12 aprile 2014

USA, UCRAINA, RUSSIA E CINA OGGI

Rete dei gasodotti russi

  
Ian Bremmer è il capofila della nuova generazione dei politologi americani. Fondatore dell'Eurasia Group si dedica in particolare alla valutazione dei fattori di rischio della politica internazionale, in altre parole dà valutazioni alle grandi società sulla opportunità o meno di investire nelle singole situazioni. Un modo di fare analisi legato ad una lettura globale dei fenomeni considerati da una molteplicità di angolazioni e in prospettiva. Un metodo diversissimo dal semplicismo dei media nostrani, come dimostra bene questa analisi del caso ucraino.

Ian Bremmer
Nel braccio di ferro sull’Ucraina a vincere è la Cina, non la Russia
Dopo l’annessione russa della Crimea, l’imposizione di sanzioni da parte di America ed Europa, e con la minaccia d’una nuova escalation in Ucraina, irrompe sulla scena internazionale geopolitica l’evento più drammatico dall’ 11 settembre. Gli ultimi sviluppi in Ucraina rappresentano il punto di svolta. I rapporti tra Washington e Mosca erano già tesissimi, ma oggi che la Russia è stata sospesa dal G8 e con nuove sanzioni in arrivo, le comunicazioni si sono completamente interrotte.
Si profilano all’orizzonte, inevitabilmente, varie forme di conflitto Est-Ovest, con preoccupanti ripercussioni sia per la sicurezza in Europa, la stabilità in Russia, il futuro dell’Unione Europea e della Nato, sia per i mercati energetici globali. Ma sebbene, con ogni probabilità, le tensioni siano destinate ad aggravarsi, non esistono analogie che possano far pensare a una nuova Guerra fredda, né la situazione attuale rischia di riproporre l’antico scenario. E i motivi sono molteplici.
Innanzitutto, la Russia non ha amici potenti, né la capacità di assicurarsene di nuovi. Quando l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato sulla legittimità dell’annessione russa della Crimea, solo dieci Paesi si sono schierati con la Russia. Il sostegno è arrivato dai Paesi confinanti, soggetti alle pressioni russe (Armenia e Bielorussia) e da vari Stati-canaglia che non godono d’alcun prestigio internazionale (Cuba, Corea del Nord, Sudan, Siria, Zimbabwe). Aggiungete una manciata di Paesi simpatizzanti — per antica tradizione — in America latina (Venezuela, Bolivia e Nicaragua) e appare chiaro che alla Russia manca ormai la capacità d’attrazione ideologica della vecchia Unione Sovietica. I suoi sostenitori sono accomunati soprattutto nel condividere il malcontento verso l’ordine globale prestabilito, piuttosto che il miraggio d’eventuali soluzioni alternative proposte dalla Russia.
Inoltre, il Pil russo è salito appena dell’ 1,3 per cento lo scorso anno e la crescente dipendenza del Paese dalle esportazioni di risorse naturali assicura che l’economia non migliorerà, se non in vista d’un futuro aumento dei prezzi globali. Nel 2007, alla Russia bastava il prezzo del Brent di 34 dollari al barile per pareggiare il bilancio federale; cinque anni dopo, quella cifra era arrivata a 117 dollari. L’anno scorso, petrolio e gas costituivano circa la metà delle entrate del governo russo. Ad aggravare la situazione, l’economia è controllata da un piccola élite la cui esistenza è legata alle simpatie di Putin. Più d’un terzo della ricchezza totale del Paese è in mano a soli 110 multimiliardari.

Malgrado il suo arsenale nucleare, soggetto alla vecchia regola di distruzione reciproca assicurata, che costituiva l’ago della bilancia tra gli armamenti americani e sovietici, alla Russia manca tuttavia la capacità militare dell’Unione Sovietica. Oggi gli Stati Uniti spendono circa otto volte quello che la Russia può elargire alle sue forze armate. La Russia può permettersi di flettere i muscoli per intimorire i suoi vicini, ma non è più in grado di sfidare il mondo come faceva un tempo l’Unione Sovietica.
La limitazione fondamentale della Russia è la mancata disponibilità della Cina a trasformarsi in un alleato affidabile contro l’Occidente. Pechino ha ben poco da guadagnare, schierandosi in questo conflitto. Pure sperando d’accaparrarsi una fetta maggiore delle esportazioni energetiche russe, la Cina non ha alcun interesse a inimicarsi i suoi principali partner commerciali, come l’Europa e l’America, a favore di Mosca.
Anzi, la Cina potrebbe rivelarsi il principale (se non l’unico) vincitore nell’attuale crisi ucraina. Mentre l’Europa s’affretta a cercare alternative per ridurre la sua dipendenza dal gas russo, i cinesi sanno di poter spuntare prezzi più favorevoli, mantenendo al contempo relazioni pragmatiche con entrambe le parti. La Cina inoltre è ben contenta che l’attenzione americana in questo frangente sia puntata sull’Europa (e non sull’Asia) orientale.
La Cina si muoverà con molta cautela quando la Russia proverà a scatenare una crisi secessionista in Ucraina, poiché s’oppone strenuamente a qualsiasi precedente che possa suscitare simili rivendicazioni d’autonomia nelle sue province più turbolente, quali il Tibet e lo Xinjiang.
In mancanza di una nuova Guerra fredda, la Russia proverà a sabotare i piani di politica estera occidentali. La Russia potrebbe incoraggiare il governo di Bashar Assad in Siria a ignorare le richieste occidentali di distruggere o consegnare i suoi arsenali chimici e potrebbe elargire nuovi aiuti finanziari e militari al suo regime.
Ma Assad ha già guadagnato abbastanza terreno per sopravvivere alla guerra civile in Siria e c’è ben poco che la Russia possa fare per rimettere in piedi quel Paese disastrato. La Russia potrebbe inoltre provare a far saltare i negoziati sul programma nucleare iraniano. Ma non sarà facile per Mosca persuadere Teheran a ritirarsi da un accordo che l’Iran va attivamente cercando per poter ricostruire la sua economia interna, e la Russia non vuole certo scatenare una corsa agli armamenti nucleari in una zona, il Medio Oriente, assai più vicina ai suoi confini che non agli Stati Uniti.
In breve, la Russia resta una potenza regionale (raccomandiamo tuttavia al presidente Obama di astenersi dal fare simili dichiarazioni in pubblico!).

Il Corriere della sera – 11 aprile 2014

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