L'oraaaaaaaaaa, giurnali,L'oraaaaaaaaaaaaa, "Scoppiò a guerra a Gibellinaaaaaa". Questo gridavano gli strilloni de "L'Ora" all'indomani del terremoto del 1968 che polverizzò la Valle del Belice. Bello l'articolo di Fulvio Abbate sul "Fatto" di oggi che descrive quell'esperienza giornalistica irripetibile.
Fulvio Abbate
C'era una volta "L'Ora", giornale di Palermo
“Nummari popolari! L’Ora!” O anche: “Quantu nni murieru!” (traduzione plausibile riferita a un contesto criminale: quanti ne sono stati uccisi), così, esattamente così, avanzavano gli strilloni palermitani a partire dalle due del pomeriggio, le copie bene in vista sul petto, in cerca dei primi acquirenti del giornale. Una vita fa, sembra. Altre facce, altre storie, altri menabò. Ma cominciamo dai dubbi: fa un po’ sorridere lo spazio concesso ad Andrea Camilleri in “L’Ora. Storia di un giornale antimafia” di Alessandro Chiappetta, trasmesso nei giorni scorsi da Rai Storia. Nel senso che la quadreria ideale de “L’Ora” (più familiarmente “ilgiornalelora” o anche per la precisione geopolitica “loradipalermo”) custodisce altri volti storicamente assai più probanti del “farsi” di un quotidiano tra i più straordinari, se non avventurosi, che la storia della carta stampata civile italiana abbia mai conosciuto. “L’Ora”, insomma, come un’irripetibile scuola di giornalismo. Come prima linea politica, umana, esistenziale, come "beau geste" del grande giornalismo di lotta. Come tempo glorioso di una battaglia politica e culturale. “L’Ora” che ebbe in Vittorio Nisticò il suo principale straordinario protagonista, editore, direttore, fondatore di un oggetto mediatico di denuncia, in una Sicilia dove, come giustamente ricordano i testimoni – da Marcello Sorgi a Etrio Fidora a Bianca Stancanelli - l’esistenza stessa della parola “mafia” veniva negata sia dalle autorità di polizia lì in questura sia dal Palazzo Arcivescovile abitato, sempre a quel tempo, la fine dei Cinquanta e i primi Sessanta, dal cardinale Ruffini. All’ipocrisia di una Palermo “ufficiale”, “L’Ora”, giornale “comunista” della sera, contrapponeva le proprie inchieste sull’ascesa del boss corleonese Luciano Liggio, sull’esistenza degli affari degli esattori Salvo, sull’incombente “sacco” edilizio della città, consentito dai viceré democristiani sempre di quei giorni, Salvo Lima, Vito Ciancimino, Gioia…
Su tutto, le immagini e la memoria del "palazzetto" della redazione, all’ombra del Grattacielo INA; il documentario fa sfrecciare per pochi istanti i nomi di Mario Farinella, di Salvo Licata, di Giuliana Saladino, mostra la testimonianza del fotografo Gigi Petyx, così come quelle di Vincenzo Vasile che
ne sarà l’ultimo direttore cui dobbiamo un titolo che commuove ancora adesso chi l’avventura de “L’Ora” ebbe modo di condividerla: “Arrivederci”. Così come non meno eponimi brillavano i titoli "sparati" in prima per denunciare la scomparsa di Mauro De Mauro nel 1970, o ancora, in piena guerra di mafia all’alba degli Ottanta, “La morte ha fatto 100” segnato da Nicola Cattedra; e ancora che emozione scoprire una sequenza di foto dei visitatori eccellenti, Pier Paolo Pasolini, Claudia Cardinale, e perfino Togliatti, tra Nisticò e il leggendario fattorino Saro Mineo, capelli d’argento e baffi su un perfetto volto isolano. A Francesco La Licata le parole definitive sulla fine del giornale: “Il Pci disse: non c’è più una lira”. Ora e sempre “L’Ora”.
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