Arnaldo Benini
Il mistero del tempo.
Il segreto è nel cervello
Si rimane colpiti, ha scritto con ironia lo psicologo americano Herbert Nichols alla fine del XIX secolo (Amer. J. of Psychology 3, pagg. 453-529, 1891), dalla grande varietà delle spiegazioni di filosofi e psicologi per tentare di venire a capo del mistero del tempo.
Il tempo è stato
considerato come atto della mente, della ragione, della percezione,
dell'intuizione, dei sensi, della memoria, della volontà, e di tutte
le loro combinazioni e interferenze. È ritenuto un senso generale
che accompagna ogni contenuto mentale allo stesso modo del dolore e
del piacere. È considerato però anche come senso a sé, separato,
speciale, disparato. È stato spiegato come se fosse «una sequela
luminosa» o una fila di «blocchi allineati di presente specioso» o
una «appercezione». È stato dichiarato a priori, innato,
intuitivo, empirico, meccanico.
Il tempo, motteggia
Nichols, è stato dedotto dall'interno e dall'esterno, dal cielo e
dalla terra, e da diverse altre cose difficili da immaginare.
Leggendaria la disputa fra Isaac Newton, per il quale il tempo esiste
ed è assoluto, vero e matematico e fluisce senza relazione con quel
che avviene nell'universo, e Gottfried Wilhelm Leibniz, per il quale
il tempo «an sich», in sé, non esiste, essendo solo un rapporto
fra eventi.
Finalmente due autorità
culturali estranee alle secolari diatribe, il fisico teorico Albert
Einstein e il matematico Hermann Minkowski, all'inizio del XX secolo
ritennero il tempo la quarta dimensione, a lungo cercata, dello
spazio.
Nello spaziotempo (con il
quale la mente non riesce a familiarizzare) non ci sono direzioni del
tempo, e quindi non c'è presente, e se non c'è presente non c'è
nemmeno il tempo. Il cosmo quantico è, senza tempo. La costante t
del tempo è scomparsa dalle equazioni fisiche.
Il sociologo Norbert
Elias si chiedeva come si possa misurare una cosa che non è
percepita dagli organi di senso. «Chi ha mai visto un'ora?», si
chiedeva. La fisica sostiene che il tempo è un'illusione. Che cos'è
allora il senso che di esso abbiamo? È possibile che un'illusione,
cioè un evento senza contenuto reale, regoli l'esistenza non solo
nostra ma di tutto il mondo animale?
La biologia ha dimostrato
che nessun animale, neanche il più semplice, potrebbe sopravvivere
senza i meccanismi dell'orientamento temporale, le cui origini si
rintracciano in sistemi nervosi di pochi neuroni. Se fosse veramente
solo un'illusione, occorrerebbe spiegare perché esso sia sentito
(non percepito, perché non esiste organo periferico o centrale di
percezione del tempo) come una dimensione fondamentale, una
categoria, come si dice, nella quale, a differenza dallo spaziotempo,
la mente, e verosimilmente il resto della natura animale, si trovano
a loro agio.
Ci troviamo a nostro
agio nel tempo così come lo viviamo perché esso, secondo le
neuroscienze cognitive, che da circa tre decenni lo studiano come
evento biologico del cervello, è prodotto da meccanismi nervosi
emersi per selezione naturale in quanto congruenti con le necessità
elementari dell'esistenza. Per la varietà dei suoi aspetti, il senso
del tempo è complesso: si tratta di durate e intervalli, eventi
reali, attese, immagini, suoni, pensieri, fantasie e stati d'animo,
connessi alla memoria, all'affettività e alla razionalità più
rigorosa e più astratta, come la matematica.
La visualizzazione del
funzionamento del cervello con immagini e derivazioni elettriche ha
mostrato che il senso del tempo è collegato ad aree corticali
pre-frontali, specie quella destra, alla parte inferiore dei lobi
parietali, al cervelletto, alla parte anteriore della corteccia
cingolata e all'insula d'entrambi gli emisferi, ai gangli della base.
Queste aree sono collegate ai centri della memoria, all'ippocampo e
al sistema limbico dell'affettività. Questi, a sua volta, è
regolato prevalentemente dall'emisfero cerebrale destro, mentre la
parte razionale del senso del tempo sarebbe regolata da quello
sinistro.
