E se il “ritorno degli dei” davvero ci aiutasse a vivere più in sintonia con ciò che abbiamo intorno (a partire dal rapporto con la natura e gli animali) ? Una pagina da "Elogio del politeismo" di Maurizio Bettini.
Maurizio Bettini
Perché dobbiamo imparare dagli dei
Affermare che la religione dei Greci e dei Romani è superata corrisponde né più né meno a dichiarare che la poesia di Omero o quella di Virgilio sono superate. Affermazioni che potevano avere un senso al tempo della «querelle des anciens et des modernes», ma che difficilmente lo avrebbero oggi. In realtà, da molto si è compreso che i prodotti della cultura non si misurano sul parametro del tempo o dell’evoluzione, e questo vale anche per la religione. Sappiamo bene quanto colonialismo, quanto eurocentrismo si nascondeva dietro il paravento di certe gerarchie evolutive.
La religione greca e romana è semplicemente un’altra religione, o meglio una religione, tanto quanto lo sono lo shintoismo o l’islam. Eppure nella percezione comune essa non è affatto considerata tale. [...] Gli dei che furono venerati e onorati da due civiltà, e che sono stati al centro di organizzazioni sociali, culturali e intellettuali molto complesse, si sono infatti ridotti a personaggi di una generica «mitologia», semplici attori di racconti fantastici.
Gli esiti di questa
metamorfosi, realizzatasi molti secoli fa, sono peraltro ancora ben
visibili nella cultura comune (per fare un esempio, alle voci
«Minerva» e «Iuno» Wikipedia recita: «divinità della mitologia
romana»). Eppure già Leopardi aveva rilevato quanto vano fosse il
ricorso a questa «mitologia » classica, «giacché non abbiamo noi
colla letteratura ereditato eziandio la religione greca e latina ».
Non diversamente, anche le antiche statue di culto si sono
trasformate in generiche opere d’arte, quelle Afrodite o quei
Dioniso di cui contempliamo la bellezza e talvolta ammiriamo gli
autori, senza pensare però che tali immagini erano chiamate a
rappresentare divinità, non personaggi del “mito”.
Tutto il resto, ossia
quel complesso sistema di relazioni che nel mondo greco e romano
legava fra loro uomini e dei, ha assunto il ruolo di oggetto di
studio - ma per la verità si è conquistato questo status
faticosamente, e in modo del tutto autonomo solo a partire dal XIX
secolo. In conclusione potremmo dire con Heinrich Heine che gli dèi
antichi sono stati «esiliati»: ma non «nell’oscurità di templi
in rovina o nell’incanto dei boschi», come quelli evocati dal
poeta tedesco, ma dentro le Università e negli Istituti di ricerca.
[...]
Ecco dunque, in breve
sintesi, le ragioni per cui l’antico politeismo non è più una
fonte di ispirazione viva per la cultura moderna e contemporanea,
come invece continuano a esserlo la filosofia o il teatro dei Greci e
dei Romani. Con ciò non intendiamo affermare che siano mancati
poeti, filosofi o scrittori moderni i quali, in qualche momento della
loro vita, hanno propugnato i valori del politeismo. [...] In una
lettera a Max Jacobi, Goethe dichiarava ad esempio che in quanto
artista si sentiva “politeista” (così come in quanto scienziato
naturale si sentiva “panteista” e in quanto persona morale
“cristiano”). […]
La “religione
sensibile” cui dovrebbe dare alimento questo programmatico
“politeismo dell’immaginazione e dell’arte” altro non è, in
definitiva, se non la poesia. Ben diverso il caso di Friedrich
Nietzsche, che nella sua polemica anticristiana si appellerà invece
al politeismo come esercizio preliminare alla nascita
dell’individualismo. «Un dio» scriveva «non era la negazione o
la bestemmia di un altro dio! Qui per la prima volta furono permessi
individui, qui per la prima volta si onorò il diritto degli
individui. L’inventare dei, eroi, superuomini di ogni specie […]
costituì l’inestimabile propedeutica alla giustificazione e
dell’egoismo e della sovranità del singolo». Il politeismo come
incunabolo della morale, ovviamente nel senso in cui Nietzsche la
intendeva.
Nel corso del Novecento il politeismo avrà invece una notevole vitalità in qualità di rappresentazione (o meglio, ancora una volta, in qualità di metafora) a carattere psicologico. Scriveva Carl Gustav Jung: «Ciò che noi abbiamo superato sono però soltanto i fantasmi delle parole, non i fatti psichici che furono responsabili della nascita delle divinità. Siamo ancora così posseduti dai nostri contenuti psichici autonomi come se essi fossero divinità. Ora li chiamiamo fobie, coazioni, e così via, in una parola, sintomi nevrotici. Le divinità sono diventate malattie, e Zeus non governa più l’Olimpo, ma il plesso solare». Sarà proprio da queste affermazioni di Jung (ma non forse dalla loro ironia) che prenderà dichiaratamente ispirazione il programma psicologico di James Hillman, inteso a riconoscere gli dei come essi stessi patologizzati […].
Ricorrendo a esempi tratti perlopiù dalla religione romana, abbiamo dunque scelto di puntare su quegli aspetti del politeismo che, se trasferiti nelle nostre società, potrebbero contribuire a ridurre uno dei molti mali che continuano ad affliggerle: il conflitto religioso, e assieme ad esso quel variegato spettro di ostilità, riprovazione, indifferenza che tuttora avvolge agli occhi degli “uni” le divinità onorate dagli “altri”. [...]
Marte ad esempio, che
tutti conosciamo come dio della guerra, può essere invocato anche
per garantire la felice riuscita delle messi o la buona salute del
bestiame. A prima vista queste diverse attribuzioni sconcertano -
perché mischiare guerra, fertilità dei campi e salute dei buoi? Il
fatto è che questi momenti sono accomunati da uno stesso tratto: il
pericolo. Pericoli della guerra, quando si va in battaglia, pericoli
delle calamità atmosferiche, quando le messi stanno crescendo,
pericoli della selva, quando il bestiame va in pastura. Ecco che in
tutti questi casi è chiamato a intervenire lo stesso dio, il
bellicoso Marte. Tornare a tessere questa antica rete, segmentando e
ricomponendo la realtà secondo le linee indicate dalle religioni
classiche, offre uno stimolo prezioso per chiunque abbia voglia di
pensare il mondo in modo diverso da come normalmente ci viene
presentato.
La Repubblica – 2 aprile 2014
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