di Marco Cavinato
In
Guatemala le popolazioni che si organizzano di fronte agli interessi
delle grandi imprese stanno frenando l’espansione dello sfruttamento
minerario, idroelettrico e delle monocolture che distruggono le loro
terre e la loro forma di vivere. Dal 2008 le comunità hanno raggiunto
una coordinazione a livello nazionale, grazie alla quale gruppi di
lingua e cultura differenti si sostengono a vicenda nelle lotte
territoriali e si ritrovano unite nel reclamare con forza la Consulta
popolare come diritto fondamentale per la propria autodeterminazione,
lottando per il riconoscimento di questa contro una classe politica che
cerca di delegittimarla con ogni mezzo. I conflitti nei territori
indigeni legati alla terra e alla difesa delle risorse comunitarie in
Guatemala hanno profonde radici storiche. La rivoluzione del 1944 portò a
elezioni libere e democratiche che furono vinte da Jacobo Arbenz, il
presidente che verrà ricordato per aver nazionalizzato buona parte delle
terre del paese e averle redistribuite alla popolazione nullatenente.
Le terre in questione fino ad allora appartenevano principalmente alla
United Fruit Company, la multinazionale statunitense che commerciava
banane e frutta tropicale in tutto il continente (l’attuale Chiquita).
Uno
dei maggiori azionisti della compagnia, John Foster Dulles, era il
fratello del capo della CIA: la compagnia ha avuto un ruolo e una
responsabilità diretta nel golpe organizzato dal governo di Eisenhower
nel 1954 che ha riportato il territorio guatemalteco nelle mani di
governi fantoccio ma soprattutto delle multinazionali statunitensi. Con i
governi che si sono susseguiti da allora le cose non sono cambiate.
Soprattutto
negli anni settanta e ottanta, con il pretesto di una minaccia
comunista e in piena Guerra fredda, i governi al potere si sono resi
responsabili di centinaia di massacri, 200mila morti o scomparsi (più
dell’80% indigeni maya) e 450mila sfollati: il conflitto, conclusosi
ufficialmente nel 1996, ha rappresentato la fine di tutti i movimenti
sociali e indigeni di protesta.
Nonostante
i livelli estremi di violenza di quegli anni e la loro eredità di
sangue, emerge oggi un nuovo fermento sociale che attraversa il paese:
uno dei casi più emblematici è l’organizzazione dei popoli maya
d’Occidente (dipartimenti di Huehuetenango, San Marcos, Quetzaltenango,
Quiche, Sololá, Totonicapán) che si sta estendendo a tutto il
territorio. In Guatemala sono ufficialmente riconosciute 24 etnie e 22
di queste sono di origine maya. Le ricche risorse minerarie ed
energetiche del Guatemala sono sfruttate quasi esclusivamente da imprese
straniere e transnazionali che, di fatto, contribuiscono a renderlo uno
degli stati più poveri del pianeta. Negli ultimi decenni si è
registrato un aumento significativo delle concessioni per l’estrazione
mineraria, per le centrali idroelettriche e delle monocolture come la
palma africana o la canna da zucchero. Lo sfruttamento minerario,
dell’energia idroelettrica e del petrolio del paese vengono riassunti
dall’espressione ‘’modello estrattivista’’.
Per
capire meglio come le popolazioni, attraverso la Consulta, possano
sfidare l’attuazione di questo modello, ho incontrato Francisco, uno dei
leader della resistenza della zona di Huehuetenango, membro del Consejo Huista (in lingua k’iché’ si scrive wuxhtaj e vuol dire fratelli) e del CPO, il Consejo de Pueblos Maya de Occidente.
La zona di Occidente, da dove viene Francisco, è stata la prima a far
rivivere l’assemblea popolare ponendola come alternativa alla politica
dei partiti ‘’che sono sempre dalla parte delle ricche imprese e mai
della gente’’.
È significativa
l’esperienza della resistenza dei maya k’iché’ della zona di Sipakapa
contro la compagnia mineraria Marlin, di proprietà dell’impresa canadese
GoldCorp (pare però che dietro ai canadesi si nascondono grossi
interessi statunitensi, tanto per cambiare).