Queste aree, estese a
gran parte del cervello, trasmettono ai meccanismi nervosi della
coscienza il senso del tempo. Il cervello non ha bisogno di vedere
un'ora, perché è lui che la crea. L'esperienza di ammalati con
distorsione o perdita del senso del tempo per lesioni del cervello
conferma l'origine nervosa della categoria del tempo. Essa,
nonostante il funerale che le ha fatto la fisica teorica, è reale,
come è reale la coscienza di cui è parte essenziale.
La concezione del tempo
come meccanismo del cervello, e non come percezione dal mondo
esterno, è corroborata da studi ed esperimenti iniziati decenni fa e
intensificati negli ultimi anni, con risultati e dati verificabili.
Qui ci soffermiamo, riassumendo una vasta e attendibile letteratura
scientifica, su un aspetto curioso ed esemplare della fenomenologia
del senso del tempo.
Indagini condotte per
anni in diversi centri in tutto il mondo mostrano che circa il 70%
degli esseri umani e quasi tutti coloro che hanno un impegno costante
(di regola professionale) a un'ora del primo mattino, quindi con
motivazione rilevante ad alzarsi presto, si svegliano dopo un sonno,
indisturbato e senza farmaci, spontaneamente, senza sveglia e senza
stimolo a urinare, con uno scarto medio rispetto all'ora prestabilita
da 15 a 4 minuti prima del termine e di circa 10 minuti dopo. Il 29%
si sveglia circa 10 minuti prima che suoni la sveglia, e il 23% non
la usa mai.
L'autorisveglio all'ora
voluta, anche nel mezzo della notte, è la regola e non l'eccezione.
L'accuratezza nel valutare il fluire del tempo durante il sonno è
simile a quando si è svegli. I meccanismi del senso del tempo lo
trasmettono alla coscienza anche nello stato d'incoscienza del sonno:
il senso del passare del tempo è attivo nel sonno, pur rimanendo
incosciente fino al momento della sveglia spontanea. L'autorisveglio
dipende dal livello d'attivazione corticale dei meccanismi della
volontà, che ricevono l'informazione da quelli del tempo.
L'autorisveglio non è
sorprendente, se si pensa che l'umanità, fino a poco più di un
secolo fa, non aveva a disposizione le sveglie. L'autorisveglio era
la regola, tranne per i pochi che potevano servirsi
dell'autorisveglio di qualcun altro. La selezione naturale avrebbe
favorito lo sviluppo dei meccanismi dell'autorisveglio, senza i quali
sarebbero forse prevalsi i dormiglioni e gli scansafatiche. Il
vantaggio dei solerti mattinieri è riassunto nell'antico e saggio
ammonimento che chi dorme non piglia pesci. Un'altra spinta evolutiva
potrebbe essere stata la protezione della durata del sonno.
Ulteriore conferma che il
senso del tempo è attivo durante il sonno è la capacità di molte
persone che sono svegliate di valutare con uno scarto sotto i 15-20
minuti che ora sia. La valutazione è più accurata dopo un sonno
prolungato e se il risveglio forzato è prossimo a quello
prestabilito. Le lesioni del cervello alterano i meccanismi del senso
del tempo anche durante il sonno.
Il primo sintomo di un
tumore maligno del lobo frontale destro in un meccanico di 60 anni fu
il risveglio, poco prima di mezzanotte, con la convinzione che fosse
mattina e che fosse l'ora d'andare al lavoro. La moglie riuscì a
tenerlo in casa. Si riaddormentò e al mattino era convinto che fosse
sera. Non distingueva un'ora da molte ore e l'informazione «fra
un'ora dobbiamo essere nel tal posto» non aveva alcun senso.
Cinque anni dopo un ictus
cerebrale destro un paziente si riprese dalla paralisi della parte
sinistra al punto da poter guidare automobile e motocicletta. Da
allora è torturato dal disturbo del senso del tempo, che si
manifesta da sveglio con l'impossibilità di sentire la differenza
fra un'ora o mezz'ora e nel sonno per l'autorisveglio alle 4 del
mattino pur sapendo d'aver un appuntamento alle 8.
Le neuroscienze cognitive sembrano avviate sulla strada per avvicinarci al mistero del tempo. Apparenti bizzarrie come il senso del tempo durante lo stato d'incoscienza del sonno, e la sua distorsione per lesioni del cervello ne confermano la realtà. Esso esiste come meccanismo nervoso, cioè elettrochimico, selezionato nel corso dell'evoluzione per dar ordine agli eventi della vita. Può essere paragonato al linguaggio: entrambi prodotti con meccanismi nervosi complessi e fragili da diverse aree cerebrali, collegate con altre di entrambi gli emisferi.
Il Sole 24 ore – 18
gennaio 2015
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