Il
viaggio come specchio dell'esistere. Davvero Omero aveva già detto
tutto quello che c'era da dire. Quello che è venuto dopo è stato
solo una variazione sul tema.
Nuccio
Ordine
I Greci e noi, in
viaggio per scoprire
«Pensa a Itaca,
sempre,/ il tuo destino ti ci porterà./ […]Non sperare ti giungano
ricchezze:/ il regalo di Itaca è il bel viaggio,/ senza di lei non
lo avresti intrapreso./ Di più non ha da darti./ E se ti appare
povera all’arrivo,/ non t’ha ingannato./ Carico di saggezza e di
esperienza/ avrai capito un’Itaca cos’è»: questi bellissimi
versi di Constantinos Kavafis mostrano, a distanza di secoli, come il
mito di Itaca e di Ulisse continui ancora a far vibrare le corde del
cuore di poeti e di lettori.
Certo, le
peregrinazioni dell’eroe omerico narrate nell’Odissea hanno
rappresentato uno dei modelli costitutivi della letteratura
occidentale: metafora della conoscenza, dell’esplorazione
dell’ignoto, dell’incontro con l’«altro», dell’autonomia
della coscienza, dell’autodeterminazione, della sfida del limite,
della punizione divina, il viaggio — attraverso il movimento
continuo delle strutture linguistiche e narrative — ha finito anche
per diventare esso stesso immagine della scrittura letteraria.
Alle avventure
cantate da Omero e alle esplorazioni «antropologiche» di Erodoto,
ha dedicato recentemente un bel libro Eva Cantarella (Ippopotami e
sirene. I viaggi di Omero e di Erodoto , Utet). Studiosa di fama
internazionale, i suoi saggi sul mondo antico sono stati tradotti in
varie lingue, ci offre ora, con la sua consueta chiarezza, un
affascinante itinerario in sette capitoli, dove l’Odissea e le
Storie vengono analizzate alla luce dei numerosi racconti elaborati
dai due grandi autori, l’uno padre dell’epica e l’altro della
storiografia.
Alla lettura
comparata dei due testi, balzano subito agli occhi le differenze.
Omero fa del viaggio uno strumento per marcare il divario tra la
civiltà greca e la barbarie degli altri popoli: Polifemo rappresenta
una socialità pre-politica, priva di valori religiosi, dove mancano
leggi e assemblee e dove è assente l’agricoltura; Circe e Calipso
(entrambe dedite al canto e alla tessitura) incarnano modelli
femminili negativi fondati sull’inganno, che nulla hanno a che
vedere con le virtù greche della moglie, della madre e della
sorella; i Lotofagi esemplificano il rischio di perdere nei paesi
stranieri la memoria della propria patria (mangiare il loto
significava, infatti, «scordare il ritorno»).
Per Erodoto — nato
in Asia Minore, probabilmente da padre persiano e madre greca — il
viaggio diventa, invece, occasione di confronto con l’«altro»
(con coloro che Greci non sono), senza aver paura di riconoscere i
«debiti» contratti con le culture vicine: le descrizioni di
Babilonia, per esempio, o le riflessioni sulla regina Nitocri o su
Artemisia mostrano una sincera simpatia per alcuni aspetti della vita
politica di questi popoli stranieri; le pagine dedicate agli animali
conosciuti (i gatti) o a quelli sconosciuti (coccodrilli e
ippopotami) rivelano un’attenzione per le tradizioni locali e per
gli stretti legami intessuti con i riti religiosi; e, perfino, nella
vendita all’asta delle mogli, l’autore riesce a cogliere gli
aspetti positivi di una legislazione che pensava anche alla
sopravvivenza delle donne brutte e storpie (i soldi ricavati,
infatti, dalla vendita delle future consorti più belle andavano in
dote a coloro che sposavano quelle destinate a restare senza marito).
Dal raffronto tra i
testi omerici e le Storie , insomma, appaiono due cartografie diverse
dei viaggi: Omero, lasciando da parte le tanto discusse questioni sui
possibili riferimenti a luoghi del Nord Europa, naviga in Occidente,
tra la Sicilia e le coste tirreniche dell’Italia, e in Oriente,
lungo le coste dell’Anatolia; mentre Erodoto esplora i territori
dell’Iran orientale, del nord del Mar Nero, il basso Nilo e
l’Africa. Ma appaiono, soprattutto, due concezioni pedagogiche
opposte dell’ignoto: se per l’epos l’avventura tra popoli
sconosciuti è destinata a compiersi nel «ritorno» (nostos), per il
racconto dello storico si concretizza, al contrario, in acute
riflessioni sulla grandezza del mondo e sulle diverse culture delle
genti che lo abitano.
Le pagine di Eva
Cantarella invitano, a loro volta, a far viaggiare il curioso lettore
tra luoghi reali e immaginari. E solo alla fine del libro si capirà
che altri viaggi ci aspettano perché, come ricordava T. S. Eliot,
ogni «finire è cominciare».
Il Corriere della Sera – 29 aprile
2014
Eva Cantarella
Ippopotami e sirene
UTET, 2014
14 euro