27 marzo 2015

M. YOURCENAR HA SAPUTO VIVERE




Yourcenar e la vecchiaia

di Augusto Benemeglio

1. Come certe statue
Marguerite Yourcenar da giovane era bellissima, ma poi col trascorrere del tempo – visse abbastanza lungo, 84 anni – divenne come certe statue esposte al vento marino, che hanno il biancore e la porosità di un blocco di sale che si sgretola. L’azione del vento e quella del tempo, grande scultore, modifica le statue, ne fa dei fossili imbiancati, ossa al sole in riva al mare, e tuttavia non viene mai meno il loro fascino, la loro bellezza, e la curiosità di vederle bene da vicino. Così è stato di lei, che era capace di scorgere, “tra le folate d’un fumo di resina, strane figure, che sembravano fatte della sostanza stessa dei sogni”
2. Memorie di Adriano
E’ un brano tratto da Memorie di Adriano, il libro più famoso della scrittrice belga, che ne consacrò la fama internazionale. Si tratta di una minuziosa opera di erudizione, uno smagliante affresco della Roma imperiale del II secolo, di cui la Yourcenar conosceva tutto: Adriano vi assume il valore emblematico e profetico della coscienza lucida che avverte la prossima fine dell’ Impero; ma rielabora allo stesso tempo, con profonda saggezza, il senso della propria vita. Il libro, infatti, è anche una riflessione sulla vecchiaia vista da un imperatore, anziano e in fase di declino, (qualcuno ci ha voluto vedere la scrittrice), in attesa della quieta penombra della morte, da lui serenamente attesa. Egli osserva con calmo distacco l’esistenza andata, lasciando riemergere i ricordi. Adriano sa d’aver vissuto consapevolmente, assolvendo il dovere primario di ogni uomo, la ricerca della propria perfezione etica e morale – l’unico antidoto all’angoscia. Ora può morire senza il gravame dei rimpianti.
Marguerite Cleenewerck de Crayencour (in arte Yourcenar, anagramma del cognome), composte le memorie dell’imperatore – redatte in vent’anni di lavoro -, vivrà ancora a lungo: trent’anni vissuti quasi sempre sopra le righe, in giro per il mondo con al seguito, indifferentemente – come amanti, si dice – giovinetti e giovinette.

3. Un bicchiere di vino
Questo aspetto, a noi, interessa come pura annotazione, mentre alcune immagini del libro (o della trasposizione teatrale da esso derivata) sono entrate, ormai, nell’immaginario collettivo: per esempio, quella di Adriano che beve un bicchiere di vino nella cantina di Corinto e prova una sensazione divina di piacere; sa che in quel momento suscita l’invidia dell’oscuro iddio che risiede sull’Olimpo e quasi si sorprende che quello non lo faccia morire. Ho provato anch’io quel deliquio dei sensi, associando d’istinto l’immagine suddetta, e temendo come lui che il dio geloso mi potesse colpire. Pensavo anche al Manzoni che scrive al Fauriel: non v’è nulla di più pericoloso della quieta felicità della famiglia, perché se ne avverte la precarietà e il senso immanente di sfacelo.
4. I figli
Ricordo Adriano che parla dei figli non avuti: non ho figli e non lo rimpiango – dice -, perché non è detto che un figlio sia il tuo prolungamento; l’autentica continuità non passa per il sangue. Poi aggiunge: se anche ciò avvenisse, perché perpetuare la mistura di bene e male, le particolarità infime e bizzarre, i momenti di sublimità e di immondo che segnano un destino? E ti viene da pensare che i figli, per un padre, sono spesso fonte di crucci, di fastidi, di guai, di conflitti a non finire.
5. Albertazzi il demiurgo
Infine rivedo Adriano impersonato da un grande attore come Giorgio Albertazzi: vecchio, laido, erotomane, che si disfa come un ectoplasma bianco e diaccio man mano che recita, con la voce arrochita dalle sigarette, dal catarro e dall’età. La vecchiaia non è sempre una gran cosa da esibire. Ed ecco che qualcuno opina: scusa, ma perché ci si deve vergognare d’essere anziani? Mai detto niente del genere. Parlo di esibizione, ostentazione, magari involontaria; fare l’attore è una forma di prostituzione, ma vale per chiunque si proponga di piacere alla gente – sosteneva Baudelaire -, denudandosi nell’anima o nel corpo. Talora si registrano eccessi di vanità o stupidità, come accade in quasi tutti i talk show, nelle corride, nei programmi della De Filippi. E anche nei numeri di qualche attore famoso, carismatico, inconsapevole d’essere patetico e grottesco. E una specie di monito che faccio a me stesso: vanesio, narcisista, con l’età che avanza, rischio di fare la medesima figura.
6. Lo specchio
Convengo con chi è certo che la vecchiaia possa essere anche bella, perché ti esime delle noie e dai fastidi che sei costretto a subire nella giovinezza. Il guaio ( o la fortuna?) è che quando ti specchi non sempre ti riconosci nell’immagine, e se ti dimentichi del peso degli anni trascorsi, sei uno che s’è appena affacciato nella vita: ti ritrovi in un mattino iniziale, in un Adamo pieno di stupore, avido d’ogni bellezza, con un vivo desiderio d’immergersi panicamente nel mistero profondissimo dell’esistenza.
7. Care memorie
Questo la Yourcenar ce lo insegna in mille modi, non solo con le Memorie di Adriano, ma col complesso della sua vecchiaia trascorsa da un continente all’altro, dai fiori di pesco giapponesi (“com’è dolce morire in aprile quando cadono i petali dei fiori di pesco”), al deserto del Sahara. Ma la vecchiaia da grande scultore, dicotomica, che da una parte accresce la visione e il gusto delle cose, dall’altra ti sottrae la possibilità di possederle appieno, dovrebbe essere, a mio avviso, riservata, pudica, velata, come quella delle Care memorie, il libro che raccoglie gli stupendi saggi della scrittrice belga. E’ stata bella, per esempio, la vecchiaia di Wojtila – malato, tremante, sofferente – perché assurge a simbolo del Vangelo che incarna. Non fu altrettanto bello un Funari ingessato in grottesche jattanze di virilità.
8. A ciascuno il suo
“A ciascuno il suo”, direbbe Sciascia. La vecchiaia è una stagione misteriosa che dovremmo saper vivere meglio. La Yourcenar diceva che, prima d’andarsene, bisogna fare il giro della propria prigione. Se avrai la fortuna di non avere malattie; se i vuoti inevitabili, che ti circonderanno, non saranno un deserto di dolore e di rimpianto; se non hai un carattere che tende a inasprirsi con gli acciacchi; se dimenticherai te stesso, almeno un poco, a beneficio degli altri; se riuscirai ad amare con più tenerezza e meno furia; se scoprirai il tuo dio che, da qualche parte, deve stare; se, come diceva Borges, il tuo sguardo di vecchio sarà vero come il mare e le tue rughe un reticolo di storia che diventa la storia di tutti gli altri vecchi – e non lo sguardo da istrione che si agita su un palcoscenico credendosi Zeus appena sceso dall’Olimpo -, allora sì, sarai un “vecchio” degno di te stesso.

Roma, 22 marzo 2015


Testo ripreso da:  https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2015/03/27/

Nessun commento:

Posta un commento