12 aprile 2014

UMBERTO ECO: La conoscenza può lenire il dolore?





Umberto Eco tiene a Bologna una lezione a medici e infermieri sul rapporto fra cultura e sofferenza. Una lezione a cui ci sarebbe piaciuto assistere e che speriamo di veder presto pubblicata, ma che conferma ancora una volta come sull'uomo sia stato già detto tutto dai classici greci (soprattutto dal nostro amato Epicuro).

Eco: “La conoscenza è la cura al dolore”

«La cultura alza la soglia della sofferenza. Credo che possa essere incoraggiata un’educazione culturale al dolore. Così come il filosofo impara a essere “per la morte”, tutti noi dovremmo imparare a essere “per il dolore”».

Umberto Eco a Bologna, di fronte a una platea di medici e infermieri che si sono appena specializzati in cure palliative, parla della sofferenza. Individuando una nuova frontiera, non tanto per la medicina o la psicologia, ma per «la filosofia di domani»: la necessità, per quei tipi di sofferenza che non annunciano una malattia terminale, di un diverso approccio culturale al dolore. La ricetta — la conoscenza come cura — per Eco non è semplice. «Ma come impartirla non è affar mio», osserva celebrando le «virtù delle cure palliative».

Il semiologo, che oggi all’Ambasciata del Brasile a Roma riceverà il titolo di dottore honoris causa dell’università federale del Rio Grande do Sul, affronta per la prima volta, per sua stessa ammissione, una riflessione sul dolore. Lezione tenuta al Mast, la cittadella della cultura della Fondazione Seragnoli. Con Eco il rettore dell’Alma Mater Ivano Dionigi e il direttore dell’Accademia delle scienze di medicina palliativa Guido Biasco.

Una riflessione che dall’immagine mitologica di Algea, «i dolori che fanno piangere» nella Teogonia esiodea, arriva ai giorni nostri, «in un crescendo di erotica del dolore» che gioca «ai limiti della compiacenza, come nel Cristo sanguinolento di Mel Gibson» o come «il piacere per il dolore altrui istituzionalizzato nelle trasmissioni televisive».

Epicuro

















Eco ricorre ai classici: il saggio che cerca di raggiungere l’assenza di dolore in Aristotele, l’atarassia e l’apatia degli stoici ed epicurei. E ricorda la svolta del Cristianesimo: il dolore salvifico, la sua accettazione come strumento di redenzione. Indugia sulle descrizioni di corpi putrefatti dei predicatori, arriva al pensiero romantico — la sofferenza come tramite di conoscenza — cita Schelling, Nietzsche, Dostoevskij, Proust, il male di vivere di Montale e il suicidio di Pavese. Sino alla «grande conquista della sensibilità moderna e contemporanea: non si nega l’esistenza del dolore, ma si è deciso che è eliminabile il dolore eccedente». E dunque, l’educazione alla sofferenza.

E per parlarne, Eco ricorre a un ricordo personale: lui soldato febbricitante in caserma. «Ma accanto a me ragazzi meridionali e analfabeti soffrivano più di me perché non capivano cosa avessero e che di solito dall’influenza si guarisce. Sapendo cosa stai subendo, vi sai resistere meglio». L’invito allora è «se non a conoscere attraverso il dolore, almeno a conoscere il dolore e accettarlo nella funzione biologica». Eco strappa la risata e un lungo applauso con una battuta: «Io mi fermo. E vi lascio al prossimo mal di denti».


La Repubblica – 11 aprile 2014

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