IIn un incredibile videomessaggio il presidente del Consiglio Renzi attacca a testa bassa la CGIL. Neppure Berlusconi aveva osato fare tanto. Se l’ha fatto vuol dire che cerca lo scontro.
Noi, per il momento, gli
rispondiamo in modo pacato con questo articolo del Manifesto:
di togli
ARTICOLO 18, UN VALORE PER TUTTI
di Guglielmo Ragozzino,
L’articolo 18 della legge 300/1970 è stato considerato per molti
anni come il simbolo della giustizia sociale, in fabbrica e fuori. «Il
capo guadagna 10 o 100 volte più di me, può fare gli orari e le
vacanze che vuole, assumere chi gli sta a cuore, però una volta
che io sono lì, al lavoro, non può mandarmi via. Il posto di lavoro
è anche mio. C’è un giudice (a Berlino) che, nel caso, me lo darà
indietro».
La giustizia sociale così espressa – lo abbiamo detto e ripetuto –
era fatta propria da tutti i lavoratori dipendenti, del settore pubblico
e di quello privato, dai lavoratori autonomi e dai senza lavoro.
I dipendenti pubblici come gli insegnanti, compresi le giovani maestre
precarie, oppure scrittori e avvocati parteciparono alla grande
manifestazione del Circo Massimo il 23 marzo 2002, fatta dalla Cgil di Sergio
Cofferati, senza badare al fatto che l’articolo in questione non li riguardava.
Era una cosa giusta, per tutti, era indivisibile come la giustizia. Era
un valore per tutti; si doveva impedire che fosse cancellato
o stravolto.
È ben noto che gli avversari dell’articolo 18, più o meno nello
stesso periodo, si erano avvolti nel mantello della libertà. «La fabbrica
è mia e quel certo sindacalista non lo sopporto proprio. Fa perfino
del sabotaggio» Non erano solo Marchionne e i suoi precursori
a pensarla così. Non pochi pensavano che la libertà di licenziare
fosse una delle libertà democratiche prescritte dfa un qualche emendamento
della Costituzione del Capitale. Il Capitale era tirato per i capelli
in questa discussione. Si argomentava che nessuno avrebbe rischiato investimenti
in Italia alla presenza di questo abominio oltretutto protetto da
un’alleanza incestuosa tra giudici e operai. Si fecero perfino dei partiti
politici nuovi – o rivoltati come una vecchia giacca – per sostenere
politicamente questi valori.
I testi che pubblichiamo in questo speciale mettono però in luce lo
scarto tra pensiero economico e ideologia padronale. Per mostrare
buona volontà l’estrema sinistra di cui essi si servono è John Maynard
Keynes, lasciando da parte altri autori più risoluti che forse avrebbero causato
qualche tempesta ideologica.
Altre leggi hanno modificato la legge 300 che a sua volta (in particolare
l’articolo 18) era il completamento della legge 604 del 16 luglio 1966.
I lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato si
sono nel frattempo ridotti di numero e in una vera trattativa sindacale
sarebbe stato possibile trovare un compromesso accettabile tra eguaglianza
e libertà, tenendo conto del valore simbolico e del rapporto di
forze. Forse si sarebbe potuto seguire una via difficile e operosa:
prima discutere di tutto il resto e poi della eventuale riscrittura di
questo o di quell’articolo di legge. Ecco però che viene di nuovo fatto
saltare tutto. Una parte della Confindustria, spalleggiata da personaggi
della politica e dell’accademia, con nomi che è inutile o dannoso
ripetere, vuole stravincere, vuole l’umiliazione di chi la pensa diversamente,
di chi crede davvero che gli uomini siano uguali tra loro.
Matteo Renzi, pover’uomo, mancando di un’idea personale, si accoda.
Ripete quello che gli hanno detto. Attacca i sostenitori dell’art.18
come fautori dell’apartheid tra lavoratori di serie A e di serie
B. Si fa rispondere da Stefano Fassina che, senza difese sindacali
e politiche, finiranno tutti in serie C.
da il manifesto del 19 settembre
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