Riproponiamo un interessante scambio epistolare avvenuto nel 1969 tra i due scrittori:
Caro Pier Paolo
vedo dal tuo trafiletto che non hai ancora letto non soltanto il mio “Off-off”, ma nemmeno Walter Benjamin. Dal suo grande discorso sulla mercificazione della cultura deriva il mio interesse per le sue “strutture” (e il loro funzionamento), così come dalle tragiche contraddizioni di Adorno discende la mia problematica: l’attività culturale avrà sì o no un qualche nesso con la “praxis”? E allora (trascurando per una volta Habermas, l’inventore della formula passepartout “fascismo di sinistra”) in quale misura, nell’inquieta dialettica fra “produttori di cultura” - in quanto bene di consumo - e mass media, i primi si servono dei canali dell’industria culturale, e in quale misura ne vengono, e se ne sentono, fruiti?
vedo dal tuo trafiletto che non hai ancora letto non soltanto il mio “Off-off”, ma nemmeno Walter Benjamin. Dal suo grande discorso sulla mercificazione della cultura deriva il mio interesse per le sue “strutture” (e il loro funzionamento), così come dalle tragiche contraddizioni di Adorno discende la mia problematica: l’attività culturale avrà sì o no un qualche nesso con la “praxis”? E allora (trascurando per una volta Habermas, l’inventore della formula passepartout “fascismo di sinistra”) in quale misura, nell’inquieta dialettica fra “produttori di cultura” - in quanto bene di consumo - e mass media, i primi si servono dei canali dell’industria culturale, e in quale misura ne vengono, e se ne sentono, fruiti?
Nel
caso specifico da te ricordato, un certo “désarroi” (e non un “c’è
qualcosa da ridere?”, come appare dal tuo trafiletto) era la mia
risposta emotiva immediata nel trovare la contestazione installata in
uno “stand” dell’istituzione contestata, la “Fiera del libro”, tenendo
le proprie tornate con licenza dei superiori. La differenza tra
Enzensberger e Cohn-Bendit è proprio questa: il primo inventa una
struttura culturale come “Kursbuch”, il secondo diventa organo e
attrazione della struttura contestata, per il mero fatto di
“funzionarvi”: come se Zecchillo inaugurasse la Scala interpretando il
“Trovatore”. E in sostanza Benjamin ha ancora questo da insegnarci: che
la contestazione, come la cultura, mentre agisce viene immediatamente
fruita. Come merce, come prodotto. E magari come salotto.
Tante buone cose,
Alberto A.
Caro Arbasino
sì, l’ho capita, l’ho capita. Non c’è bisogno di citazioni e di pezze d’appoggio per esprimere una nozione quale: “La contestazione, come la cultura, mentre agisce viene immediatamente fruita”. Su questo punto ho già risposto in questa rubrica alcuni mesi fa a Mario Soldati, che esprimeva sul “Giorno” la tua stessa identica nozione. E’ inutile che ci mettiamo a disputare su un luogo comune. Ciò che io criticavo era la “qualità” del tuo riso, di fronte al destino della contestazione. Posso anche certo concederti di ridere, se ciò ti fa piacere. Anzi, diciamo meglio, non solo hai pieno diritto di ridere, ma in un certo senso ne hai il dovere, dato che il riso fa parte del tuo stile. A parte il fatto che il riso è divino. Ma nel caso della contestazione ridicolizzata alla “Fiera del libro”, il tuo riso era di una cattiva qualità. Era facile, lascia che te lo dica, privo com’era di ogni ragione stilistica. Fin che la contestazione non arriva a essere rivoluzione, viene integrata: ma ciò è tragico. E allora bisogna ridere solo con stile. (A proposito, ho cominciato a leggere il “Super-Eliogabalo”. Bene, bene, anche se si tratta manifestamente di una sceneggiatura. Ma bene anche per questo).
Tratto dalla rubrica Il caos, del periodico Tempo
n. 47 a. XXXI, 22 novembre 1969
Tante buone cose,
Alberto A.
Caro Arbasino
sì, l’ho capita, l’ho capita. Non c’è bisogno di citazioni e di pezze d’appoggio per esprimere una nozione quale: “La contestazione, come la cultura, mentre agisce viene immediatamente fruita”. Su questo punto ho già risposto in questa rubrica alcuni mesi fa a Mario Soldati, che esprimeva sul “Giorno” la tua stessa identica nozione. E’ inutile che ci mettiamo a disputare su un luogo comune. Ciò che io criticavo era la “qualità” del tuo riso, di fronte al destino della contestazione. Posso anche certo concederti di ridere, se ciò ti fa piacere. Anzi, diciamo meglio, non solo hai pieno diritto di ridere, ma in un certo senso ne hai il dovere, dato che il riso fa parte del tuo stile. A parte il fatto che il riso è divino. Ma nel caso della contestazione ridicolizzata alla “Fiera del libro”, il tuo riso era di una cattiva qualità. Era facile, lascia che te lo dica, privo com’era di ogni ragione stilistica. Fin che la contestazione non arriva a essere rivoluzione, viene integrata: ma ciò è tragico. E allora bisogna ridere solo con stile. (A proposito, ho cominciato a leggere il “Super-Eliogabalo”. Bene, bene, anche se si tratta manifestamente di una sceneggiatura. Ma bene anche per questo).
Tratto dalla rubrica Il caos, del periodico Tempo
n. 47 a. XXXI, 22 novembre 1969
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