di Alexik
“I politici li uso come i taxi: mi faccio portare dove voglio. Io pago la corsa”.
Mi
suona particolarmente attuale questo vecchio adagio di Enrico Mattei,
ora che l’AD dell’ENI Claudio Descalzi si ritrova indagato per una nuova
maxi-tangente da 1,92 miliardi di dollari, destinata ad “agevolare”
l’acquisto della concessione del giacimento nigeriano “Opl-245”.
Oltre
a Descalzi, nominato qualche mese fa da Renzi ai vertici dell’Ente
Nazionale Idrocarburi, l’inchiesta coinvolge anche gente ben più
navigata – come l’ex AD dell’ENI Paolo Scaroni e il faccendiere Luigi
Bisignani . Gente che si è fatta le ossa ai bei tempi di tangentopoli, e
nonostante le condanne è sempre rimasta al potere1.
Ma presenta un curriculum di tutto rispetto anche il principale
beneficiario nigeriano della stecca, quel Dan Etete che fu ministro del
petrolio durante la dittatura del generale Sani Abacha, e che poco prima
della destituzione, come “trattamento di fine rapporto” si autoassegnò
gratuitamente (in società con Abacha junior) la concessione dell’
“Opl-245”, il più grande giacimento off shore della Nigeria.
Per
capire di che soggetti stiamo parlando basta ricordare che fu Sani
Abacha, al potere in Nigeria dal 1993 al 1998, a disporre l’impiccagione
di Ken Saro Wiwa e di altri 8 militanti del MOSOP (Movement for the
Survival of Ogoni People). Queste le istruzioni dell’epoca per
l’esercito nigeriano: “Operazioni della Shell ancora impossibili in mancanza
di uno spietato intervento militare che consenta un’agevole ripresa
dell’attività commerciale… Raccomandazioni: azioni di distruzione
durante raduni MOSOP che giustificano l’intervento dell’esercito.
Eliminare gli obiettivi in tutte le comunità e a ogni livello di potere,
in particolare i soggetti più attivi all’interno dei vari gruppi”2.
Difficile
pensare che Dan Etete, all’epoca ministro del petrolio, non fosse
corresponsabile di tutto questo. Ecco, l’ENI paga la stecca a questa
gente qui.
E non parlo dell’inchiesta
di oggi (per carità … c’è la presunzione di innocenza), ma dei tempi in
cui la TSKJ – una joint ventures partecipata dalla Snam, dalla francese
Technip e dalla statunitense KBR/Halliburton – si occupò
sistematicamente di corrompere i vari regimi nigeriani succedutisi dal
1994 al 2004, per ottenere l’appalto della costruzione del gassificatore
di Bonny Island. In totale militari e politici nigeriani, fra cui Sani
Abacha, Dan Etete, e i successivi presidenti Abdulsalami Abubakar e
Olusegun Obasanjo, si spartirono in quell’occasione $180 milioni, in
cambio di contratti alla TSKJ per sei miliardi di dollari.
L’appalto
andò a buon fine, e l’ENI riuscì pure ad assicurare all’Agip una fetta
della gestione successiva dell’impianto di compressione del gas. Perciò,
se avete dei dubbi su chi abbia interesse a riempire il suolo italico
di degassificatori, ora potrete chiarirvi le idee.
La maximazzetta di Bonny Island ha già avuto i suoi strascichi giudiziari in Nord America3, Francia4,
e finalmente qui da noi, con la condanna della Saipem/Snam (difesa
dall’avvocato, nonchè ex ministro della giustizia, Paola Severino) a
600.000 euro di multa e 2,4 milioni di risarcimento alla Nigeria 5.
L’Eni se la sarebbe dunque cavata relativamente a buon mercato se
avesse dovuto fare i conti solo con la legge italiana. Peccato per lei
che gli stessi fatti fossero oggetto di inchiesta negli USA, dove per
evitare la condanna ha dovuto sborsare soldi grossi: 240 milioni di
dollari al U.S. Department of Justice e 125 milioni alla Securities and
Exchange Commission6 (la Consob americana).
