Riprendiamo dal sito http://www.lankelot.eu/ la recensione di Luca Menichetti di un libro di Maurizio Viroli di grande attualità.
Viroli Maurizio
La libertà dei servi
Dom, 15/03/2015 - 02:54 — Luca-Menichetti
E’ apparso sul “Il Fatto Quotidiano” dell’11 marzo
2015 il durissimo editoriale “La minoranza Dem: gente senza dignità”, a firma
di Maurizio Viroli, che così si rivolge ai dirigenti politici transitati “dalle Frattocchie ai talk show”: “Persone senza dignità, senza intelligenza politica, senza
senso di responsabilità repubblicana: questa è la minoranza del Pd (della maggioranza
non merita neppure discorrere). Senza dignità perché dignità impone coerenza
fra pensiero e azione, e dunque se avete dichiarato, come avete dichiarato,
(vero Bersani?) che la riforma renziana della Costituzione, accompagnata dalla
nuova legge elettorale rompe l’equilibrio democratico e poi votate l’una e
l’altra siete persone indegne […] devo riconoscere che se in Italia avessero
vinto i comunisti avremmo avuto un regime autoritario per la semplice ragione
che i “bersani” sono servi della peggior specie, quelli che obbediscono al capo
di turno perché è il capo. Senza intelligenza politica: perché non capiscono
che oggi già non contano nulla e domani, a riforma approvata, conteranno ancora
meno. Renzi non riconoscerà loro alcunché. Vuole servi docili, non servi che si
permettono qualche mugugno”. E’ l’immagine sconfortante di una sinistra
minoritaria, tacciata di massimalismo e conservatorismo (altrove – in Europa -
sarebbe considerata tutt’al più come socialdemocratica e moderata), alle prese
con una maggioranza di scampati alla rottamazione che ha ereditato e
modernizzato gli atteggiamenti spregiudicati dell’ex cavaliere e della sua
corte.
Un giudizio impietoso per un editoriale estemporaneo e motivato da
un’improvvisa fregola antirenziana? Niente affatto. Del resto che altro
scrivere di personaggi che – lo vediamo in questi giorni – si fanno vanto di
essere uomini di partito? E’ chiaro che non viene proprio contemplata l’idea
che si debba essere innanzitutto uomini di Stato.
Viroli scrive della repubblica dei cortigiani ormai da diversi anni e
possiamo convenire che la denuncia di questa secolare degenerazione sia un suo
cavallo di battaglia. Quando poi nel 2010 uscì la prima edizione del suo “La
libertà dei servi” qualche commentatore non esitò a criticare l’equazione tra società di corte e
berlusconismo. Forse non proprio il mantra di coloro
– editorialisti, tuttologi di successo - che spacciavano la civilissima e
intransigente denuncia del malcostume dei potenti alla stregua di massimalismo
e di decrepito giacobinismo, ma poco ci manca.
Questo saggio è stato scritto quando ancora il tramonto del berlusconismo
conclamato sembrava lontano, prima della scoperta di strane cene eleganti e dei
dopocena bunga bunga: prendeva di mira i cortigiani al servizio dell’ex
cavaliere e li raccontava come eredi disperanti e moderni di un antico costume
italiano. Salvo accorgerci che, pochi anni dopo, la medesima voglia di bulletto
“ghe pensi mi”, sostanzialmente una versione più tecnologica e giovanilistica
della medesima cortigianeria, si è rivelata più presente che mai sia tra i
militanti di partito che tra gli elettori; ed anzi ha tracimato senza vergogna
nel cuore di una sinistra che ha rivelato il suo vero volto. Ed intanto in
Italia continua a perpetuarsi la tradizione della “corte” che “crea servi che
si sentono liberi e sono felici della loro condizione” (pag. 117). Uno dei
passaggi fondamentali del saggio di Viroli lo troviamo difatti subito nel primo
capitolo, intitolato “La libertà dei servi e la libertà dei cittadini”:
“Secondo la concezione corrente, la nostra libertà può essere soffocata
soltanto dalle azioni di altri uomini: secondo la concezione repubblicana, la
libertà del cittadino muore per la semplice esistenza di un potere arbitrario
ed enorme. Anche se il potere arbitrario o enorme si è affermato con metodi
legittimi e opera per il bene dei sudditi, la sua stessa esistenza rende i
cittadini servi” (pag. 8).
Viene quindi ribadito il principio fondamentale del liberalismo “che
consiste appunto in una profonda e ragionata diffidenza per i poteri enormi o
arbitrari e nella strenua e convinta difesa dei limiti del potere sovrano”
(pag. 56), e che, “nonostante gli sforzi dialettici di Hobbes, la libertà dei
cittadini e quella dei sudditi e dei servi sono profondamente diverse” (pag.
14).
“La libertà dei servi” lo possiamo quindi intendere come pamphlet ed anche
come lettura disincantata di storia patria: Viroli, “professorone” e docente di
teoria politica a Princeton, legge i fatti di cronaca alla luce del pensiero e
delle opere di Machiavelli,
Étienne de La Boétie, Goldoni, Baldassarre Castiglione, Elias Canetti,
Gioberti, Mazzini, Calamandrei, Salvemini, Sylos Labini, Bobbio, Sartori,
Ernesto Rossi, Carlo Rosselli e molti altri.