Dagli anni novanta GoldCorp ha cominciato a comprare concessioni e licenze per scavare in un territorio sempre più esteso, speso grazie a raggiri e approfittandosi della povertà materiale delle comunità della zona. Preoccupati dalla volontà dell’impresa di espandere la sua proprietà al loro municipio, le donne e gli uomini di Sipakapa si sono mobilitati manifestando alle autorità il loro totale rifiuto di qualsiasi tipo di scavi che avrebbero distrutto le loro montagne.
Dagli anni novanta GoldCorp ha cominciato a comprare concessioni e licenze per scavare in un territorio sempre più esteso, speso grazie a raggiri e approfittandosi della povertà materiale delle comunità della zona. Preoccupati dalla volontà dell’impresa di espandere la sua proprietà al loro municipio, le donne e gli uomini di Sipakapa si sono mobilitati manifestando alle autorità il loro totale rifiuto di qualsiasi tipo di scavi che avrebbero distrutto le loro montagne.
È
nata così a Sipakapa la prima consulta popolare del Guatemala
riguardante l’insediamento di progetti minerari nel giugno del 2005.
Nonostante non sia arrivato alcun riconoscimento da parte dalle autorità
verso questo esercizio democratico e popolare che ha visto la
partecipazione della quasi totalità della popolazione, la gente si è
opposta con fermezza agli intenti d’ispezione dell’impresa,
semplicemente bloccandogli il cammino. Come ricorda una donna di
Sipakapa, “il potere dell’impresa sono i soldi, però noi abbiamo il
potere di non farli entrare’’.
L’esperienza di Sipakapa ha messo
in allerta varie comunità minacciate dall’interesse delle imprese per le
loro abbondanti risorse: è così che hanno iniziato a crearsi le
consulte in vari territori abitati dalle popolazioni maya. Nel 2008 è
nato quindi il Consejo de los Pueblos Mayas de Occidente, che
collega le lotte delle comunità in tutto il paese (la O dell’acronimo
viene ormai letta come ‘’Organizados’’, perché non è più un fenomeno
ristretto solo alla zona di Occidente). Il CPO nasce come parte del
movimento indigeno internazionale, e ha anche l’obiettivo della
ricostituzione dell’identità originaria dei popoli maya visto che
‘’dalla colonizzazione a oggi abbiamo subito un’espropriazione della
nostra forma di vivere, di pensare e della nostra spiritualità’’.
Nei
municipi di Huehuetenango e San Marcos l’esperienza della Consulta
diventa presto una realtà imprescindibile, la partecipazione è
mediamente del 90% mentre alle elezioni politiche non va a votare più
del 40% dei membri delle comunità. È importante ricordare però che nelle
comunità dove le imprese operano già da tempo le cose sono più
difficili per chi si oppone a queste: a mezzora da Sipakapa si trova San
Miguel Ixtahuacán, dove ho incontrato Maudilia, Umberto e Crisanta,
dell’organizzazione ‘’Defensores de la Madre Tierra’’ che mi hanno
parlato della situazione nel loro municipio.
GoldCorp
in questa zona ha iniziato le negoziazioni nel 1996, e ha ottenuto la
licenza per iniziare i lavori di estrazione nel 2005. Da allora ha
comprato tutto e (quasi) tutti.
“Dal principio hanno dato moltissimi soldi alla municipalità, hanno finanziato la costruzione o la ristrutturazione di scuole e chiese, senza mai farsi mancare il loro ritorno di pubblicità”.
Arrivare in una comunità contadina in mezzo alle montagne, in cui la gente vive da anni del raccolto delle proprie terre, e portarvi palate di soldi ha ostacolato la formazione della Consulta, perché sembra che letteralmente GoldCorp sia stata in grado di distribuire abbastanza quetzales (la moneta guatemalteca) da poter rendere la distruzione della montagna e l’inquinamento delle acque dei problemi trascurabili per la maggior parte della gente.
“Dal principio hanno dato moltissimi soldi alla municipalità, hanno finanziato la costruzione o la ristrutturazione di scuole e chiese, senza mai farsi mancare il loro ritorno di pubblicità”.
