«Il governo non risponde alle critiche sulla riforma elettorale e su quella del Senato e attacca le persone. Renzi e Boschi non sanno di cosa parlano. In confronto all’Italicum, la legge truffa del 1953 è un modello di garanzie. La riforma del Senato provocherà pasticci infiniti». Questo è uno dei passi chiave dell'intervista rilasciata ieri da Stefano Rodotà al Manifesto.
INTERVISTA A STEFANO RODOTA'
a cura di Roberto Ciccarelli
«Sono uno di quei “professori” che blocca da trent’anni le riforme
costituzionali? — sorride Stefano Rodotà dopo avere appreso il
giudizio del ministro per le riforme costituzionali Maria Elena
Boschi – Credo che la ministra mi attribuisca una sensazione di
onnipotenza che non corrisponde alla realtà dei fatti. Mi sembra
inverosimile il fatto che i «professori», da soli, siano riusciti
a bloccare le riforme di Craxi, Cossiga, Berlusconi o D’Alema.
Chiunque abbia una minima nozione di storia sa che le riforme della
bicamerale furono fatte cadere da Berlusconi. E quando quest’ultimo
fece la sua riforma, fu respinto da 16 milioni di italiani con un
referendum. Mi piacerebbe molto avere avuto la possibilità di
esercitare un potere così radicale, ma questo non corrisponde allo
stato dei fatti e dimostra che una politica incapace di effettuare
riforme oggi cerca di rifugiarsi in questi argomenti».
Anche la ministra Boschi sostiene che lei nel 1985 ha proposto una riforma del Senato. Ha cambiato idea?
A parte il fatto che non c’è nulla di male nel cambiare idea, ma
questo riferimento è del tutto inappropriato perché Renzi e Boschi
dovrebbero sapere – e purtroppo non lo sanno – che la proposta
presentata 29 anni fa dalla Sinistra Indipendente, con me Gianni
Ferrara e Franco Bassanini, andava in senso opposto alla loro.
Allora ci opponevamo al tentativo di Craxi di concentrare i poteri
del governo, esattamente come vuole fare oggi Renzi.
In cosa consisteva quella riforma?
Intendeva rafforzare il parlamento e i diritti e aveva uno
spirito che si ritrova nella sentenza della Corte Costituzionale
sul «Porcellum» che non garantisce la rappresentanza. Avanzammo
quella proposta quando c’era una legge elettorale proporzionale,
i deputati venivano scelti con il voto di preferenza,
i regolamenti riconoscevano un potere alle minoranze
parlamentari, non c’erano ghigliottine né limiti agli
emendamenti. L’ostruzionismo della sinistra indipendente fece
cadere il decreto Craxi sulla scala mobile, da quell’esperienza nacque
anche la commissione d’inchiesta sulla P2. In quel clima si voleva
concentrare il massimo potere in una sola camera, rafforzandolo
però con la sua massima rappresentanza. Proponevamo di ridurre
a 500 i parlamentari, ma per avere un contraltare al governo. Cosa
che invece Renzi non vuole con l’Italicum. Renzi e Boschi non sanno di
cosa parlano. Denotano ignoranza istituzionale. È un fatto grave,
oltre che moralmente una cattiva azione.
Il governo, e non solo, sostiene che la sua proposta sul Senato
permetterà di risparmiare 1 miliardo di euro ai cittadini. Sembra
una proposta allettante.
La trovo una concessione all’antipolitica. Si tratta di un argomento
che può portare in qualsiasi direzione. Più che alla logica, risponde
alla peggiore ricerca del consenso. Basterebbe la riduzione dei
parlamentari e delle retribuzioni per ottenere questo risparmio
senza rovinare gli equilibri costituzionali.
Ritiene che i renziani stiano reagendo all’appello che lei ha
firmato insieme a Gustavo Zagrebelsky e altri giuristi contro la
«svolta autoritaria» del governo?
Abbiamo ritenuto di introdurre con determinazione queste
argomentazioni nel dibattito pubblico. Ma non ci viene data
risposta e si attaccano le persone. Ancora in tempi recenti ci sono
state un’infinità di proposte da parte dei «professori»
a dimostrazione che sono del tutto alieni dal difendere o dal
conservare. Su Il Manifesto c’è stata la proposta di Villone o di
Azzariti, ad esempio. Vorrei anche ricordare che avevamo indicato
una soluzione con la manifestazione della «Via Maestra»
nell’ottobre 2013. Sull’articolo 138 e la modifica voluta dal governo
Letta, abbiamo proposto di modificare il numero dei parlamentari
e riformare il Senato, ma in un modo assai lontano dalla proposta
attuale. Chiedevamo al governo Letta di iniziare subito. Se fosse
stato seguito questo consiglio avremmo già una riduzione dei
parlamentari e un Senato come camera delle garanzie che
è assolutamente necessaria.
Cosa le rispose Letta?
Mi invitò a Palazzo Chigi, ne parlammo. Il risultato di quella
conversazione fu il referendum confermativo sulle proposte di
riforma. Per quanto criticabile fosse Letta, non aveva la posizione
di chi procede come un rullo compressore. Io non mi voglio fare
schiacciare e per questo alzo la voce.
Da quello che dice ci troviamo in una situazione peggiore della «legge truffa» proposta da Scelba nel 1953…
Rispetto all’Italicum, non la si dovrebbe più chiamare in
questo modo. Anzi, quella era un modello di garanzia. Pensi che per
contrastarla si usava l’argomento che non si poteva mettere nelle
mani di maggioranze costruite artificialmente il destino delle
istituzioni. Aggiungo, a beneficio di chi ci insulta, che quella
legge non passò perchè alcuni professori come Calamandrei, Jemolo,
Codignola, Parri, si riunirono nel gruppo «Unità popolare» e insieme
ad altri la bloccarono. Oggi, invece, si consegna il destino della
democrazia nelle mani di maggioranze costruite artificialmente.
Quanto alla riforma del Senato non ha nulla a che vedere con le camere
rappresentative delle autonomie locali come in Germania. È più
che altro un’esercitazione da studenti che crea pasticci infiniti.
Che peso ha il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi?
Questo patto è stato una scelta infausta. Viola il programma elettorale sul quale il Pd ha ricevuto milioni di voti.
Ma rispetta le intenzioni di Renzi…
C’è una bella differenza tra un programma elettorale e le
primarie di un partito, che sono consultazioni importanti ma sono
del tutto private. Quello di Renzi è un altro modo per
delegittimare il voto e la volontà dei cittadini. Per legittimare
un’impresa così grave è stata fatta un’alleanza con Berlusconi,
esclusa dal programma del Pd.
La vostra battaglia è dunque contro le geometrie variabili delle larghe intese?
Non pensavo di essere eletto a presidente della Repubblica, ma
quella candidatura era per cercare una maggioranza diversa dalle
larghe intese che sarebbero state disastrose. Il fallimento di
quelle intese hanno provocato gli esiti attuali e hanno cancellato
l’impegno di Renzi sul reddito ai lavoratori o sulle unioni civili.
Dopo gli appelli organizzerete una mobilitazione?
Vediamo. Non corriamo troppo. L’appello era un passo necessario e non
saranno gli insulti a fermarci. Le reazioni cominciano ad emergere:
ci sono i 22 senatori del Pd che hanno presentato un’eccellente
proposta. Non voglio prendermi meriti, ma credo che esprimano un
minimo di ragionevolezza.
il manifesto 5 aprile 2014
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