W. Benjamin e B. Brecht giocano a scacchi
«Fu però soprattutto il comune entusiasmo per Kafka a
costituire l’occasione di maggior forza coesiva nel rapporto Brecht/Benjamin.
Un entusiasmo ch’era germogliato in occasione di un loro incontro a Le Levandou
nell’estate del 1931 allorché Benjamin aveva portato con sé - raccomandandone
la lettura all’amico - “Nella costruzione della muraglia cinese”, che
effettivamente impressionò Brecht. Ma contemporaneamente proprio nel segno di
Kafka il loro sodalizio inizierà ad accusare sempre più vistosi attriti,
riscontrabili proprio nei conversari di Svendborg, fino a far divergere le loro
strade. Nel segno di Kakfa (ma senza dimenticare altri nodi problematici
di per sé ormai noti ai lettori di Benjamin, quali specialmente la valutazione
della posizione di Baudelaire e la riflessione sull’aura nel “Kunstwerk”) col
trascorrere del tempo si direbbe siano affiorati dissidi di fondo che avevano la
loro radice altrove e che non mancarono di costellare anche di “avversione
scettica” l’”ammirazione amichevole” (Hans Mayer) nonché la “collaborazione e
rispetto reciproci” (G. Seidel) presenti nella frequentazione di questi due
“fratelli nemici”. La “querelle” sull’opera kafkiana e sul suo significato nel
contesto dell’alienazione urbana contemporanea può infatti essere assunta a
spia e a sintesi di un disagio più generale, dal quale non restavano
risparmiati - come “due punti focali” di un’”ellisse” - né l’uno né l’altro
degli interlocutori principali assurti al centro del dialogo epistolare di
Benjamin nel 1931: Brecht e Scholem, due figure che sembravano albergare per
Benjamin, quali realtà viventi e problematiche, due esperienze parimenti
decisive come quella mistico-teologica e quella marxista che agiranno ancora
nelle “Tesi di filosofia della storia!” (1940). In quell’amorevole testamento
spirituale benjaminiano la teologia si fa soccorrevole (e per noi ancora
estremamente attuale) proprio perché - nelle vesti dell’angelo che volge le
spalle al futuro – invita ad abbandonare in quanto improduttiva e inaccettabile
la concezione stessa di un marxismo di tipo storicistico e provvidenzialistico,
professato quale acritico toccasana per una storia dallo “happy end” garantito.[…]
Giulio Schiavoni,
«Benjamin nel giardino di Brecht Svendborg e dintorni» , in: Autori vari,
«Walter Benjamin. Tempo, storia, linguaggio», Editori Riuniti, Roma, 1983.
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