Cinque testi di Walter
Benjamin, scritti fra il 1929 e i 1933 e dedicati alla radio, un
media allora emergente. Scritti che anticipano nodi problematici e
temi che riguardano le attuali tecnologie della comunicazione e in
particolare come poter evitare che i media (allora la radio oggi la
TV) educhino alla passività.
Fabrizio Denunzio
L'attenzione è
questione di stile
Il 6 dicembre
del 1934 la «Frankfurter Zeitung”, periodico
tedesco di rinomata fama, pubblica un racconto
dal titolo Al minuto. Il protagonista, un
esperto di bibliologia, riesce a ottenere da
un’emittente radiofonica un breve programma di venti
minuti per presentare agli ascoltatori gli
aspetti salienti della sua materia di studio. Il direttore
della sezione, nel momento in cui gli conferisce
l’incarico, raccomanda al bibliologo, che da lì
a poco farà il suo debutto davanti ai microfoni, di
attenersi strettamente a due principi: uno
stile oratorio dal tono familiare e il rigido
rispetto dei tempi. Il programma deve concludersi
precisamente «al minuto». Da qui il titolo del
racconto.
Il bibliologo, che
dalla buona riuscita della conferenza si aspetta
molto, tornato a casa si addestra: vocalizza il
testo puntando gli occhi sull’orologio. Arrivato alla
stazione radiofonica, accolto con molto garbo
dall’annunciatore, è fatto accomodare in cabina.
Qui, una volta entrato, osserva con entusiasmo quello che
per un po’ sarà il suo luogo di lavoro, e ne apprezza tutte
le risorse che tendono a mettere il conferenziere
nella massima comodità: dal leggio alle poltrone,
dalle fonti d’illuminazione alla possibilità di
passeggiare tenendo con sé il microfono.
E naturalmente, l’orologio.
A causa di una svista,
il bibliologo, guardandolo, confonde le lancette
dei secondi con quelle dei minuti, così, dal credere di aver
finito, e di conseguenza, allontanatosi
dal microfono, indossato il cappotto e pronto per
andare via, passa improvvisamente alla
consapevolezza di non aver terminato la
conferenza, resosi conto dello sbaglio si precipita
di nuovo in postazione e, con una serie di rocambolesche
acrobazie vocali, colma i rimanenti quattro
minuti.
Nel preciso istante in cui prende coscienza dell’errore, al bibliologo capita di vivere una singolare esperienza: «In questa camera votata alla tecnica e all’uomo che grazie a lei domina fui colto da un brivido nuovo, eppure affine al più antico che noi conosciamo. Prestai a me stesso un orecchio cui ora, improvvisamente, non risuonava incontro altro che il mio silenzio. Un silenzio che riconobbi come quello della morte, che in questo preciso istante mi ghermiva contemporaneamente in mille orecchie e in mille stanze».
Modelli per l’ascolto
L’autore di questo
breve racconto è Detlef Holz, ossia, Walter
Benjamin che, dall’esilio a cui era stato costretto
nel marzo del 1933, in quanto ebreo e comunista,
ricorreva a questo pseudonimo per poter
continuare a scrivere su riviste tedesche
in una Germania oramai completamente
fascistizzata.
L’uscita di Radio Benjamin (Castelvecchi, traduzione di Nicola Zippel, pp. 114, euro 14) dà l’occasione per tornare a riflettere sull’esperienza radiofonica del grande autore tedesco.
L’uscita di Radio Benjamin (Castelvecchi, traduzione di Nicola Zippel, pp. 114, euro 14) dà l’occasione per tornare a riflettere sull’esperienza radiofonica del grande autore tedesco.
Su questo momento
della produzione benjaminiana, il lettore
italiano aveva fino ad ora altri due libri:
l’avanguardistico Tre drammi radiofonici,
uscito nel 1978 per Einaudi a cura di Umberto Gandini e mai
più ristampato, e Burattini, streghe
e briganti. Racconti radiofonici per ragazzi
(1929–1933), a cura di Giulio Schiavoni (Rizzoli,
pp. 387, euro 11).
