" E poi guardate le ali tremare”. In mostra a New York le poesie e i taccuini dell'artista che fece della strada un'opera d'arte.
Guido Andruetto
I taccuini di Basquiat
Un collage destrutturato
di idee, visioni e segni. Una sinfonia disturbata di parole e
pensieri che si susseguono disordinatamente da una pagina all'altra,
come un flusso di segnali a intermittenza. È il caos che esplode con
il suo ritmo e il suo suono nei taccuini di Jean-Michel Basquiat. Per
la prima volta saranno mostrati al pubblico al Brooklyn Museum di New
York (dal 3 aprile al 23 agosto), dove al quarto piano dello spazio
Morris A. and Meyer Schapiro Wing si sta ultimando in questi giorni
l'allestimento dell'esposizione Basquiat.
The Unknown Notebooks .
Si tratta di una corposa selezione di centosessanta pagine
estrapolate da otto dei quaderni e blocnotes su cui l'irrequieto
artista e graffitista newyorchese di sangue haitiano e portoricano,
scomparso nel 1988 per un'overdose di eroina, a soli ventisette anni,
aveva riportato frammenti di delirio e di poesia, enigmatici giochi
di parole, schizzi e pittogrammi.
Su alcune di queste pagine compaiono a volte soltanto numeri di telefono o indirizzi, come quello della Sperone Westwater Gallery a SoHo; oppure nomi di amici, come "Clemente", l'artista Francesco Clemente con il quale Basquiat collaborò insieme ad Andy Warhol nel 1984 per un progetto collettivo di pittura a sei mani dal titolo Collaborations.
Per quasi otto anni, dal
1980, Basquiat riempì pagine su pagine di appunti e piccoli disegni
di volti deformati, teschi, maschere e figure umane stilizzate,
alternando l'uso di pennarelli, matite e pastelli. Il giovane angelo
nero della Downtown scene di New York, l'alieno dell'hip-hop e delle
bombolette spray la cui pittura aveva la forza di una musica
primitiva e feroce, sapeva far volare i pensieri come farfalle per
poi fermarli di colpo sui fogli di carta dei suoi blocchetti.
"Una preghiera, la
nicotina cammina sui gusci d'uovo, medicati, la terra era un vuoto
amorfo — annotava Basquiat nel 1987 su una pagina in cui figurano
molti riferimenti al Vecchio Testamento —. Buio, buio volto del
profondo spirito attraverso l'acqua e luce fu. Era cosa buona.
Alitare nei polmoni dell'uomo, 2000 anni di amianto".
«Dai taccuini emerge la facilità con cui Basquiat usa le parole e la scrittura come elementi visivi al pari delle rappresentazioni figurative — ci spiega Dieter Buchhart, curatore della mostra con Tricia Laughlin Bloom — con il suo approccio è stato un predecessore della società della conoscenza e della generazione del copia e incolla, quasi anticipando la cultura del web e dell'ipertesto. Ha realizzato innumerevoli combinazioni di oggetti identici e di sequenze con costellazioni di significati, ispirato da fumetti e cartoon, dai disegni dei bambini, dalla pubblicità, dalla pop art, dall'arte azteca, africana, greca, e dalla vita sulla strada». Un frullatore sparato alla velocità massima, fuori controllo.
Era già così fin da
giovanissimo, quando scappava di casa o dalla City-as-School di
Manhattan dove conosce Al Diaz, con cui inizia a vergare con lo spray
la criptica tag "SAMO©" sui muri o sui vagoni della
metropolitana di New York, per poi approdare alle gallerie d'arte
come quella di Annina Nosei, che ospita la sua prima personale
newyorchese nel 1981.
«Come giustamente ha
osservato Mary-Ann Monforton (l'editore della storica rivista d'arte
Bomb Magazine , ndr ), Basquiat ha utilizzato oggetti di tutti i tipi
che appartengono alla quotidianità — aggiunge Buchhart — ma che
con il suo intervento si trasformano e acquistano nuovi significati
per diventare arte.
Quando il critico Jeffrey Deitch lo incontrò nel 1980, la prima cosa che notò fu un frigorifero malandato che Basquiat aveva completamente ricoperto di disegni, parole e simboli. Ai suoi occhi risultò uno dei più sorprendenti oggetti d'arte che avesse mai visto». Non meno stupefacenti appaiono oggi gli appunti stralunati che custodiva nei suoi diari e di cui a volte cancellava alcuni passaggi o singole parole tirandoci sopra un mucchio di righe rosse.
"Guardò il suo
terzo occhio per il salone, sotto le palme in un villaggio vacanze
sulla spiaggia — scriveva nel 1980 sulla pagina di destra di un
quaderno a righe che oggi fa parte della collezione privata di Larry
Warsh — attraverso l'acqua il suo occhio diventò mendicante in
Spagna di fronte a una trappola per turisti la sua voce pappagalli un
gemito di carta vetrata sulla telefonata. Dormire su sei treni
tornare a casa in aereo guardare le ali tremare".
La Repubblica – 8 marzo
2015
Nessun commento:
Posta un commento