27 settembre 2014

ART. 18: UNA GIUSTA CAUSA!





Qualche considerazione ulteriore  sul dibattito in corso intorno all’art. 18 oggi - dopo la vergognosa abdicazione di alcuni dirigenti della CGIL che hanno dimenticato la vittoriosa battaglia condotta qualche anno fa da uno dei suoi ultimi leaders all'altezza della  storia del più grande Sindacato italiano -  mi sembra particolarmente utile.

Difendere l’articolo 18 non vuol dire essere ideologici! Chi è privo di idee e senza principi è molto più ideologico di chi ha idee e principi.  Lo Statuto del 1970 è stata una conquista dei lavoratori e questi ultimi, secondo me, lo devono difendere anche  contro tutti  i partiti e i sindacati. 

f.v.



PERCHE’ L’ARTICOLO 18 VA DIFESO E RIGUARDA TUTTI

di  Piergiovanni Alleva


La que­stione dell’abrogazione o man­te­ni­mento dell’art.18 dello Sta­tuto dei Lavo­ra­tori è più che mai al cen­tro della scena poli­tica e ed è quindi dav­vero oppor­tuno dedi­carle tre sin­te­ti­che rifles­sioni su punti di fondo.
La prima rifles­sione riguarda le con­trad­dit­to­rie argo­men­ta­zioni che si sen­tono da parte dato­riale e gover­na­tiva: da una parte si mini­mizza il pro­blema asse­rendo che riguarda una pic­cola mino­ranza di lavo­ra­tori, visto che le sen­tenze di rein­te­gra nel posto di lavoro ai sensi dell’art.18 sono appena 3.000 all’anno, ma dall’altra si afferma che è invece que­stione cen­trale e vitale, per­ché senza abro­ga­zione dell’art.18 non si avrà ripresa né pro­dut­tiva né occupazionale.
Il vero è — rispon­diamo — che l’efficacia e la fun­zione vera dell’art. 18 è quella di pre­ve­nire i licen­zia­menti arbi­trari: pro­prio per­ché essi pos­sono essere annul­lati, i datori di lavoro devono essere pru­denti e giu­sti nei loro com­por­ta­menti. Quelle 3.000 sen­tenze evi­tano — per dirla in sin­tesi — altri 30.000 licen­zia­menti arbi­trari o più. L’art.18 è, e resta, una fon­da­men­tale norma anti­ri­catto, che ha dato dignità al lavo­ra­tore pro­prio per­ché lo libera dal ricatto del licen­zia­mento di rap­pre­sa­glia, più o meno mascherato.
Quanto poi all’affermazione che l’art.18 costi­tui­rebbe un’ingiustizia verso quella metà circa dei lavo­ra­tori che non ne frui­scono, per­ché lavo­rano in imprese con meno di 16 dipen­denti è, più ancora che con­trad­dit­to­ria, para­dos­sale: se solo la metà di una popo­la­zione ha il pane, il pro­blema è di darlo a tutti, non di toglierlo a chi ce l’ha.
La seconda rifles­sione riguarda l’andamento del mer­cato del lavoro e dell’occupazione: dice la Con­fin­du­stria non­ché Renzi ed i suoi acco­liti che una volta che aves­sero le mani libere di licen­ziare a loro arbi­trio, i datori, potendo «spa­dro­neg­giare», assu­me­reb­bero volen­tieri, e che i lavo­ra­tori subi­reb­bero magari una tem­po­ra­nea ingiu­sti­zia, ma sareb­bero poi com­pen­sati da un sistema di fle­x­se­cu­rity che tro­ve­rebbe loro altro ido­neo lavoro, garan­tendo, nel frat­tempo, il loro reddito.
Si tratta di due cla­mo­rose bugie: le imprese assu­mono se lo richiede la domanda di beni e ser­vizi e non per altri motivi, come è sto­ri­ca­mente dimo­strato, men­tre lafle­x­se­cu­rity è un imbro­glio e una falsa pro­messa in tutta Europa, ed in par­ti­co­lare in Ita­lia per­ché quando la disoc­cu­pa­zione strut­tu­rale supera il 10% repe­rire altro lavoro è dif­fi­ci­lis­simo, e le finanze pub­bli­che non pos­sono cor­ri­spon­dere inden­nizzi se non miseri, e per poco tempo: dal 2016, ad esem­pio, sarà abro­gata la inden­nità di mobi­lità trien­nale, e resterà solo la cosid­detta Aspi, di breve durata e con importi decrescenti.
La terza rifles­sione è la più impor­tante: que­sta sma­nia di abro­gare l’art.18 è solo un’antica sfida di potere da parte dato­riale o rien­tra in un ben più com­plesso pro­gramma di «rias­setto» socio-economico?
Tutto dimo­stra ormai che è quest’ultima la rispo­sta esatta per­chè la pre­ca­riz­za­zione totale dei rap­porti di lavoro, che si rag­giunge con i con­tratti a ter­mine «acau­sali» ma per il resto, (e cioè, per quella per­cen­tuale supe­riore al 20% con­sen­tita ai con­tratti a ter­mine), anche pro­prio con con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato non sog­getti a rein­te­gra in caso di licen­zia­mento arbi­tra­rio, è la con­di­zione prima di un esa­spe­rato sfrut­ta­mento del lavoro che sta rag­giun­gendo rapi­da­mente dimen­sioni mai sospettate.
Con il lavoro «usa e getta», esple­tato comun­que sotto ricatto e senza nes­suna cer­tezza del futuro, ben si potrà giun­gere, invero, anche a una dra­stica dimi­nu­zione dei salari sino alla soglia della sopravvivenza.
Il futuro che si pro­spetta è pur­troppo quello di un lavoro non sol­tanto privo di dignità ma anche sot­to­pa­gato per­ché i lavo­ra­tori pre­cari e ricat­tati che diven­te­ranno la nor­ma­lità non potranno più pre­sen­tare riven­di­ca­zioni col­let­tive e quindi, una volta caduti di fatto i con­tratti nazio­nali, lo stan­dard retri­bu­tivo sarà quello del sala­rio minimo garan­tito, che non per nulla il governo Renzi si pro­pone di intro­durre: già si cono­sce il livello di quel sala­rio, si trat­terà di non più di 6 € l’ora al netto del pre­lievo fiscale e con­tri­bu­tivo, il che signi­fica non più di 800 — 900 euro al mese.
Il nostro è già un paese in cui il 10% della popo­la­zione pos­siede addi­rit­tura il 50% della ric­chezza, e per con­verso il 50% della popo­la­zione deve accon­ten­tarsi di divi­dere un misero 10% della ric­chezza stessa, ma que­sto non basta ancora ai fau­tori del neo­li­be­ri­smo e di tutte le altre cosid­dette «libertà eco­no­mi­che», tra cui quella di licen­ziare arbi­tra­ria­mente. Non è sol­tanto un’antica aspi­ra­zione di potere delle classi domi­nanti, ma è anche la con­di­zione di un ancor più accen­tuato sfrut­ta­mento e impo­ve­ri­mento delle grandi masse.
Pos­siamo solo pre­pa­rarci ancora una volta a una grande bat­ta­glia a difesa della dignità del lavoro.

da il manifesto del 27 settembre 2014

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