L’auspicio è
chiaro: l’intransigente rivolta morale e civile di una paese a maggioranza di
servi volontari, dove un consigliere comunale propone di dedicare una piazza
alla mamma di Berlusconi, dove abbondano i cortigiani “che si rendono ridicoli,
a volte per intima vocazione, più spesso per piegarsi all’ordine, esplicito o
implicito, del signore” (pag. 42). Da qui l'opportuna citazione di “A
Silvio”, opera di Sandro Bondi, onorevole e amoroso poeta: “Vita assaporata /
Vita preceduta / Vita inseguita / Vita amata / Vita vitale / Vita ritrovata /
Vita splendente / Vita disgelata / Vita nova” (pag. 59). Poi venne il bunga
bunga ed anche per il povero Bondi la vita si è fatta meno splendente e meno
assaporata.
Di sicuro
nel libro di Maurizio Viroli i riferimenti all’inciucio e ai tentativi poi
falliti di manomettere la carta costituzionale rimangono di stretta attualità,
pur essendo cambiati parzialmente i protagonisti politici. Leggiamo: “Non basta
accusare chi si oppone alla riforma della Costituzione di essere un
conservatore, per l’ovvia ragione che non è scritto da nessuna parte che i
conservatori hanno sempre torto per il solo fatto di voler procedere con
cautela di grandi cambiamenti, e i riformisti hanno sempre ragione perché
ritengono che si possa procedere spediti e sicuro. Ammesso che l’idea di rifare
la Costituzione sia buona, il fatto di doverla realizzare con Berlusconi
dovrebbe essere per un politico realista motivo sufficiente per non fare
proprio nulla” (pag. 100). Parole scritte nel 2010, poi pensiamo al Patto del Nazareno,
a Denis Verdini in versione padre costituente, al mito della velocità (“come un
rullo”) applicato alle istituzioni della Repubblica e ci potremo rendere conto
come anche nel 2015 non sia cambiato nulla; anzi, visto il silenzio della
cosiddetta società civile e l’appecoronamento dei media, è probabile che la
situazione si stia rivelando ancora più drammatica rispetto alla prima era
berlusconiana (l’attuale berlusconismo è stato parzialmente modificato ad uso
di un altro televenditore, privo di interessi aziendali diretti ma con una
voglia matta di comandare ad ogni costo).
Scenari
sconfortanti, frutto di usi e costumi secolari, che richiedono comunque dei
rimedi. Secondo Viroli, professorone alquanto indignato, “ciò che distingue
davvero la persona libera dal servo dal cortigiano è infatti il sentimento del
dovere” (pag. 114). Nota a beneficio dei militanti e dirigenti Pd: sentimento
del dovere innanzitutto verso la Repubblica e non verso il partito. Ed inoltre,
con buona pace di chi insiste a stravolgere il senso delle parole e la logica,
scorgendo giacobini in ogni dove: “intransigenza contro cedimento: difesa della
Costituzione contro ogni tentativo di stravolgerla per farne uno strumento di
dominio; educazione morale e civile contro la politica ridotta a semplice
apparenza e gestione del potere; amore della libertà e sdegno contro gli
allettamenti della libertà dei servi e la rassegnazione. Sono tutti concetti
che sanno di vecchio, ne sono consapevole, e che troveranno ascolto solo tra
pochi e alzate di spalle e sarcasmo presso i più” (pag. 139). Viroli ha
ragione: chi legge con godimento “Stil Novo”, tanto per dire, oppure chi è
conquistato dalla comunicazione politica mediante twitter e selfie, troverà “La
libertà dei servi” assolutamente illeggibile. Lo possiamo anche capire: non
sempre è facile leggere qualcosa di più complesso dei pensierini di prima
media; ed inoltre riconoscersi alla stregua di servi e non di cittadini,
potrebbe risultare molto sgradevole.
EDIZIONE
ESAMINATA e BREVI NOTE
Maurizio
Viroli, (Forlì,
1952) è uno studioso di filosofia della politica e di storia del pensiero
politico, uno dei maggiori studiosi di Machiavelli. E' Professor Emeritus
of Politics della Princeton University, professore di Comunicazione politica
dell’Università della Svizzera italiana e Professor of Government della
University of Texas at Austin. È autore di numerosi volumi, tra cui “L’Italia
dei doveri” (Rizzoli 2008) e “Come se Dio ci fosse. Religione e libertà nella
storia d’Italia” (Einaudi 2009). Ha collaborato a varie testate giornalistiche,
tra cui La Stampa, il Sole 24 ORE e Il Fatto Quotidiano.
Maurizio
Viroli, “La libertà dei servi” (collana Economica Laterza), Laterza, Bari 2013,
pp. XIV 144.
Luca
Menichetti. Lankelot, marzo 2015
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