Arrivare in una comunità contadina in mezzo alle montagne, in cui la gente vive da anni del raccolto delle proprie terre, e portarvi palate di soldi ha ostacolato la formazione della Consulta, perché sembra che letteralmente GoldCorp sia stata in grado di distribuire abbastanza quetzales (la moneta guatemalteca) da poter rendere la distruzione della montagna e l’inquinamento delle acque dei problemi trascurabili per la maggior parte della gente.
Il legame tra l’impresa e la municipalità a San Miguel è indissolubile da anni: “E’ l’impresa a formare e a scegliere i maestri delle scuole e i medici delle cliniche”, mi spiegano. In una zona dove la disoccupazione è altissima GoldCorp paga piuttosto bene i giovani laureati per andare nelle comunità a convincere la gente ad accettare i nuovi progetti. Organizza grandi feste invitando i gruppi locali più apprezzati e offrendo da mangiare, per questo la gente sembra fare più fatica ad accorgersi che per la prima volta una generazione di bambini non ha imparato a nuotare perché il fiume è inquinato (anche se qualcuno continua a lavarci la verdura).
I Defensores de la Madre Tierra
hanno organizzato un “tribunale di salute”: un fine settimana di visite
gratis in una clinica ai cittadini di San Miguel per stabilire e
quantificare malattie e danni derivati dalla contaminazione dell’aria e
dell’acqua. Il lunedì GoldCorp ha organizzato un grande evento regalando
un assegno gigante corrispondente a centinaia di migliaia di euro al
sindaco con festa annessa. Intanto muoiono gli animali che si abbeverano
al fiume Cuilco e tre ragazzi sono paralitici da quando hanno nuotato
nelle sue acque.
Fortunatamente però le imprese non sono ancora riuscite a far entrare il loro denaro ovunque.
La Consulta nasce come risposta comune al modello estrattivista che da decenni si è imposto in Guatemala. Si tratta di una vera e propria espropriazione messa in atto da imprese straniere sempre protette dal governo. Questa espropriazione “è territoriale ma anche ideologica, perché distrugge le basi fondamentali della nostra visione del mondo, colpendo la terra e l’acqua che per noi rappresentano la vita”.
La Consulta nasce come risposta comune al modello estrattivista che da decenni si è imposto in Guatemala. Si tratta di una vera e propria espropriazione messa in atto da imprese straniere sempre protette dal governo. Questa espropriazione “è territoriale ma anche ideologica, perché distrugge le basi fondamentali della nostra visione del mondo, colpendo la terra e l’acqua che per noi rappresentano la vita”.
Il
modello estrattivista è un’espropriazione totale perché estrazione
mineraria, del petrolio e sfruttamento dell’energia idroelettrica sono
fortemente connessi. Infatti, come dice Francisco, “senza energia non ci
sono miniere”. Oggi sono 80 i municipi che hanno istituito la propria
Consulta, e se per il governo guatemalteco era facile svincolarsi dalle
pretese della popolazione di una sola zona, “organizzati a livello
nazionale abbiamo molta più forza”. Per i maya il territorio è qualcosa
di imprescindibile, fortemente legato alla propria vita e alla propria
spiritualità. “La terra è tutto, è la nostra vita. Senza la nostra terra
non siamo niente”.
È quindi lo
stesso modo ancestrale di vivere la terra che obbliga moralmente chi non
ha perso la spiritualità tipica di questo popolo a organizzarsi per
difenderla. È fondamentale in questo contesto notare come grazie alla
Consulta le comunità siano riuscite a organizzarsi soprattutto in
maniera preventiva di fronte agli interessi estrattivi: per esempio nel
caso delle miniere le mobilitazioni iniziano già quando la comunità
diviene consapevole di un interesse da parte dell’impresa, prima che
venga concessa la semplice esplorazione: questo spesso ostacola
qualsiasi forma di ispezione, bloccando sul nascere gli intenti di
sfruttamento minerario.
