22 marzo 2015

IL COLLIER PIU' ANTICO DEL MONDO



Il collier più antico al mondo è stato scoperto in Croazia. Risale a 130 mila anni fa. È la prova della capacità di pensiero simbolico prima dell’Homo sapiens

Marco Peresani

I gioielli della signora Neanderthal


La recente, straordinaria scoperta di artigli d’aquila utilizzati come ornamento da Neanderthal di 130 mila anni fa ribadisce che Homo sapiens non è l’unico «eletto». Infatti, se per gran parte del XX secolo l’immaginario comune riteneva che Neanderthal non fosse in grado di esprimere comportamenti simbolici, comparabili a quelli dei primi rappresentanti della specie a cui apparteniamo, le ultime tre decadi hanno stravolto questa visione grazie a nuovi, spettacolari ritrovamenti.

Il fatto che i nostri antichi cugini manifestarono condotte non squisitamente ascrivibili alla sfera utilitaristica contribuisce a mantenere vivo e ricco di colpi di scena il dibattito scientifico sui loro comportamenti etnograficamente «moderni», più prossimi al modo sapiens di pensare e strutturare la società.

Oltretutto, se per un attimo spostiamo l’attenzione sulla loro scomparsa dagli archivi archeologici tra 50 e 40 mila anni fa, ma mai completamente avvenuta, come raccontano il nostro e il loro Dna, è lecito chiedersi se l’origine del pensiero simbolico neanderthaliano fu autoctona oppure risultò da interazioni con i sapiens arcaici 45 mila anni fa. L’archeologia, in realtà, sostiene l’emergenza autonoma di invenzioni nella scheggiatura della pietra, nella lavorazione dell’osso e appunto nell’impiego di materiali a uso ornamentale.

Il comportamento simbolico neanderthaliano si pone anche nella relazione con la morte, manifestata attraverso le sepolture di adulti e bambini, nonché da specifiche evidenze di smembramento dei loro defunti, che non escludono del tutto il cannibalismo. Non dimentichiamo che corredi funebri con resti faunistici, strumenti in pietra e in osso, ossa incise e lastre rocciose con coppelle sono stati descritti in Francia e in Asia centrale.

Cristalli, fossili e altri materiali venivano importati nelle grotte anche da lunga distanza, a testimoniare un’attenzione verso l’unico o il particolare. Altri casi noti da tempo, come ossa e pietre solcate da incisioni e segni meandriformi, non hanno invece sostenuto il rigoroso check-in dell’indagine scientifica, rivelatrice di un’origine naturale di vari tipi di segni. Un noto esempio è il femore perforato di giovane orso delle caverne della grotta slovena di Divje Babe I. Interpretato come possibile strumento musicale a fiato, questo reperto non è nient’altro che un resto del pasto di un predatore del Pleistocene.

Di grande interesse risultano invece vari oggetti e manufatti in pietra solcati intenzionalmente da strie rettilinee e da semicerchi concentrici, vere manifestazioni grafiche, i pigmenti minerali macinati e polverizzati — rossi, gialli e neri —, le conchiglie marine coperte con polvere di ematite e utilizzate come pendenti.

Di unicità straordinaria sono le scoperte di tracce microscopiche da taglio lasciate da schegge di pietra su ossa dell’ala di avvoltoi, il gipeto e l’avvoltoio monaco, di falco cuculo, di gracchio alpino e di colombaccio a Grotta di Fumane nei Monti Lessini e nelle grotte di Gibilterra.

Le tracce provano che i Neanderthal erano interessati al recupero dell’ala e delle penne, operazioni che comportano la rescissione dei robusti tendini alari e degli innesti delle lunghe e spettacolari penne remiganti.

Oltre a questo, un altro aspetto particolare dell’utilizzo di porzioni di uccelli riguarda la rimozione dell’artiglio dei grandi rapaci. Falangi ungueali isolate di aquila reale, aquila dalla coda bianca e avvoltoio monaco sono state rinvenute in siti italiani e francesi in strati di periodi diversi, da circa 100 mila anni a 44-45 mila anni fa, rivelando una convergenza in questo tipo di selezione. Tutte le falangi presentano strie di disarticolazione prodotte durante la rimozione dell’artiglio dal dito per mezzo di coltelli in pietra. Esperimenti hanno permesso di constatare che tutte le operazioni miravano a distaccare l’artiglio intatto senza danneggiarlo. In effetti, la porzione distale dell’artiglio si presta come elemento ornamentale in virtù della sua curvatura e lunghezza e per la possibilità di essere sospesa in diversi modi, conformemente a quanto osservato in campo etnografico.

Si potrebbe arguire che in contesti più recenti, come durante il Paleolitico superiore o il Neolitico, tali elementi sono interpretati come pendenti e ornamenti, ma rinvenuti in associazione a tante evidenze artistiche e musicali. Resta assodato che il comportamento neanderthaliano mantiene una parte del suo mistero, una complessità che non dovrebbe essere ridotta a una specifica sfera comportamentale di Homo sapiens , ma che il crescente insieme di evidenze contribuisce a crearne un’immagine più dinamica, sfidando l’idea che questi ominidi fossero essenzialmente statici e chiusi alle innovazioni e alla comunicazione.

In quest’ambito si inserisce a pieno titolo la (ri)scoperta, della quale si parlava all’inizio, di un set di otto falangi ungueali di aquila dalla coda bianca e di una falange del dito connessa a una di esse, rinvenute, a cavallo dei secoli XIX e XX, nella grotta di Krapina, in Croazia, nota per l’abbondanza di resti scheletrici neanderthaliani risalenti a circa 130 mila anni fa.

Gli artigli, che riposavano quindi da oltre un secolo nei depositi dell’Istituto di geologia e paleontologia dell’Università di Zagabria, hanno attratto paleontologi e paleoantropologi incuriositi dalle descrizioni di reperti simili rinvenuti in Italia e Francia, pubblicate recentemente. Dallo studio dei resti croati, presentato sulla rivista «PlosOne», è stato concluso con chiarezza e con dovizia di particolari che questi elementi, recanti tracce di tagli e caratteristiche usure da sfregamento, formavano un «collier», attualmente il più antico al mondo.

La scoperta fa ricordare che aquile e rapaci, in generale, sono tra gli uccelli meno numerosi e più rari in natura, a causa della loro posizione alla sommità della catena alimentare. Un aspetto indicativo di quanto questi grandi e potenti uccelli diurni attraevano i Neanderthal e stimolavano il loro impiego come mediatori simbolici, compatibilmente con quanto si osservava tra i cacciatori-raccoglitori di tempi molto più recenti.

In tal modo, l’utilizzo ornamentale di ali e penne e la selezione di artigli d’aquila rimandano alla vastissima documentazione etnografica riferibile all’arte piumaria delle popolazioni primitive attuali e sub attuali, connessa all’adorno di abiti, oggetti, abitazioni e individui anche di rango, ma possono anche rappresentare un ponte tra i comportamenti sapiens e Neanderthal, suggerendo l’esistenza di aspetti cognitivi condivisi tra queste popolazioni. 


Il Corriere della sera – 22 marzo 2015

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