07 aprile 2014

STORIA DI UN REGICIDA



La storia di Gaetano Bresci ricostruita in un libro di Paolo Pasi in uscita per Eléuthera. Ne anticipiamo un brano.

Paolo Pasi
L’anarchico venuto dall’America: la fine del viaggio di Bresci


Milano, 24 luglio 1900. L’aria è calda, umida, malsana, e non è solo per via dell'afa appiccicosa calata sulla città come un mantello soffocante.

È come se recasse traccia della polvere da sparo, come se Milano fosse ancora avvelenata dai colpi del generale che solo due anni prima ha ordinato il fuoco sulla folla affamata. È qui che è iniziato tutto, ed è qui che sta per finire il viaggio. Gaetano Bresci è arrivato da Piacenza dopo essere stato a Bologna, e ancora prima a Prato, la sua città natale dove ha rivisto i familiari, i pochi amici, i conoscenti, le persone attorno a cui ha costruito gli affetti dell’infanzia e oltre. Mancava da tre anni.

È un viaggio a ritroso, quello che lo sta portando a destinazione. È arrivato in Italia ai primi di giugno, passando per la Francia e Parigi, dopo la traversata in terza classe a bordo della nave Gascogne partita da New York.

L’anarchico venuto dall’America, come lo chiameranno alcuni intellettuali di rango e storici, è un uomo di quasi 31 anni, distinto, piacente, dai baffi curati e dall’abbigliamento raffinato per uno della sua condizione. A Prato, per questo, lo avevano soprannominato fin da ragazzo il «paino», ovvero il damerino, e lui si è sempre risentito per questa etichetta, appiccicata come se ai poveri non dovesse essere riconosciuto il diritto allo stile, all’eleganza, all’incedere dignitoso nonostante sopraffazioni e angherie. Ha visto tanti luoghi senza trovare pace in alcuno.



New York, Parigi, Genova, Prato, Bologna, Piacenza... Il viaggio si riavvolge come un nastro che torna a scorrere nella giusta direzione di marcia. Milano è rovente, il centro della città un luogo di passaggio poco affollato che reca testimonianza delle novità d’inizio secolo: l’elettricità, i tram senza cavalli, i grandi magazzini lungo corso Vittorio Emanuele. Ma non c’è applicazione moderna che possa cancellare le tracce del più recente passato. Ci sono ancora carrozze a cavallo, per esempio, e quell’aria sempre inquinata dall’odore della polvere da sparo.

Bresci imbocca via San Pietro all’Orto, una traversa di corso Vittorio Emanuele, e va dritto all’obiettivo. Con sé ha una valigia marrone e una macchina fotografica che cattura l’attenzione per le sue ridotte e avveniristiche dimensioni. È il taccuino visivo del suo viaggio, la testimonianza dei passaggi intermedi. Adesso è quasi arrivato. Ad attenderlo c’è Carlo Colombo, custode di uno degli stabili, ma soprattutto anarchico tra i più attivi e conosciuti a Milano. Uno che avrà problemi con la polizia fino all’ultimo giorno di vita.

«Qui, due anni fa, c’era l’esercito a presidiare le redazioni dei giornali e i sospetti covi sovversivi. Avevano militarizzato tutta la città» spiega Colombo a Bresci mentre lo accompagna dai coniugi Ramella, che gestiscono una piccola pensione poco più in là, al numero civico 4. I due anarchici s’intendono, anche se non possono dirsi intimi conoscenti. Solo compagni che condividono la percezione olfattiva della città e sanno ridurre al minimo certe parole e argomenti. Sebbene l’aspetto sia cambiato dai moti del 1898 repressi da Bava Beccaris, Milano è ancora sotto sorveglianza regale, e ogni minimo commento che evochi semplicemente rabbia, può essere l’anticamera della cella. Come avviene, peraltro, nel resto d’Italia.

I due arrivano dalla signora Ramella, che squadra l’amico di Colombo e lo trova un tipo distinto, rassicurante, come non se lo immaginava. Perfino un bell’uomo, ancora giovane, dal tono affabile.

«Gaetano Bresci, piacere».
«Benvenuto. La sua stanza è al primo piano».

l’Unità – 7 aprile 2014

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