“L’esercizio
del diritto alla Consulta per noi è fondamentale: la Consulta è giusta,
legittima e legale”. Questo strumento si è trasformato nella strategia
centrale della resistenza delle comunità, tanto condivisa per tre
ragioni principali. Innanzitutto l’assemblea è una pratica ancestrale
dei popoli maya per i quali la partecipazione è sempre stata
fondamentale, “le decisioni della nostra gente sono sempre state
collettive, mai individuali”. Un’altra ragione è il conflitto interno
che ha fatto sanguinare il paese: tanto orrore così recente ha reso la
maggioranza dei sopravvissuti (sono molti quelli che sono dovuti
scappare e che sono tornati in questi anni) allergici alle armi e
scettici rispetto a qualsiasi forma di lotta violenta.
Va inoltre considerato il fatto che lo stato del Guatemala nella sua costruzione storica ha escluso ed emarginato gli indigeni dal principio, nonostante questi rappresentino circa il 40% della popolazione totale, quindi fino a che non ci sarà una seria riforma dello stato, è facile intendere la sfiducia delle popolazioni originarie verso le istituzioni.
Va inoltre considerato il fatto che lo stato del Guatemala nella sua costruzione storica ha escluso ed emarginato gli indigeni dal principio, nonostante questi rappresentino circa il 40% della popolazione totale, quindi fino a che non ci sarà una seria riforma dello stato, è facile intendere la sfiducia delle popolazioni originarie verso le istituzioni.
Razzismo
e discriminazione contro gli indigeni continuano a essere forti in
Guatemala e, nonostante i livelli di partecipazione alla Consulta siano
largamente maggiori rispetto alle elezioni politiche, questa non è stata
riconosciuta dal governo, che però in alcune occasioni ha cercato di
regolamentarla organizzando forme di Consulta gestite dai partiti:
“Abbiamo sempre detto ‘no’, che la Consulta è l’espressione della nostra
autodeterminazione e la devono organizzare le popolazioni senza
intermediari”, spiega Francisco con orgoglio. Il CPO si sta mobilitando
in vari modi per il riconoscimento ufficiale della Consulta, che
rappresenta solo un primo passo contro il modello estrattivista: “Stiamo
lavorando alla ricerca di alternative politiche e economiche al modello
neoliberale. Cerchiamo anche di capire come affrontare il potere e
l’aggressività delle imprese che con vari mezzi entrano nelle comunità
per dividerle internamente. Il governo è sempre dalla loro parte, e
cerca in tutti i modi di criminalizzare la nostra lotta accusandoci di
essere terroristi e nemici dello sviluppo”.
La
repressione contro chi si organizza contro gli interessi delle
multinazionali delle miniere non si ferma solo alle persecuzioni legali.
Da una parte queste hanno portato a vari arresti di membri del CPO
negli ultimi anni, visto che solo qui, nella zona di Huehuetenango, due
militanti del Consejo sono stati uccisi negli ultimi tre anni.
Ma d’altra parte, denunciano nelle comunità, “sono sempre più frequenti
le aggressioni fisiche come forma di responsabilizzare i nostri
leader, che poi sono gli stessi che vengono accusati di terrorismo” e,
ancora una volta, il doppio gioco della criminalizzazione-aggressione
diventa lo strumento per combattere la resistenza organizzata contro i
grandi interessi.
All’inizio
di agosto nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) messicano, organizzato
dall’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) nel caracol
de La Realidad, in Chiapas, è stato riassunto senza mezzi termini uno
dei concetti chiave per il sottocontinente latinoamericano: “La guerra
contro i popoli indigeni dura da più di 520 anni e il capitalismo è nato
dal sangue dei nostri popoli. In questa nuova guerra di conquista
neoliberale la morte dei nostri popoli è la condizione di vita di questo
sistema’’. Nei territori del Guatemala segnati dal dolore, dal sangue e
dalle ingiustizie le popolazioni originarie si sono riprese la parola
in un processo di resistenza che qui viene anche definito di
re-esistenza. Comunità con lingue e culture differenti sono guidate
dalla consapevolezza che solo organizzate e soprattutto unite possono
far fronte agli interessi dei poteri forti, perché nella lucha
conta molto di più ciò che si ha in comune e, in questo caso, si tratta
soprattutto dell’interesse per la difesa delle proprie terre e della
propria vita.
FONTE: http://www.carmillaonline.com/
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