Questo
per aver introdotto interferenze nelle sacre leggi del mercato
danneggiando la concorrenza con metodi sleali …non certo per aver
sostenuto e consolidato il potere di un branco di macellai sanguinari.
Concentrarsi
solo sull’aspetto corruttivo, astratto dal contesto, è un esercizio
fuorviante. Le tangenti sborsate da tutte le corporations petrolifere,
per quanto onerose, rappresentano la “giusta mercede” pagata ai vari
regimi nigeriani per l’accondiscendenza dimostrata di fronte allo stupro
della propria terra e per i servizi resi in termini di repressione dei
movimenti popolari.
Da
più di 40 anni, dall’inizio delle estrazioni, le popolazioni del Delta
del Niger sono sprofondate in un inferno industriale, che ha distrutto
le foreste, i campi, le acque del fiume, tutti i loro mezzi di
sussistenza, per lasciarsi dietro solamente fame, malattie, miseria e
morte. E violenza, tanta violenza.
Impossibile
contare tutti gli eccidi subiti da quella gente, nel corso delle lotte
per l’ambiente e per la vita, da parte dell’esercito e dei reparti
speciali della polizia nigeriana.
“Nel
luglio 1981 oltre 10.000 abitanti di Rukpokwu, nell’area di Pourt
Harcourt, bloccarono l’accesso a cinquanta pozzi della Shell di Agbada.
Contemporaneamente gli abitanti di tre villaggi Egbema occupavano la
seconda più importante installazione petrolifera dell’Agip, espellendone
i lavoratori e fermando la produzione per tre giorni. Gli Egbema
protestavano contro la mancata assunzione di indigeni, la mancata
elettrificazione e fornitura d’acqua nei villaggi e perché fosse
garantita scolarizzazione ai bambini. La rivolta fu sedata dalla polizia
antisommossa….
Nel 1987 gli
abitanti di Iko, un’isoletta di pescatori in Adoniland, organizzarono
una marcia pacifica di fronte agli impianti della Shell a cui, già da
anni, chiedevano un risarcimento e la restituzione del diritto all’acqua
e all’ambiente pulito. I reparti speciali della polizia arrivarono a
bordo di motoscafi della Shell, attaccarono il villaggio uccidendo due
persone e distruggendo decine di abitazioni….
Nel 1990, a Umuechem, nella
zona degli Igbo, una comunità vessata dalle continue confische di terre
da parte della Shell organizzò una manifestazione di protesta: I
reparti speciali fecero un massacro: ottanta persone furono uccise,
centinaia le case distrutte, tutti gli animali ammazzati” .
Da allora fu un crescendo. Negli anni ’90 la dittatura di Sani Abacha
scatenò contro gli Ogoni in rivolta un’inaudita violenza, inviando
provocatori a fomentare “scontri etnici” che causarono centinaia di
morti, torturando e impiccando le avanguardie del movimento, disponendo
l’occupazione militare dell’Ogoniland, l’incendio dei villaggi, lo
sterminio degli abitanti. Reagiva così, il regime militare, a un
movimento che spaventava per estensione, capacità organizzativa e
politica, tale da costringere la Shell a sospendere le attività sul
territorio.
Gli Ogoni non furono le
uniche vittime di Abacha. Nel maggio 1998 più di cento ragazzi di 42
villaggi dell’Ilajeland occuparono una piattaforma della Chevron per
protestare contro la devastazione ambientale. Bola Oynbo, un attivista
che era presente, racconta: “Non ci aspettavamo quello che poi seguì. I soldati saltarono giù in fretta (da quattro elicotteri guidati da piloti stranieri della Chevron) sparando.
Sparavano come fossero stati in guerra. Sparavano dappertutto. Trenta
giovani vennero feriti, due uccisi. Anche coloro che cercavano di
soccorrere quelli che stavano morendo furono colpiti”.
Il successore di Abacha sul podio della dittatura, Abdulsalami Abubakar,
si distinse per il massacro di Warri. Nel dicembre 1998 giovani
provenienti da 500 villaggi della nazione Ijaw si erano incontrati a
Kaiama per discutere su come riprendere nelle mani il proprio destino.
