Umberto Eco tiene a
Bologna una lezione a medici e infermieri sul rapporto fra cultura e
sofferenza. Una lezione a cui ci sarebbe piaciuto assistere e che
speriamo di veder presto pubblicata, ma che conferma ancora una volta
come sull'uomo sia stato già detto tutto dai classici greci (soprattutto dal
nostro amato Epicuro).
Eco: “La
conoscenza è la cura al dolore”
«La cultura alza
la soglia della sofferenza. Credo che possa essere incoraggiata
un’educazione culturale al dolore. Così come il filosofo
impara a essere “per la morte”, tutti noi dovremmo imparare
a essere “per il dolore”».
Umberto Eco a
Bologna, di fronte a una platea di medici e infermieri che si
sono appena specializzati in cure palliative, parla della
sofferenza. Individuando una nuova frontiera, non tanto per la
medicina o la psicologia, ma per «la filosofia di domani»: la
necessità, per quei tipi di sofferenza che non annunciano
una malattia terminale, di un diverso approccio culturale al
dolore. La ricetta — la conoscenza come cura — per Eco non
è semplice. «Ma come impartirla non è affar mio», osserva
celebrando le «virtù delle cure palliative».
Il semiologo,
che oggi all’Ambasciata del Brasile a Roma riceverà il
titolo di dottore honoris causa dell’università federale del
Rio Grande do Sul, affronta per la prima volta, per sua stessa
ammissione, una riflessione sul dolore. Lezione tenuta al
Mast, la cittadella della cultura della Fondazione Seragnoli.
Con Eco il rettore dell’Alma Mater Ivano Dionigi e il
direttore dell’Accademia delle scienze di medicina palliativa
Guido Biasco.
Una riflessione che
dall’immagine mitologica di Algea, «i dolori che fanno
piangere» nella Teogonia esiodea, arriva ai giorni nostri, «in
un crescendo di erotica del dolore» che gioca «ai limiti
della compiacenza, come nel Cristo sanguinolento di Mel Gibson»
o come «il piacere per il dolore altrui istituzionalizzato
nelle trasmissioni televisive».
Epicuro |
Eco ricorre ai
classici: il saggio che cerca di raggiungere l’assenza di
dolore in Aristotele, l’atarassia e l’apatia degli stoici
ed epicurei. E ricorda la svolta del Cristianesimo: il dolore
salvifico, la sua accettazione come strumento di redenzione.
Indugia sulle descrizioni di corpi putrefatti dei predicatori,
arriva al pensiero romantico — la sofferenza come tramite di
conoscenza — cita Schelling, Nietzsche, Dostoevskij, Proust,
il male di vivere di Montale e il suicidio di Pavese. Sino alla
«grande conquista della sensibilità moderna e contemporanea:
non si nega l’esistenza del dolore, ma si è deciso che è
eliminabile il dolore eccedente». E dunque, l’educazione
alla sofferenza.
E per parlarne,
Eco ricorre a un ricordo personale: lui soldato febbricitante
in caserma. «Ma accanto a me ragazzi meridionali e analfabeti
soffrivano più di me perché non capivano cosa avessero e che
di solito dall’influenza si guarisce. Sapendo cosa stai
subendo, vi sai resistere meglio». L’invito allora è «se
non a conoscere attraverso il dolore, almeno a conoscere il
dolore e accettarlo nella funzione biologica». Eco strappa la
risata e un lungo applauso con una battuta: «Io mi fermo. E vi
lascio al prossimo mal di denti».
La Repubblica – 11
aprile 2014
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