Nella foto Enrique Irazoqui il protagonista del Vangelo secondo Matteo di P.P. Pasolini, accanto al regista, nello sfondo dei celebri Sassi di Matera, in una pausa di lavorazione del film.
Enrique è diventato un nostro caro amico e sabato 27 settembre 2014 parteciperà alle iniziative programmate dal Comune di Palermo, in collaborazione anche con la rivista NUOVA BUSAMBRA, per ricordare il capolavoro pasoliniano.
Per dare qualche strumento in più per la migliore lettura del film indichiamo di seguito un link che riproduce un gran bel saggio di Paolo Vittorelli, stampato da una rivista specialistica qualche anno fa (Il vangelo secondo Matteo. Pasolini e il sacro «Crist al mi clama _ ma sensa lus»... _ Vittorelli _ Philomusica on-line.htm), e un mio breve articolo pubblicato qualche anno fa:
Enrique è diventato un nostro caro amico e sabato 27 settembre 2014 parteciperà alle iniziative programmate dal Comune di Palermo, in collaborazione anche con la rivista NUOVA BUSAMBRA, per ricordare il capolavoro pasoliniano.
Per dare qualche strumento in più per la migliore lettura del film indichiamo di seguito un link che riproduce un gran bel saggio di Paolo Vittorelli, stampato da una rivista specialistica qualche anno fa (Il vangelo secondo Matteo. Pasolini e il sacro «Crist al mi clama _ ma sensa lus»... _ Vittorelli _ Philomusica on-line.htm), e un mio breve articolo pubblicato qualche anno fa:
IL VANGELO SECONDO PASOLINI
La letteratura critica su Pasolini mi pare
che abbia trascurato, finora, i numerosi segni biblici presenti nella sua
opera. Basti pensare allo stile profetico delle invettive contenute nei suoi
ultimi scritti o al suo bellissimo Vangelo
secondo Matteo. Il film, dedicato
alla memoria del papa buono, uscì nel
1964. Ma, nonostante i riconoscimenti della critica, venne accolto con
freddezza e diffidenza dai settori più retrivi del mondo cattolico e comunista.
Il regista, infatti, fu costretto a dare spiegazioni anche sul settimanale Vie
nuove:
Non sono affatto cattolico, anzi
sono certamente uno degli uomini meno cattolici che operino oggi nella cultura
italiana […]. Ho amato, alla fine degli anni ‘40, la religione rustica dei
contadini friulani, le loro campane, i loro vespri. Ma cosa c’entrava lì il
cattolicesimo? Sono diventato comunista ai primi scioperi dei braccianti
friulani. […]. Forse appunto perché sono così poco cattolico ho potuto amare
il Vangelo e farne un film […]. Ho potuto farlo così come l’ho fatto,
perché mi sento libero, e non ho paura di scandalizzare nessuno; e, infine,
perché sento che la parola d’amore (incapacità di concepire discriminazioni
manichee, istinto di gettarsi aldilà delle abitudini, sempre, sfidando ogni
contraddizione), parola d’amore di cui è stato campione Giovanni XXIII, va
considerata un impegno nella nostra lotta.
Papa
Giovanni XXIII, insieme a Kennedy e Krusciov, nei primi anni ‘60 costituivano
la principale fonte di speranza di un mondo nuovo; e Pasolini condivise con
milioni di uomini questa speranza.
E in una
deliziosa pagina, scritta sullo stesso periodico nell’ottobre del 1964, il
poeta non mancherà di notare, tra le altre cose, l’influenza dell’amata
filologia nella formazione del “papa buono”:
Non c’è nulla di più follemente
aberrante del razzismo. Ora, da parte dei comunisti verso i preti, e da parte
dei preti verso i comunisti, c’è una specie di atteggiamento razzistico: essi,
volendolo o no, cedono a una specie di tentazione discriminatoria, che svaluta
l’interezza umana e storia dell’altro,
lo destituisce di realtà, lo dissocia.[…]. Come comunista anch’io non sono immune
da questa malattia inconscia, e l’anticlericalismo serpeggia come un verme
dentro di me, a succhiare il sangue dell’altro
fino a renderlo ombra, simbolo, schema di un insieme di cose che mi sembrano
ingiuste, di un mondo che rifiuto […] Papa Giovanni era incapace di
discriminare, di vedere nell’uomo l’altro,
il nemico per definizione […]. Questo voleva significare il suo sorriso […].