Il documento finale, la “Dichiarazione di Kaiama”,
chiamava tutti i popoli del Delta del Niger all’unità e alla lotta
comune contro la devastazione ambientale, la rapina delle risorse,
l’occupazione militare. Il Consiglio giovanile Ijaw esigeva il ritiro
dei soldati e l’interruzione dell’attività delle compagnie petrolifere
in tutto il territorio dello Ijawland entro il 30 dicembre. Quel giorno a
Warri una grande manifestazione pacifica venne attaccata dai soldati. “Oltre
duecento persone vennero uccise, altre vennero torturate e trattate in
modo disumano; molte altre vennero arrestate; ragazzine di dodici anni
vennero torturate e violentate”. “Poi ci furono i saccheggi, gli stupri e
le esecuzioni sommarie. Duecento persone Ijaw subirono l’amputazione di
un arto, soprattutto mani e braccia” .
Il regime di Abdulsalami Abubakar fu breve ma intenso: “ai
primi di gennaio i militari attaccarono sparando a vista due villaggi,
Opia e Ikenian, i morti e i dispersi si contarono a decine. Questa volta
le lance da cui sbarcarono e da cui proveniva la richiesta di
intervento provenivano dall’americana Chevron. Pochi giorni dopo, altri
ragazzi venivano uccisi dai soldati, ma questa volta nei pressi di un
impianto dell’Agip” .
Nel maggio ’99 in Nigeria arrivò finalmente la democrazia (!!!), le libere elezioni videro il prevalere di Olusegun Obasanjo,
che alla presidenza dello Stato nigeriano volle subito distinguersi dai
suoi predecessori …. per intensità dell’eccidio nell’unità di tempo:
nel novembre di quell’anno, infatti, provvide a far radere al suolo la
città di Odi, causando 2000 morti in un solo giorno. Obasanjo si
dimostrò poi capace anche di stragi meno pretenziose, come quella
dell’ottobre 2000, quando 10 manifestanti vennero uccisi durante una
protesta contro l’Agip7.
Abacha, Abubakar, Obasanjo….. si, proprio quelli sul libro paga della Snam.
Visti
i risultati delle mobilitazioni pacifiche, non provoca particolare
stupore il fatto che la metodologia di lotta delle popolazioni del Delta
del Niger abbia subito nel tempo una notevole revisione. Revisione di
cui anche l’ENI (così come le altre compagnie) ha dovuto, suo malgrado,
prendere atto:
23/01/06 – Assaltata una piattaforma dell’Agip nel Delta del Niger. 24/01/06
– Uomini armati camuffati da poliziotti assaltano la tesoreria
dell’impianto Agip di Port Harcourt. Svaligiano la banca interna e
lasciano 11 morti (9 agenti di sicurezza). 8/03/06 –
L’oleodotto dell’Agip che collega Tebidaba al terminal di Brass viene
fatto esplodere con una carica di dinamite. L’ENI stima una perdita di
13.000 barili al giorno. 11/05/06 – Sequestro lampo di
tre dipendenti della Saipem, sembra per l’opposizione della comunità di
Boguma al passaggio di un oledotto. 13/07/06 – Due esplosioni danneggiano stabilimenti Agip. 26/07/06
– Occupata una stazione di pompaggio dell’Agip a Ogboimbiri. Dodici
persone, fra soldati e dipendenti Agip sono tenuti in ostaggio. L’azione
è condotta da giovani della comunità locale che chiedono il rispetto di
un memorandum disatteso dall’Agip sull’assunzione di giovani del posto e
la promozione di programmi di sviluppo della comunità. 24/08/06 – Tre dipendenti Saipem vengono rapiti davanti al complesso del gruppo italiano a Port Harcourt. 04/10/06 – Abbordaggio contro un convoglio di sei battelli dell’Agip diretti a Brass. 28/10/06 – Occupata la stazione di pompaggio dell’Agip di Clough Creek. 06/11/06
– L’irruzione di un gruppo armato presso la stazione Agip di
Tebidaba-Brass blocca la produzione di 50.000 barili al giorno.
