Suor Juana Inés de la Cruz
Per quanto la storia sia stata scritta, finora, da uomini sono numerosi i segni che documentano lo spirito ribelle delle donne anche in ambienti insospettabili. Oggi ne segnaliamo uno che riprendiamo dal sito https://rebstein.wordpress.com/
Marco Ercolani
Con viva ripugnanza
Dove Suor Juana Inés de la Cruz (1688) si ribella pubblicamente al vescovo di Madrid Don Manuel Espinosa e rivendica la sua libertà.
Io non ho mai scritto, signore, se non quando vi sono stata forzata e costretta, e soltanto per piacere ad altri; e l’ho fatto senza compiacimento, anzi con viva ripugnanza, perché non ho mai creduto di possedere quelle risorse di dottrina e d’ingegno che dovrebbe possedere chi scrive. Io non studio per scrivere o per insegnare ma perché studiando ignoro di meno.
Un eccesso di studio mi ha costretta a ritirarmi in questo convento, dove voi sapete, nonostante le incredibili accuse che mi sono state rivolte, io non mi sono macchiata di nessuna colpa. Il Mio Ordine non può e non deve vergognarsi di me, ma se voi chiamate colpa le liriche a Dafni e Cloe che scrivo per amore di Dio nelle donne, nelle creature umane, allora sì, sono la più abietta delle peccatrici.
Ma questi miei versi, quale natura maligna potranno accogliere in sé? Neanche nel sonno sono libera da questa continua agitazione della mente che nelle ore della notte si fa più libera e disinibita, restituendo con maggiore chiarezza e ordine le immagini che ha accumulato durante il giorno, chiarezza e ordine di versi…
Riconosco senz’altro la mia mediocrità e insignificanza, ma non credo si sia mai trovato (o provato) che una mia strofa sia indecente. Oltre a ciò debbo dire che non ho scritto cosa alcuna di mia volontà ma soltanto a richiesta e per ordine altrui, tant’è che non ricordo di aver scritto per mio piacere se non un foglietto intitolato Sogno.
È vero che quando in me comparve il primo lume di ragione ebbi per le lettere un’inclinazione così forte e incoercibile che né i rimproveri degli altri né le mie stesse riflessioni hanno potuto far sì che io smettessi di andare dietro a questo impulso naturale che Dio ha infuso in me. La mia inclinazione, d’altronde, avrebbe potuto essere un pericolo gravissimo per le norme de mondo che, come voi sapete, è regolato dal potere dei vescovi e dei ministri, dei papi e dei re. Matematica, scienza, astronomia poesia, musica, filosofia: so tutto di tutto. Oscurerei la capacità di qualsiasi uomo se mi misurassi con lui. Gli esseri che voi considerate saggi si vergognerebbero davanti al mio sapere, davanti alla loro ignoranza. Sì, padre, conosco l’obiezione: pecco di orgoglio. Ma non potete ignorare che l’ammissione della mia intelligenza è solo la semplice, umile verità. Voi mi imponete, ora, opere concrete di fede, atti concreti di carità. Cioè, lavorare l’orto e pelare le patate – variante domestica. Vestire i poveri e curare le loro piaghe – variante sublime. Ma tutto in silenzio, senza quella che voi chiamate la corrotta imprudenza della parola umana.
Cos’è, in definitiva, il silenzio a cui voi mi chiamate? Disprezzo e viltà per le cose più sacre. Mi intimate la pace dello spirito perché temete la mia parola. La mia poesia, non essendo capita dal Mio Ordine e dal Vostro, è una chimera sconosciuta e mostruosa. Io devo tacere perché la mia parola, inventando linguaggi, vi allarma. E’ babelica, eretica, sovversiva. Ma sono proprio così pericolosa che la mia possibile scrittura debba suscitare, appena nata, simili anatemi?
Tempi orribili questi in cui io, figlia illegittima, sono vanamente nata. Ma Suor Juana Ines de la Cruz si ribella a essere niente. In una pittura di corte io sarei quel posto vuoto, a sinistra, occupato dalla lancia del guerriero. Ma quel vuoto esiste, manda raggi, risplende. Se il mondo non saprà della mia esistenza, prima che questo accada io mi ribellerò, vanamente, migliaia di volte, da ribelle farò udire la mia voce. Sono solo una donna ma compongo musica, decifro le stelle: opere condannate dalla fede dei vescovi ma vegliate dall’amore di Dio. Eppure, chissà, scrivere è già inutile. I segni della peste sono appena apparsi nel convento. Tre suore sono morte ieri fra atroci dolori. Non potrò che dedicarmi anima e corpo alle mie sorelle malate. Veglierò la loro febbre, come ho sempre vegliato la mia. Auguratevi, padre, che l’epidemia liberi il mondo dalla peste della mia voce e voi da un problema imbarazzante e insolubile. Se sopravviverò alla febbre, lo so bene, per me resta solo un’accusa di stregoneria, un sommario processo, una morte silenziosa.
Senza nessun ossequio a voi, amando Dio con passione…
Suor Juana
(da Lezioni di eresia, Graphos, 1996).
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