22 settembre 2014

AMORI E OSSESSIONI DI PABLO PICASSO


 
 
Un Picasso forse sconosciuto ai più in mostra a Firenze. L'artista dialoga con i suoi contemporanei alla ricerca di un senso profondo delle cose che lo ossessiona. Una mostra a Firenze racconta il legame indivisibile tra la vita e l’opera di Picasso, tra la sfera privata dell’uomo e quella pubblica dell’artista. Una riflessione diventata arte.


Marco Gasperetti

Nel segno di Picasso. Paure, amori, ossessioni

Palazzo Strozzi racconta l’artista e i suoi rapporti con Miró, Dalí e altri. In un dialogo serrato alla ricerca del moderno Le sale del Palazzo, nove per l’esattezza consacrate alla mostra, non si percorrono in modo lineare, passo dopo passo. Non esiste partenza, né arrivo, manca un centro, non s’intravedono confini cronologici. Ci si muove, in un improbabile ipertesto, tra monadi di segni e di colori, nella luce e nell’oscurità, nel tormento e nell’estasi, nella mutazione dell’arte.

L’unicità di «Picasso e la modernità spagnola», sontuosa rassegna che si è aperta sabato a Palazzo Strozzi, curata da Eugenio Carmona, ordinario di Storia dell’arte all’Università di Málaga, si avverte immediatamente dopo aver varcato la «soglia» nella quale 90 opere (dipinti, disegni, incisioni, sculture) ci raccontano storie simili e diverse, parallele e convergenti, raccolte in un unicum che a volte disorienta, ma poi dopo l’assimilazione, sorprende.

Picasso è raccontato soprattutto nella sua interiorità, percorrendo gli abissi della psicanalisi. Accade quando nella sala 1 (ma la numerazione è solo formale) un libro e un’installazione multimediale ci svelano la leggenda di Frenhofer, l’ombra di Pablo. Frenhofer è il pittore, inquieto e sfortunato, protagonista di un racconto di Honoré de Balzac, Il capolavoro sconosciuto , che negli anni Venti l’imprenditore e mercante d’arte francese Ambroise Vollard, volle trasformare in libro di lusso con le illustrazioni di Picasso. Perseguitato dall’idea di creare un capolavoro assoluto, Frenhofer si uccide perché dopo anni di lavoro la sua opera non è compresa.



Il genio di Malaga s’identifica con il protagonista del racconto, lo descrive, ma ha la capacità (con la narrazione della sua vita fortunata) di invertire il destino, di creare capolavori difficili e di successo. «Il terrore di non essere compreso era uno dei mostri che opprimevano l’inconscio di Picasso», spiega Carmona.

E quel libro, forse, è un atto di creazione scaramantica. Uno specchio deformato, come Il pittore e la modella (1963) l’olio che trionfa nella stessa sala. Nella mostra (nata dalla collaborazione tra Fondazione Palazzo Strozzi e il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, insieme alla Soprintendenza PSAE e per il Polo Museale della città di Firenze) non mancano i capolavori: Ritratto di Dora Maar (1939) per la prima volta in Italia, Testa di donna (1910), illuminano il percorso, insieme all’Arlecchino di Salvador Dalí (1927), Figura e uccello nella notte (1945) e Siurana, il sentiero (1917) di Miró. Eppure non sono così essenziali.

Perché l’essenza di «Picasso e la modernità spagnola» si conquista decifrando i chiaroscuri dell’anima e leggendo la descrizione dell’universo femminile (le donne di Picasso sono qui rappresentate nelle molte forme della carne e dello spirito) anch’esso traboccante di significati esoterici e psicanalitici. Nella sala 7, «Verso Guernica : la Tragedia, Minotauromachia » (1935) Pablo si trasfigura nel Minotauro-violentatore, mentre una bambina saluta.



È la rappresentazione di Marie-Thérèse Walter, la modella 17enne che Picasso, sposato, conobbe a 45 anni e accettò come amante (con il placet della famiglia della ragazza), non senza turbamenti che nell’ambigua vicenda del Minotauro cerca di sublimare nell’arte, ybris che diventa nemesis con la cecità del mostro, la peggiore maledizione per l’artista. Nelle sale-monadi si ha una visione completa di quell’arte. Si resta abbagliati nella sala 4, «Lirismo. Segno e superficie», dove Pablo e altri spagnoli lavorano con segni sintetici per provocare le stesse emozioni della poesia, linee e curvature di pennello e di materia scultorea. Ci si perde (sala 5) nella sopra-realtà del realismo magico, tra il surrealismo di Dalí e il pragmatismo di Antonio López García.

E ancora si assiste alla metamorfosi (sala 8) di natura e cultura, un’altra ossessione di Pablo, idealizzata nella pittura. E ci si muove (sala 9) verso un’altra modernità. «Nella quale Picasso riflette sulla pittura, mentre Miró la espande e apre nuovi orizzonti», spiega Carmona. Ma sono ancora le sale 6 e 7, «Verso Guernica : il Mostro» e «Verso Guernica : la Tragedia», che tornano ad aprire i bastioni della città dei mostri. Cavalli e minotauri, tori e volti trasfigurati. Stavolta c’è anche un’evidenza temporale: 26 aprile del 1937 il bombardamento della città basca di Guernica. Picasso trae da quel genocidio l’ispirazione per il suo capolavoro.



Ma ne rimarrà travolto. Come stordito dal massacro continua a disegnare per mesi le stesse immagini, cavalli-donna travolti dal dolore, sofferenza di segni e di colori. «Una modernità spagnola che non può che essere unica in questa dimora rinascimentale nel cuore di Firenze — conclude Carmona —, anch’essa interprete dell’arte di Picasso».

Il Corriere della sera – 21 settembre 2014

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