Leonardo Sciascia era convinto che la "verità profonda" de I promessi sposi in Italia non fosse stata mai compresa:
"La sua opera è generalmente vista come il prodotto di un cattolico italiano piuttosto tranquillo e conformista, quando invece si tratta di un'opera inquietante che racchiude un'impietosa analisi della società italiana di ieri e di oggi" (La Sicilia come metafora)
Prima che a
scuola gli venisse indicato il protagonista del libro nella Provvidenza,
Sciascia aveva già maturato la convinzione che il vero protagonista del romanzo
fosse don Abbondio, e non ci fu commentatore o professore che riuscisse a
fargli cambiare idea. Ad un certo punto, anzi, doveva scoprire un libro che quella
convinzione avrebbe confermato e motivato: Il sistema di don Abbondio di
Angelandrea Zottoli, poco o punto presente nelle scuole italiane. L’originale
interpretazione del romanzo manzoniano viene illustrata da Sciascia muovendo
proprio dal saggio di Zottoli:
«“Figura circospetta e meditativa”, dice
Zottoli, che si mostra appena Adelchi cade e che da Adelchi apprende che “una
feroce forza il mondo possiede” e che “loco a gentile, ad innocente opra non
v’è: non resta che far torto o patirlo”. Ma questa visione della vita, questo
pessimismo, è per don Abbondio un riparo e un alibi: don Abbondio è forte, è il
più forte di tutti, è colui che effettualmente vince, è colui per il quale
veramente il “lieto fine” del romanzo è un “lieto fine”. Il suo sistema è un sistema
di servitù volontaria: non semplicemente accettato, ma scelto e perseguito da
una posizione di forza, da una posizione di indipendenza, qual era quella di un
prete nella Lombardia spagnola del secolo XVII. Un sistema perfetto, tetragono,
inattaccabile. Tutto vi si spezza contro. L’uomo del Guicciardini, l’uomo del
“particulare” contro cui tuonò il De Sanctis, perviene con don Abbondio alla
sua miserevole ma duratura apoteosi. Ed è dietro questa sua apoteosi, in
funzione della sua apoteosi, che Manzoni delinea – accorato, ansioso,
ammonitore – un disperato ritratto delle cose d’Italia: l’Italia delle grida,
l’Italia dei padri provinciali e dei conte-zio, l’Italia dei Ferrer italiani
dal doppio linguaggio, l’Italia della mafia, degli azzeccagarbugli, degli
sbirri che portan rispetto ai prepotenti, delle coscienze che facilmente si
acquietano…».
Leonardo Sciascia
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