Ho saputo in questi giorni che quando era a Istanbul, egli frequentava le
lezioni di filologia e di critica stilistica di Auerbach; e questo mi spiega
molte cose, non solo il suo particolare modo di fare “lo spirito” (che è
tipico della persona raffinatamente specializzata), ma del “distacco” luminoso
che egli aveva dalle cose della vita, dello sguardo globale che egli gettava
sul mondo, al di là delle sue folli discriminazioni.
L’articolo
si conclude con due affermazioni che diventeranno pietre angolari nella storia
del dialogo tra marxisti e cristiani in Italia: 1. “Una filosofia atea non è la
sola filosofia possibile del marxismo”; 2. “Il grande nemico di Cristo non è il
materialismo comunista, ma il materialismo borghese”.
Il Libro
costituisce anche la fonte di una deliziosa Preghiera,
raccolta in Trasumanar e organizzar (1970), dove è ripreso il discorso evangelico delle
beatitudini:
Caro Dio,
liberaci dal pensiero del domani.
[…]
l’idea del potere non ci sarebbe se
non ci fosse l’idea del domani
[…]
Caro Dio,
facci vivere come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi.
In effetti risulta che Pier Paolo sia stato
assai prossimo alla conversione. Lo confermano, tra l’altro, gli scambi
epistolari che ebbe con alcuni volontari della Comunità di Assisi e, in
particolare, con Don Giovanni Rossi, al
quale, il 27 dicembre 1964 scrisse una lettera di cui vogliamo ricordare alcuni
passi:
Caro Don Giovanni, La ringrazio
tanto per le sue parole della notte di Natale: sono state il segno di una vera
e profonda amicizia, non c’è nulla di più generoso che il reale interesse per un’anima altrui. Io non ho nulla da darle
per ricompensarla: non ci si può sdebitare di un dono che per sua natura non
chiede d’essere ricambiato. […]. Ho detto delle parole aspre contro una data Chiesa e un dato Papa: ma quanti credenti, ora, non sono d’accordo con me?
[…]. Sono “bloccato”, caro Don Giovanni, in un modo che solo la Grazia potrebbe
sciogliere. La mia volontà e l’altrui sono impotenti.[…]. Forse perché io sono
caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella…
Nonostante l’esplicito rifiuto del
cattolicesimo, la figura di Cristo rimarrà sempre un punto di riferimento per Pasolini; in alcuni momenti, insieme a
Gramsci, il principale modello esistenziale e ideologico, l'origine culturale
indubbia di quel rifiuto della frattura tra ideologia e vita, come mostrano
molti suoi versi:
“Bisogna esporsi
(questo insegna / il povero Cristo inchiodato?), / [...] noi staremo offerti
sulla croce, / alla gogna, tra le pupille / limpide di gioia feroce, [...]
miti, ridicoli, tremando / d'intelletto e passione nel gioco / del cuore arso
dal suo fuoco, / per testimoniare lo scandalo”.
In particolare il binomio scandalo-follia - tratto
dalla prima lettera ai Corinzi, 1-23: “Noi predichiamo Cristo crocifisso,
scandalo per i Giudei, follia per i Gentili” - ricorre frequentemente nelle sue pagine,
applicata alle proprie o altrui esperienze come criterio di misura della
validità autentica di gesti, parole, fatti artistici che si pongono spesso come
“scandalo e follia”, rispetto al sistema socio-politico e ai codici linguistici
dominanti.
Palermo 2 novembre 2008 Francesco Virga
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