I cinque testi che
compongono Radio Benjamin risalgono
a un intenso periodo di lavoro, a quando, cioè,
Benjamin, dal 1929 al 1933, collaborava
tanto con la radio di Berlino quanto con quella di
Francoforte.
La logica che presiede
la raccolta è chiara: affiancare ai testi andati in
onda e di cui era autore o co-autore – «Che cosa
leggevano i tedeschi mentre i loro
autori classici scrivevano» trasmesso il 16
febbraio 1932, e «Un aumento di stipendio? Ma che vi
viene in mente?» trasmesso il 26 marzo 1931 – quelli in cui
ne sviluppa e chiarisce le leggi di
composizione – Due tipi di popolarità:
principi fondamentali per un radio dramma,
pubblicato nel 1932 e Modelli di ascolto, scritto nel
1931 e qui tradotto per la prima volta in italiano. In
breve, teoria e pratica. Mai come nel corso del suo
lavoro radiofonico, Benjamin
è particolarmente attento alla griglia
analitica marxista.
Nella sua
essenzialità, Radio Benjamin riesce
in ogni caso a rendere conto di almeno un aspetto
specifico del lavoro svolto dal filosofo tedesco
in uno degli apparati di comunicazione più
significativi della prima metà del Novecento,
infatti, lì dove impiegato, Benjamin produceva,
non solo conferenze per l’infanzia o sulla
situazione letteraria internazionale,
ma anche e soprattutto Hörmodell, ossia
«modelli per l’ascolto» del tipo Cosa leggevano
i tedeschi o Un aumento di stipendio?,
in cui, avvalendosi delle risorse sperimentali
offerte dalla tecnologia radiofonica,
l’autore diventava un vero regista delle voci, le andava
drammatizzando in una sorta di teatrino acustico
a fini educativi: «Il fine principale di
questi modelli è di tipo didattico. L’argomento
trattato rientra in quelli delle tipiche situazioni
della vita quotidiana. Il metodo adottato consiste
nel confronto di esempio e contro-esempi».
Rovesciamenti
dialettici
Merito particolare
di Radio Benjamin, allora, è proprio la
pubblicazione di questo brevissimo
testo teorico, Modelli per l’ascolto, stranamente
escluso dalle Opere complete – la cui edizione si
è conclusa nel maggio del 2014 con l’uscita del
volume VIII, Frammenti e Paralipomena (Einaudi,
pp. 518, euro 90) – nelle quali si troveranno sì quasi
tutti gli ottanta testi radiofonici redatti da Benjamin
nel corso della sua collaborazione con le radio
di Berlino e Francoforte, come del resto si
troverà l’insieme di saggi che avrebbe dovuto costituire
una ideale teoria della radio (Teatro e radio, Colloquio
con Ernst Schoen, La situazione in radio e Riflessioni
sulla radio), ma nelle quali non si trova traccia di questo
frammento.
Il quinto testo che
completa la raccolta e con cui Radio Benjamin
si apre sono leRiflessioni sulla radio. In realtà, è l’unico
che salta fuori dalla logica del volumetto che punta, per il
resto, sul nesso teoria-pratica in funzione dei modelli
d’ascolto. Proprio perché estraneo a questa
stringente scelta editoriale, il saggio merita
un’attenzione speciale.
Al pari di quella lunga
nota della seconda versione tedesca dell’Opera d’arte
nell’epoca della sua riproducibilità
tecnica del 1936, in cui Benjamin fa della
solidarietà lo strumento per sciogliere la
compattezza delle masse piccolo-borghesi che, così coese,
tendono a reagire in modo spontaneamente
reazionario alle crisi economiche, e a
ribaltarla in coscienza di classe rivoluzionaria,
allo stesso modo, nelle Riflessioni sulla radio l’autore
progetta un eguale rovesciamento dialettico,
questa volta di un altro soggetto politico, il
pubblico: «Solo nella nostra epoca, segnata dall’impressionante
sviluppo del consumismo tra i fruitori
dell’operetta, dei romanzi e del turismo, si è venuta
a creare la massa ottusa e informe, il pubblico in
senso tecnico, privo di giudizio autonomo e di
un linguaggio che sia in grado di esprimere le
proprie sensazioni.
