23 settembre 2014

P. PICASSO: STORIA DI GUERNICA


Guernica, forse l'opera più conosciuta di Pablo Picasso. Dopo averla vista a Parigi nel 1937, Asger Jorn prese Picasso a modello di artista che usa il pennello come uno strumento di lotta contro le barbarie e lo sfruttamento dell'uomo. “L'artista – scrisse – partecipa attivamente alla lotta. Nessuna individualità può sottrarvisi. Lo spettatore non esiste e non può esistere oggi”.
Francesca Bonazzoli

La coscienza civile nata da quegli incubi


Per realizzare la grande tela di Guernica (3,49 X 7,77 metri) a Picasso servirono solo una cinquantina di studi, eseguiti in dieci giorni. Poi l’artista spagnolo, che fin da piccolo fu riconosciuto come un grande virtuoso, passò subito a dipingere, impiegando solo cinque settimane: dal 1 maggio al 4 giugno del 1937.

Come se già intuisse che quella che stava per realizzare sarebbe diventata un’icona della storia dell’arte, lavorò sotto l’obiettivo della compagna, la fotografa Dora Maar, che documentò giorno per giorno la progressione dell’opera. Ecco perché, nella storia della pittura, Guernica è considerata un «oggetto primo»: era la prima volta che un’opera aveva origine sotto i riflettori dei mass media , che ne gestiranno la fama.

Quando la tela apparve al pubblico, in occasione dell’Expo di Parigi del 1937, la tela era già il vessillo della lotta contro il fascismo e neanche dieci anni dopo, alla fine della seconda guerra mondiale, Guernica diventò l’immagine simbolo che denuncia la barbarie di tutte le guerre nonché il più celebre manifesto politico del Novecento. La circostanza che portò alla nascita di Guernica fu il bombardamento del 27 aprile dell’omonima cittadina basca.

L’attacco, ad opera dell’aviazione tedesca alleata del dittatore spagnolo Francisco Franco, causò la morte di milleseicento civili e suscitò sdegno e commozione. Il governo repubblicano decise subito di commissionare a Picasso un’opera a sostegno della causa democratica e a futura memoria. Guernica divenne un simbolo visivo portentoso, riprodotto fin dal suo apparire in cartoline che circolavano anche nella Parigi occupata dai nazisti o nell’Italia fascista. Gli fu attribuito il ruolo di manifesto di propaganda politica per raccogliere fondi e consensi a favore della Spagna repubblicana e, a questo scopo pubblicitario, la tela fu fatta viaggiare incessantemente: dal 1953 al 1956 toccò 31 città straniere per sostenere la causa repubblicana.

Finita la guerra, venne esposta in Italia, Germania, Brasile e molti altri Paesi, per fermarsi al Museum of Modern Art di New York, dove è rimasta fino al 1981. Su esplicita richiesta testamentaria di Picasso l’opera non sarebbe potuta entrare in Spagna prima della caduta di Franco. Dopo la morte del dittatore, avvenuta nel 1975, Guernica ritornò in patria su un moderno jumbo, ma il suo valore era considerato così inestimabile che nessuna compagnia volle assicurare l’opera.

La sua prima destinazione fu il Prado di Madrid e poi, nel 1992, il Museo Reina Sofía da dove non è stata più spostata, nonostante l’amministrazione basca ne abbia più volte chiesto almeno il prestito temporaneo. Il governo spagnolo ha sempre opposto un netto rifiuto per paura che la tela non venga restituita.

I simboli nel dipinto furono spiegati dallo stesso Picasso: il toro rappresenta la brutalità, il cavallo il popolo, e la lampadina la Verità che fa luce sul luogo dell’orrore e smaschera la menzogna del regime fascista. Per quanto riguarda invece l’uso del bianco e nero, i commentatori hanno elaborato ogni tipo di interpretazione, ma la più interessante resta quella di J. L. Ferrier, che collega il bianco e nero alla prima pagina del «Ce Soir» del 1 maggio 1937 dove venne pubblicata la foto della città basca bombardata sotto il titolo «Vision de Guernica en flammes». E sempre come un giornale, secondo lo studioso francese, anche Guernica si può leggere a pezzi, senza seguire un ordine preciso. Ancora una volta, dunque, Picasso sarebbe stato «il primo pittore a concepire la sua opera secondo la nuova influenza dei mass media ».

La prova di quanto sia ancora forte la potenza simbolica della tela si è avuta il 5 febbraio 2003, quando il segretario di Stato americano Colin Powell si presentò nella sala stampa del Consiglio di sicurezza dell’Onu per illustrare ai giornalisti le ragioni della guerra all’Iraq. Alle sue spalle il grande arazzo che riproduce in dimensioni reali Guernica fu coperto con un telo azzurro (il colore dell’Onu): sarebbe stato infatti imbarazzante dover sollecitare un bombardamento su Bagdad sullo sfondo del quadro diventato simbolo universale degli orrori della guerra.



Il Corriere della sera – 21 settembre 2014

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