Miti
americani. Ristampato “tutti gli uomini del re” di Robert
Penn Warren, storia dell'ascesa irresistibile e della caduta di un
politico nel Sud profondo di un' America che per molti
versi sembra la “Padania” di oggi.
Remo Ceserani
Un mito populista
nella Louisiana degli anni ’30
E' stata una buona idea
quella delle case editrici 66thand2nd e Feltrinelli
di pubblicare nella nuova traduzione di Michele
Martino il classico romanzo di Robert Penn Warren Tutti
gli uomini del re («Indies», pp. 574, euro 23,00)
vincitore nel 1946 del Pultizer e reso
famoso da una trasposizione teatrale curata
dall’autore stesso e messa in scena nel 1947 a New York
dal grande regista tedesco Erwin Piscator, e poi
da una riduzione televisiva diretta da Sidney
Lumet (seguita da altre di altri registi) e da due
versioni cinematografiche, diverse ma
entrambe interessanti: una più libera diretta nel 1949 da
Robert Rossen con Broderick Crawford nei
panni del protagonista e l’altra, più
fedele al romanzo, diretta da Stevan Zaillian, con Sean
Penn come attore principale.
Il romanzo era già
uscito in traduzione italiana nel 1968 da Garzanti,
ma la nuova edizione ha il vantaggio di basarsi su una
versione originale restaurata a cura di Noel
Polk e pubblicata da Houghton Mifflin Harcourt,
che in più punti è diversa da quella che abbiamo letto tutti,
i capitoli sono divisi in altro modo, e il
protagonista non si chiama più Willie Stark
ma Willie Talos.
Il titolo del romanzo si ispira a una nota filastrocca popolare inglese: «Humpty Dumpty stava su un muretto/ cadde rotoloni a capofitto/ provarono a rimetterlo insieme/ tutti i cavalli e gli uomini del reame/ ma i loro tentativi non ebbero effetto». Tema principale è l’avventura politica di un ex contadino divenuto avvocato, asceso di prepotenza all’ufficio di governatore in un immaginario stato del sud e proiettato a divenire senatore e forse presidente degli Stati Uniti, assassinato per ragioni del tutto private, dietro al quale non si fa fatica a riconoscere la figura del governatore della Louisiana Huey Long. Siamo quindi nel genere del romanzo politico e del sottogenere tipicamente americano delle storie di governatori e presidenti del paese, delle trattative politiche, delle campagne elettorali. Il tema del populismo può spiegare sia la ragione della grande fortuna anche cinematografica del romanzo di Warren, sia forse la ragione dell’attuale ripescaggio italiano, essendo il populismo grande tema delle nostre cronache politiche.
In realtà il romanzo (unico scritto da Warren) racconta molto di più di una sensazionale storia di ascesa e catastrofe politica. Alla storia principale se ne intreccia un’altra, più sostanziosa e accompagnata da molte inserzioni saggistiche, che appartiene al genere del romanzo di formazione. Il vero protagonista è Jack Burden, studente di storia che non ha concluso gli studi, giornalista, uomo di fiducia e addetto stampa del governatore: il capo (il boss).
Burden è chiaramente proiezione dell’autore: Warren era un uomo del sud, cresciuto nel Kentucky, vicino un tempo al movimento politico dei «Southern Agrarians» (nemici dell’industrializzazione scesa dal nord a stravolgere la società tradizionale del sud), con sulle spalle il peso (in inglese il peso è burden, come il cognome del personaggio) della storia atroce della Guerra civile americana. Warren è stato più tardi attivo nelle cause sociali e contro le discriminazioni razziali. Insieme a John Crowe Ransom, Cleanth Brooks e altri è stato un protagonista del movimento letterario del «New Criticism». Ammirava Faulkner, la cui presenza, pur nella diversità degli stili, si avverte in Tutti gli uomini del re.
Warren era autore anche del bellissimo racconto The blackberry winter e, come poeta raffinato, di celebri liriche: anche di queste capacità si avverte la presenza nel libro, in particolare in tante belle descrizioni naturali, in tanti momenti di meditazione interiore, nella sovrabbondante presenza di metafore ispirate alla vita della campagna, della gente, degli animali nei torridi Stati del Sud.
Come romanzo di formazione è abbastanza speciale: la parabola del protagonista (che rappresenta simbolicamente quella di tanti giovani americani, sia del Sud che del Nord) va dalla fiducia ingenua nelle gioie della vita, dell’amicizia, dell’amore alla lenta (molto lenta, perché il ritmo della narrazione è volutamente pacato, meditabondo) presa di coscienza sempre più amara della presenza insidiosa del male e della corruzione in tutta la società e anche dentro la vita di persone ammirate, come la madre, la donna amata, il vecchio giudice e il vecchio governatore, amici di famiglia e sempre stimati.
Un po’ alla volta,
anche grazie al freddo metodo storico imparato da
studente, Burden scopre che la madre è persona
dedita solo a se stessa, al lusso, al piacere, colui che
egli credeva il padre è un povero vecchio in preda
a crisi religiose, il vero padre ha un passato da
nascondere (e per preservare la sua integrità
morale è costretto al suicidio), la donna amata,
compagna di giochi e confidenze, lo ha
tradito per ambizione legandosi al governatore,
l’amico più caro diventa un assassino, la corruzione
è dovunque e il suo grande eroe, il boss, ha sì una
vitalità ammirevole, ma anche debolezze
imperdonabili.
I suoi pensieri e le analisi sempre più approfondite della coscienza e dei sentimenti echeggiano talvolta le posizioni dell’esistenzialismo e di Camus. Via via più amare, sbocciano in pensieri come: «Gli studenti di storia imparano che l’essere umano è un marchingegno molto complicato e che non ci sono buoni e cattivi ma solo buoni-e-cattivi e che il bene viene dal male e il male viene dal bene, e gli ultimi se li prende il diavolo».
La nuova traduzione è scorrevole. Ci sono le inevitabili imprecisioni dovute a scarsa familiarità con la cultura biblica (le gerarchie angeliche dei troni, dominazioni e potestà diventano «ministri, regnanti e sovrani») e soprattutto con l’enciclopedia culturale (flora, fauna, cibi, proverbi, filastrocche), e le espressioni idiomatiche e strascicate degli Stati del Sud (i red-necks perdono la connotazione sociale e razziale dei lavoratori bianchi poveri e prendono quella religiosa dei «bigotti» e i niggers perdono il sapore razziale e paternalistico diventando semplicemente «negri»).
E c’è qualche
libero adattamento al nostro mondo, che è ormai
lontano dagli anni trenta, e così il tizio lop-haired (dai
capelli a ciuffo) e swivel-hipped (mobile sui
fianchi), che scrive commedie in un quartiere
squallido di Memphis diventa un «artista capellone»
degli anni sessanta. I personaggi così
fortemente connotati come americani del
sud, rustici e volgari ma anche timorati del dio
biblico e con il rispetto tradizionale
dell’onore, diventano un po’ improbabili quando
esclamano: «Vaffanculo a questo posto
del cazzo».
Il Manifesto – Alias 10
agosto 2014
Robert Penn Warren
Tutti gli uomini del re
Feltrinelli, 2014
euro 23,00
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