28 marzo 2015

L'ARCHIVIO DI MONTALE



Le poesie che Montale non voleva pubblicare. Come gli editori (e i curatori) spesso stravolgono la volontà degli autori.


Lorenzo Tomasin


Montale a carte scoperte


Montale non amava che si rovistasse tra le sue carte. Non lo amava, ma insieme – in un certo senso – lo desiderava, se è vero che da un lato le sue pubbliche dichiarazioni, in prosa e in verso, esorcizzano la curiosità di critici e lettori in genere verso i retroscena materiali della sua poesia (emblematica la scrupolosa distruzione delle lettere ricevute da Clizia-Irma Brandeis), ma da un altro egli stesso autorizza di fatto un’edizione critica in vita (e che edizione: Contini-Bettarini!) in cui le redazioni preparatorie delle poesie sono scrupolosamente censite, e si fa promotore – per tramite della fedele governante Gina Tiossi, di varie (e a modo loro solenni) donazioni di quaderni, fogli, appunti e carte d’archivio al Fondo manoscritti di autori contemporanei di Pavia, fondato da Maria Corti.

Giusto alla Corti – racconta Niccolò Scaffai in uno dei saggi di un elegante volume da lui curato assieme a Simone Albonico, L’autore e il suo archivio – Montale raccomandava nel 1972 di non fargli fare la fine del Leopardi monumentato da una ponderosa raccolta da lei appena pubblicata («Entro dipinta gabbia») e dedicata appunto agli scritti inediti, rari e editi del bienno 1809-1810: sono i famosi versi « Raccomando ai miei posteri / (se ne saranno) in sede letteraria, / il che resta improbabile, di fare un bel falò di tutto che riguardi / la mia vita, i miei fatti, i miei nonfatti…». Un falò : quasi un topos letterario, da Virgilio in giù.

Tutto sommato, però, è un bene che i desideri – intermittenti e contraddittori, si è detto – del saturnino Montale non si siano realizzati. Ed è un bene per lui, visto che proprio l’attenta rivisitazione delle carte d’archivio da parte di Scaffai (il volume, frutto d’un convegno svoltosi a Losanna, è tutto dedicato a simili istruttorie documentarie, che riguardano anche altri novecenteschi, tra cui Gadda, Sereni, Manganelli e Meneghello) consente di salvare Montale… dai suoi critici.

Una rivisitazione di più d’uno dei superstiti del lacunoso archivio Montale, porta Scaffai a correggere vari errori ed equivoci dei suoi postumi lettori. Cose da poco, si dirà. Ma c’è di più: in un caso è possibile addirittura recuperare la sua volontà escludendo dalle poesie legittimamente pubblicate quella che si rivela essere una piccola, ma lampante impostura editoriale. Si tratta della poesia Ritmo, pubblicata tra le Disperse non nell’edizione critica diretta di Contini, ma in quella ben più diffusa realizzata nel 1984 per i Meridiani Mondadori (poi anche negli Oscar).
Già si sapeva che Montale l’aveva esclusa dall’Opera in versi, definendola, in una lettera alla Bettarini (che rispettò il suo volere), «orrenda poesia» che «non è *quasi* [il quasi è cassato] mia», e protestando vivamente: «Spero non ne esistano copie». Ma che non si tratti di semplice depistaggio o negazione Scaffai può ora dimostrare ricostruendo la vicenda di quei versi, provenienti in realtà da una lettera della sorella di Montale, Marianna, all’amica Ida Zambaldi, e citati a memoria con un’esplicita indicazione di parzialità o approssimazione («Ma non li ricordo»).

Il dattiloscritto che ancora tramanda quella presunta quartina giovanile, conservato nell’Archivio Bonsanti a Firenze, è dunque un probabile estratto dalla lettera di Marianna realizzato dalla stessa Ida Zambaldi, eppure così insidiosamente fortunato da finire riprodotto una prima volta nel 1983 in appendice al Quaderno genovese, e infine nelle Poesie pubblicate, dopo la morte dell’autore, da Mondadori: «Non chieggo si ponga su questa / mia tomba epitaffio gentile ; / a dirvi soltanto mi resta : / “Fui uomo, fui vile”». Versi che risalirebbero al 1917, e che certo riecheggiano, più o meno fedelmente, una qualche aurorale “prova di penna”, non ancora molto felice, del giovane Eugenio: ma allora perché lo stesso trattamento – comunque discutibile – non è stato riservato nelle Poesie a tanti altri versi sparsi degli stessi anni documentati per altra via, «versi sicuramente autentici e non inferiori – anzi, forse già più montaliani»? Se lo chiede Scaffai, interrogandosi saggiamente su «dove finisce il lavoro del poeta e dove comincia la mediazione (e perfino l’arbitrio) dell’editore, del curatore, del critico».

Il Sole 24 ore -1 marzo 2015

L’autore e il suo archivio
a cura di Simone Albonico e Niccolò Scaffai
Officina libraria
25,00.

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