alternarsi temporale di fatti e sentimenti che fanno di
"Alabama Monroe" un grande, commovente film che colpisce al
cuore.
Elise è una lunga bionda
di semplice bellezza, maestra di tatuaggi che invadono il suo corpo
con farfalle e volti, e nastri e fiori, e anche un revolver proprio
puntato sul sesso; Didier ha una bella faccia nascosta da una gran
barba e una massa di capelli rossastri e suona il banjo in una band
di omoni sdruciti, che cantano e usano solo gli strumenti a corda
della musica Bluegrass, di cui il pezzo più celebre, Will the
circle be unbroken, apre e percorre tutto il film (il cui titolo
originale, "The broken circle breakdown" capovolge il senso
della vecchia canzone). Non siamo nel Kentucky, ma in una piatta
campagna vicino alla città fiamminga di Gand, e Didier è un maturo
neo hippy belga, adoratore dell’America, che vive in un camper
accanto a una casa da ricostruire, tra galline, cani e cavalli: Elise
lo seduce distendendosi sul cofano dell’auto in bikini a stelle e
strisce, il bel corpo illustrato dai tatuaggi come una invitante
graphic novel.
Come era facile allora
essere felici solo guardandosi, con le facce che si facevano di luce
senza parlarsi, come è dura guardarsi adesso, vicino a quella dolce
piccina che le chemioterapia rende calva, che sorride docile nella
sofferenza, che con i primi tentativi di cura con le cellule
staminali pare stare meglio e può tornare a casa, la testolina
avvolta in una sciarpa, la band che l’accoglie con le sue storie
buffe, la mamma che canta ormai con loro. Quella bambina dalla vita
sospesa è diventata tutto per Elise e anche per Didier che quando
aveva saputo del suo arrivo non si era sentito pronto a una
sconosciuta responsabilità dentro una vita che ne era completamente
priva, vissuta alla giornata tra la musica, la birra, un grande
amore, un camper.
Un giorno un uccello
sbatte contro la veranda che Didier ha costruito per la famiglia, e
Maybelle ne raccoglie disperata il corpicino senza vita: non vuole
buttarlo, piange su un evento per lei sconosciuto come la morte, e
vuole essere sicura che lo ritroverà magari in una stella. È la
prima frattura tra Elise che crede nelle possibilità magiche della
vita e anche nella fede e nel piccolo crocefisso che ha regalato alla
bambina, e Didier, per cui non ci sono illusioni, che sa che la morte
è la fine di tutto. In un letto d’ospedale Elise s’intreccia al
piccolo corpo di Maybelle, e il suo volto impietrito, svuotato dalla
disperazione, annuncia a Didier che andandosene, quell’uccellino
pieno di grazia e di promesse che è stata Maybelle, ha portato via
con sé ogni loro possibilità di vivere, di amarsi, di tornare a
essere come un tempo, quando Maybelle non c’era ancora, o
addirittura come se non ci fosse mai stata.
Il dolore separa, il
dolore distrugge, il dolore spegne, toglie loro ogni possibilità di
aiutarsi, capirsi, ricostruirsi: perché Elise e Didier hanno due
modi inconciliabili di affrontarlo; e l’amore diventa rancore e
l’uno vede nell’altro la responsabilità per quella piccola bara
bianca che sotto la pioggia viene ricoperta di terra, accompagnata
dal coro sommesso delle note funebri di Will the circle be unbroken,
nata decenni prima come un inno cristiano di accompagnamento al
cimitero.
Il film del regista belga
Felix Van Groeningen era tra i cinque candidati all’Oscar per le
opere straniere, il rivale più pericoloso per "La grande
bellezza", che comunque ha meritato la vittoria. Il titolo
italiano "Alabama Monroe", si riferisce al nome, Alabama,
che Elise si dà dopo la morte di Maybelle, mentre Monroe è il nome
del musicista americano che viene considerato il padre del Bluegrass.
I due protagonisti, Veerle Baetens (Elise) e Johan Heldenberg
(Didier), sono meravigliosi, pure come cantanti. Anche se nell’ultima
parte si disperde in un accavallarsi di fatti e di perorazioni
antiamericane poco convincenti, il film è indimenticabile,
soprattutto per la forza straordinaria di una musica popolare che
aderisce alla storia come la voce di un sapiente narratore.
La repubblica – 5
maggio 2014
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