23 settembre 2014

MARX E LA RUSSIA CONTADINA






Il rapporto di Marx con la Russia (destinata, come si sa, poi a divenire il primo paese socialista) fu contradditorio. L'autore del «Capitale» ritenne inizialmente la Russia una nazione inadatta per la sua arretratezza a svolgere un ruolo rivoluzionario in Europa. Poi riconsiderò la questione alla luce di una analisi più approfondita del mir, l'antica comunità agricola russa. Un libro ricostruisce questo percorso.

David Bidussa

Quando Marx si sdoppiò

Nel dicembre 1917 Gramsci scrive che Il capitale di Marx in Russia era il libro dei borghesi, di coloro che erano convinti della «necessità che in Russia si formasse una borghesia, s'iniziasse un'èra capitalistica, s'instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che il proletariato potesse pensare alla sua riscossa,..» (Antonio Gramsci, La città futura, Einaudi, pagg. 514).

Eppure all'inizio, quando esce la prima traduzione de Il Capitale in russo, nella primavera del 1872, non era questa la situazione. Ettore Cinnella con questo suo studio di scavo intorno a un Marx per molti sconosciuto (giusto il titolo L'altro Marx), ci aiuta a comprendere perché.
All'inizio Marx non ha un fascino per la Russia che relega a periferia della storia. Il futuro si gioca tutto sul continente, tra Germania, Francia e soprattutto Inghilterra, il luogo dove ha preso forma la società industriale.

Schema già consolidato alla fine degli anni '40 e che non si modifica nei successivi venti anni. La Russia gli appare sotto le spoglie di un mondo lontano e se non nemico, certamente avversario anche in quelle figure con cui si trova a confrontarsi: da una parte Alexander Herzen, l'esponente più importante della prima generazione del populismo; dall'altra Michail Bakunin, il rivoluzionario che gli ha sottratto l'egemonia politica in Spagna, in Italia (ma anche nella Svizzera romanda) negli anni della Prima Internazionale (1864-1876).

All'inizio degli anni '70, nell'ultimo decennio della sua vita, il suo quadro concettuale, ma anche la sua sensibilità culturale, cambiano radicalmente. Lo si comprende meglio partendo dalla fine.

Nel febbraio 1881 (Marx morirà due anni dopo, nel marzo 1883) Vera Zazuli (1849-1919), esponente di punta del movimento populista in avvicinamento a Marx gli scrive chiedendogli se sia necessario o no l'abolizione della vecchia comune agricola russa, perché si avvii un processo d'industrializzazione e si definisca nel tempo un percorso di avvicinamento al socialismo.
In breve la domanda è se la Russia debba percorrere lo stesso iter economico e sociale dell'Occidente per giungere al socialismo. La risposta di Marx (che stende in più versioni) è possibilista, soprattutto rifiuta l'idea di un passaggio meccanico anche per la Russia come nel mondo economico occidentale dal XV secolo in poi. Solo se posta in condizione d'isolamento quel passaggio sarebbe obbligato. Ma la comune agricola russa, precisa Marx, può assorbire i vantaggi dello sviluppo economico e tecnologico permessi dal processo d'industrializzazione senza dover passare per lo stesso processo.

La rivoluzione, dunque, secondo una visione già allora "globalizzante" si direbbe oggi, ha più chance di avviarsi nei paesi "arretrati" che non in quelli avanzati (secondo un paradigma che poi sarà fatto proprio da Lenin e soprattutto da Trockij).

Marx alla vigilia della sua morte, dunque, non riconosce più una centralità del l'Occidente nel processo rivoluzionario. Un'affermazione, sottolinea Cinnella, che ha un riscontro con il dato che dopo la Comune di Parigi (18 marzo-28 maggio 1871) Marx non accenni più alla possibilità della rivoluzione all'Ovest.

Secondo Cinnella, non è un segnale improvviso. È una convinzione che si è affermata lentamente, a partire dal 1872, segnata da un'immersione totale di Marx nella discussione russa e dal confronto con le figure del pensiero economico e politico russo.

Una riflessione cui sono indispensabili più che i testi pubblicati, i molti quaderni di appunti, soprattutto su temi di antropologia e etnologia, che Marx stende in quel decennio. Il risultato è l'approdo a una visione che segna uno stacco profondo rispetto alle convinzioni che fino a tutti gli anni '60 Marx ha avuto rispetto alle realtà economicamente arretrate o coloniali (esemplari sono le sue note sull'India) e che consente appunto, di parlare di un «altro Marx».
Il Sole/24 Ore – 21 settembre 2014


Ettore Cinnella
L'altro Marx
Della Porta, 2014
15,00

Nessun commento:

Posta un commento