L’occupazione continua per vari giorni da parte della popolazione locale
che tiene in ostaggio una trentina di addetti. Vogliono il risarcimento
dei danni causati al territorio dalle perdite di petrolio dalle
condutture. 12/11/06 – Riassaltato e rioccupato per un giorno l’impianto dell’Agip di Clough Creek. 22/11/06
– Abbordaggio della nave-piattaforma Mystras, gestita dalla Saipem, al
largo di Port Harcourt. Rapiti un tecnico italiano e 6 lavoratori
stranieri. Un blitz delle forze dell’ordine provoca 4 morti, fra cui un
ostaggio britannico. L’italiano rimane gravemente ferito.7/12/06 – Rapiti 3 tecnici petroliferi italiani e un libanese in una stazione di pompaggio dell’Eni nella zona di
Brass. L’azione è rivendicata dal MEND (Movement for the Emancipation of the Niger Delta) 21/12/06 – L’irruzione di un gruppo armato presso la flow-station Agip di Tebidaba blocca la produzione di 40.000 barili al giorno. 3/05/07 – Assaltata una piattaforma off shore dell’Agip. Sequestro lampo di sei dipendenti. 5/05/07 – Attaccato un terminal dell’Agip. 8/05/07 – L’attacco di tre impianti costringe l’Agip a tagliare la produzione di 98.000 barili al giorno. 14/05/07 – Rapito vicino a Port Harcourt il responsabile dell’Ufficio Risorse Umane dell’Agip. 17/06/07 –
Viene occupata la stazione di pompaggio Agip di Ogbaimbiri dopo una
strage di civili da parte di una pattuglia dell’esercito di guardia
all’impianto. Quattro giorni dopo un blitz provoca 12 morti fra gli
occupanti. Il Times of Nigeria accusa le guardie private dell’ENI. 8 27/09/07
– Guerriglieri travestiti da soldati attaccano una piattaforma
dell’Eni. Nel conflitto a fuoco muore un tecnico Saipem, altri due
vengono portati via per un paio di settimane. 26/10/07 – Attacco del MEND alla piattaforma Mystras. Sei dipendenti vengono sequestrati per 4 giorni. 8/01/08 – Attacco all’Agip e alla Shell di Buruturo, accusate dai residenti di sversare liquami tossici. 21/01/08 – Incendiato un oleodotto dell’Agip. 13/04/08 – Incendiate due installazioni petrolifere Agip nell’area di Beniboye. 17/07/08 – Salta in aria un oleodotto dell’ENI. 24/07/08 – Rapiti per quattro giorni 5 tecnici Saipem. 07/09/08 – Arrembaggio ad una nave dell’Agip. Un marinaio ucciso e uno rapito. 8/07/09 – Il MEND rivendica il sabotaggio di un oleodotto dell’Agip. 16/03/11 – Il MEND rivendica l’esplosione di una bomba nella stazione di pompaggio dell’Agip di Clough Creek. 04/02/12 – Il MEND rivendica il sabotaggio di un oleodotto dell’Agip nello Stato di Bayelsa. 13/04/12 – Il MEND rivendica la distruzione di un pozzo e di un condotto dell’Agip. 27/07/12 – Il MEND attacca un trasporto di petrolio Agip al largo della costa dello Stato di Bayelsa. Un marinaio ucciso. 30/12/12 – Il MEND attacca una chiatta Agip nel Rivers State 9.
Data
la frequenza e continuità degli attacchi potrebbe sorgere il dubbio che
la multinazionale nostrana in Nigeria abbia fatto incazzare più di
qualcuno. E qualche incazzatura è plausibile l’abbia destata dalle parti
di Akaraolu, Ebocha, Kalaba, Ikarama, Ikienghenbiri,
Odioama, Kale, Okpai, Okashikpa, tutti luoghi che stanno pagando a caro
prezzo la “modernità” portata dall’ENI. (Continua)
Documento tratto da: http://www.carmillaonline.com/2014/09/28/prezzo-petrolio/
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