22 marzo 2015

SE LA CHIESA CATTOLICA CAMBIA VERSO...








Bologna-Napoli, due piazze fuori dal comune

Marco Marzano


Ci sono gior­nate che hanno un valore sim­bo­lico alto, che meri­tano di essere ricor­date a lungo. Quella di ieri, 21 marzo, è una di que­ste. Il motivo è il filo invi­si­bile che ha legato tra loro le piazze gre­mite di Napoli e Bolo­gna. Il filo è quello di una Chiesa ansiosa di rin­no­vare la sua mis­sione, pre­oc­cu­pata in primo luogo di otte­nere giu­sti­zia, tute­lare diritti, lot­tare per i poveri.
A Bolo­gna, Libera ha cele­brato la «gior­nata con­tro le Mafie». Il suo fon­da­tore, Don Ciotti, ha ripe­tuto, con quel con­sueto, can­dido e mera­vi­glioso vigore della parola che è in lui già trac­cia visi­bile di una grande forza morale, il mes­sag­gio di sem­pre: di fronte a due­cen­to­mila per­sone accorse da tutta Ita­lia, ha fatto notare con quanta velo­cità sia stata fatta appro­vare dal governo Renzi la legge sulla respon­sa­bi­lità civile dei magi­strati e poi ha chie­sto di scri­vere leggi più «deter­mi­nate» con­tro la cor­ru­zione, di chiu­dere le porte alla mafia, ma anche di intro­durre il red­dito di cit­ta­di­nanza e di can­cel­lare il vita­li­zio ai par­la­men­tari con­dan­nati in via defi­ni­tiva per mafia e corruzione.

Nelle stesse ore, nelle piazze di Napoli echeg­giava, nel discorso del Papa, lo stesso iden­tico mes­sag­gio: ha detto, il papa, che la cor­ru­zione «puzza», ha chie­sto di non con­si­de­rare i migranti cit­ta­dini di seconda classe e poi che la man­canza di lavoro «ci ruba la dignità».

Fran­ce­sco ha, con quel lin­guag­gio sem­plice, diretto e pro­fe­tico che è una delle ragioni della sua immensa popo­la­rità, rac­con­tato la sto­ria di una ragazza costretta a lavo­rare in nero 11 ore al giorno per 600 euro al mese. Schia­vitù l’ha defi­nita il papa, e ha ammo­nito tutti a non con­si­de­rare cri­stiano quel datore di lavoro. Anche se pre­ten­desse di essere tale. Anche, aggiun­giamo noi, se fosse «in regola» con tutti i sacra­menti, con tutti i cer­ti­fi­cati pro­dotti nel tempo dalla Chiesa. Reste­rebbe anche in quel caso un non cristiano.

Cor­ru­zione nella poli­tica, ma anche cor­ru­zione nell’impresa, degrado sociale, abie­zione morale, schia­vi­smo, sfrut­ta­mento dell’uomo sull’uomo. Nes­suna lega­lità è dav­vero pos­si­bile se non c’è anche giu­sti­zia, se non c’è equità, se non c’è rispetto della dignità degli ultimi. Que­sto il senso del mes­sag­gio che pro­viene dalle parole di ieri di due preti deci­sa­mente fuori dal comune come Don Ciotti e Papa Francesco.

Luigi Ciotti le pro­nun­cia da sem­pre parole come quelle, ma mai come prima il fon­da­tore del Gruppo Abele si è tro­vato in una sin­to­nia così per­fetta con un capo della Chiesa. Ciotti è da tanto tempo una figura straor­di­na­ria del mondo cat­to­lico, ma è anche sem­pre stato con­si­de­rato deci­sa­mente eccen­trico e mar­gi­nale rispetto all’asse domi­nante nell’organizzazione. Si diceva in molti ambienti cat­to­lici: «sì certo è un prete, ma un prete tutto sin­go­lare, addi­rit­tura un po’ strano, che non parla mai di chiesa e che è invece è osses­sio­nato dai temi sociali, dai pro­blemi dell’integrazione sociale dei tos­sici, degli sban­dati, dei migranti. Per non par­lare poi di quella stra­va­gante sua pas­sione per l’antimafia!».

Oggi invece, nel pon­ti­fi­cato di Fran­ce­sco che ha messo al cen­tro pro­prio quei temi, Don Ciotti ci appare come il cam­pione di un cat­to­li­ce­simo civile e venuto a patti con la moder­nità, capace di usare la fede, senza biso­gno di pro­cla­marla mai, non per bran­dire croci o emet­tere divieti morali, non per riven­di­care appar­te­nenze ed esclu­sioni, ma per farne il sale della terra, per par­lare a tutti di un mes­sag­gio uni­ver­sale di giu­sti­zia, un mes­sag­gio che sot­to­li­nea gli aspetti ever­sivi (rispetto al con­for­mi­smo bor­ghese) e forse uto­pici del Van­gelo, la pos­si­bi­lità che esso divenga pro­mo­tore del cam­bia­mento sociale, della libertà e dell’equità tra gli esseri umani. La piazza di Libera era stra­piena di laici ai quali nes­suno ha chie­sto di abiu­rare le pro­prie con­vin­zioni reli­giose, ai quali nes­suno ha chie­sto di con­ver­tirsi, di annul­lare le salu­tari dif­fe­renze di pen­siero, di farsi corpo sociale omo­ge­neo e compatto.

Il cat­to­li­ce­simo discreto e impli­cito di Ciotti avanza e con­qui­sta il cen­tro pro­prio men­tre quello, urlato e impe­ria­li­sta di Lupi viene spinto ai mar­gini. Per quasi quarant’anni, lungo tutti i pon­ti­fi­cati di Gio­vanni Paolo e di Bene­detto, è stato quello di Lupi e dei suoi amici il cat­to­li­ce­simo più orto­dosso, quello più alli­neato. Quel cat­to­li­ce­simo che rispon­deva pun­tuale alle chia­mate alle armi del car­di­nali Ruini, che occu­pava all’istante i posti di respon­sa­bi­lità e di potere dispo­ni­bili met­ten­doci sopra l’etichetta di «cat­to­lico». E che però dei «valori del 21 marzo» ha fatto carta strac­cia. Finendo per rovi­nare sotto il peso del pro­prio cinismo


Da il manifesto del 22 marzo 2015

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