Questo
imbarbarimento è arrivato al suo punto
massimo proprio nel modo in cui le masse ascoltano
i programmi alla radio. Ora, però, sembra che la
situazione stia per cambiare. Sarebbe sufficiente
che chi ascolta si concentri su quello che prova
veramente, così da poterlo vivere in maniera autentica
e consapevole».
Agenti di questa
educazione emotiva, estetica e linguistica
dell’ascoltatore diventano le stesse risorse tecnologiche
messe a disposizione dalla radio: «Quello che molte
volte rende intollerabile l’ascolto anche delle
trasmissioni più interessanti sono degli aspetti
tecnici e formali: la voce, la pronuncia, il
modo di esprimersi. Si tratta esattamente di quegli
elementi che, anche se di rado, tengono l’ascoltatore
incollato all’apparecchio per seguire argomenti magari
lontani dai suoi interessi (…) La preparazione
tecnica dell’ascoltatore potrebbe svilupparsi solo
grazie a questi aspetti tecnici e formali
e uscire così dall’imbarbarimento».
Appare evidente che,
in sede di teoria dei media e di prassi lavorativa
negli apparati di comunicazione di massa, per
Benjamin non conta tanto la conquista
ideologica del pubblico, sulla quale, solo per fare un
esempio, puntava ancora un Adorno nell’intervista
radiofonica a Canetti nel marzo del 1962, quanto
l’affinamento tecnologico e culturale
della sua sensibilità. Con questa impostazione
del problema, Benjamin rinnova continuamente
l’approccio marxista al mondo delle comunicazioni,
dimostrando che, se nella sua opera si dà una teoria dei
media, questa è sistemica (radio-cinema)
e rivoluzionaria (investe la
condizione esistente di attori sociali come
l’ascoltatore e lo spettatore, per trasformarla
radicalmente).
Una precarietà
permanente
Nel racconto Al
minuto l’autore, attraverso il personaggio
e le vicende del bibliologo, ha trovato il modo per
elaborare narrativamente la sua
esperienza in radio e trarne, dall’esilio, anche un
bilancio finale. Ogni sequenza narrativa la richiama
e riassume: il rapporto collaborativo
«precario» con l’apparato, la regolamentazione
dei tempi di lavoro, il disciplinamento della
forza-lavoro ad opera degli strumenti di produzione,
la fascinazione per la sperimentazione
tecnologica e, improvvisa, la fine di ogni cosa.
Letta con Al minuto, la breve raccolta Radio
Benjamin viene restituita al significato
effettivo che il lavoro radiofonico ha avuto per
Benjamin.
Si avvicina, però,
il tempo in cui i risultati del dispositivo
pratico-teorico benjaminiano smetteranno di
riferirsi al suo autore o ai soli specialisti
della sua opera, e inizieranno a dipendere
da un altro referente. Sarebbe sufficiente, ad
esempio, immaginare cosa diventerebbe
questo Radio Benjamin nelle mani di uno speaker
di una web radio o in quelle di un programmatore
di palinsesti, in breve, vedendolo in opera nei nuovi
luoghi di lavoro in cui si produce plusvalore
simbolico e scommettere con decisione
sulla soggettività che ne verrebbe fuori
perché, come ci ricorda Benjamin in apertura
delle Riflessioni sulla radio, è un «grave errore
(…) distinguere per principio tra il conduttore
e il pubblico» e poiché, come rammenta
nelle conclusioni, l’unica cosa che conta è sempre
avere il pubblico dalla propria parte.
Il Manifesto -11 febbraio
2015
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