Riprendo dal blog dell'amica Grazia Messina un testo di Michela Marzano (pubblicato oggi da La Repubblica) estratto
dell’intervento che la filosofa terrà domani al Festival di Filosofia, in
programma a Modena, Carpi e Sassuolo fino a domenica.
Perchè tanta ricerca di visibilità intorno a noi? Profili da inserire-
aggiornare- modificare- ovunque, incontenibili "mi piace", interventi
spasmodici nei social network rivelano l'incertezza di valere qualcosa e
il conseguente assillante bisogno di conferma dallo sguardo altrui.Ignorando o trascurando il fatto vero che il valore dell'essere sta in
noi stessi, in ciò che siamo e diamo, in ciò che costruiamo con le
nostre energie e le nostre risorse.
G. M.
Il protagonismo nella ricerca disperata di visibilità
“PROTAGONISMO . Se c’è un termine che sembra riassumere
perfettamente l’epoca contemporanea, è proprio questo. Nella sua duplice
accezione di “visibilità” e di “riconoscimento”. Da un lato, il bisogno
di essere sempre al centro dell’attenzione è ormai spasmodico, come se
l’unico modo di esistere fosse quello di ottenere visibilità e
notorietà. Dall’altro lato, i meccanismi di anonimato e
d’intercambiabilità che dominano molti ambiti della vita spingono molte
persone a rivendicare il riconoscimento per la propria singolarità.
Anche se poi non c’è nessun legame logico o concettuale tra visibilità e
riconoscimento. Anzi. Talvolta è proprio a forza di voler compiacere
tutti per accumulare i “mi piace” sui social network, che si finisce col
perdere di vista chi si è, e quello in cui si crede veramente.
Quando il protagonismo si riduce alla notorietà effimera che si può
conquistare sulla scena mediatica, i compromessi diventano il pane
quotidiano. Ciò che conta non è la propria individualità, ma l’immagine
di sé che si cerca di costruire alla ricerca del consenso. «Il bisogno
di gloria», scriveva il filosofo Emil Cioran nei Quaderni, «deriva da un
senso di totale insicurezza circa il proprio valore, dalla mancanza di
fiducia in se stessi». Se non si ha alcuna certezza di valere,
d’altronde, sembra evidente cercare conferme continue e dipendere dalla
sguardo altrui. Se si “vale” solo in base al numero di follower che ci
seguono, è difficile rinunciarci e smetterla di fare di tutto per
conquistarli. Tutto pur di essere protagonisti. Tutto pur di non
scomparire dalla scena. Anche se poi ci si svende per poco. E a forza di
tradire e di tradirsi, ci si perde. Come capirlo, però, in un mondo in
cui si è sistematicamente rinviati alla propria inutilità?
Il problema di fondo è proprio qui: a forza di essere “risorse”, e
in quanto tali interscambiabili perché di fatto “l’uno vale l’altro”,
nessuno si sente più riconosciuto. E il riconoscimento, come spiega bene
Axel Honneth, è la chiave di volta della fiducia. Si fanno sforzi, ci
si impegna, ci si batte. Ma se poi non si viene riconosciuti, e quindi
non si viene amati così come si è, non si è protetti a livello giuridico
da un sistema che rispetti la propria dignità e non si ha l’opportunità
di trovare un lavoro attraverso cui non solo garantire il proprio
sostentamento ma anche consolidare la propria identità — è proprio
attraverso i concetti di amore, diritto e lavoro che Honneth declina la
nozione di riconoscimento — non si può essere protagonisti della propria
vita. Ci si trascina alla ricerca di certezze. Ci si schianta contro
l’anonimato. E allora, invece di rivendicare il diritto a un
protagonismo reale, si scivola nell’illusione di conquistare importanza e
valore attraverso il protagonismo effimero dell’apparenza. Si ripete
una, mille, centomila volte “io”, ma di fatto l’io si sbriciola perché
ridotto a mera immagine. La controfigura di un protagonista. Che recita
un ruolo imparato a memoria, senza più sapere da dove viene e verso dove
va.”
Michela Marzano
Nessun commento:
Posta un commento