di Fabrizio Lorusso
Nadia Angelucci e Gianni Tarquini – Il presidente impossibile. Pepe Mújica, da guerrigliero a capo di stato, Nova Delphi Libri, pp. 224, € 12,50
Il Presidente Impossibile
è la prima biografia italiana di José “Pepe” Mújica, ex guerrigliero
che oggi è presidente dell’Uruguay. Ma è anche un testo utilissimo per
capire la storia dell’America Latina e particolarmente dei paesi del
Cono sud come il Cile, l’Argentina, il Brasile, il Paraguay e, appunto,
il più piccolo di loro: l’Uruguay. Questo saggio, scorrevole come un
romanzo e appassionante come un diario, chiarisce, trattando il caso di
un paese specifico, il percorso e il ruolo di quelle sinistre
latinoamericane che, dopo gli anni dell’autoritarismo supportato dagli
USA e la restaurazione democratica, sono diventate forze di governo, ma
che restano ancora le “grandi incomprese” dei mass media e del mondo
politico occidentali. Gli autori di questo saggio, insieme a Rachele
Masci e Manfredo Pavoni, conducono da anni Bucanero, un programma
radiofonico di controinformazione sull’America Latina che va in onda su
Radio Popolare Roma la domenica alle 12 e 30 ed è uno dei pochi spazi
dedicati a questa regione. L’America Latina, l’autoritarismo, la
repressione, le dittature, il militarismo, il populismo, le guerriglie,
la lotta de los de abajo e la consolidazione democratica sono
tutti argomenti al centro di questa biografia che sa andare ben oltre la
vicenda personale e politica di Pepe Mújica.
Il Presidente impossibile
è una voce che è composta a sua volta da tante altre voci, da
interviste, documenti, testimonianze e articoli ben organizzati e
narrati con fluidità. Il libro racconta a fondo l’Uruguay, è una storia e
un diario di un paese da tre milioni di abitanti, incastonato tra due
stati-continente come l’Argentina e il Brasile. Una realtà in cui il
movimento guerrigliero, i Tupamaros in primis, aveva una
connotazione nettamente urbana ed era considerato anomalo, soprattutto
rispetto all’esperienza cubana e al foquismo guevariano che avevano fatto della selva, dei contadini e delle montagne i loro alleati principali.
“Negli
anni Settanta la sinistra non parlamentare d’Italia era retrovia di
molti movimenti rivoluzionari. Ospitammo e sostenemmo materialmente
militanti delle lotte armate provenienti da tutte le parti del mondo”,
spiega Erri De Luca nel prologo. Grazie all’approfondimento
storiografico sull’Uruguay, che parte dagli anni ’30, e poi alla cronaca
della nascita, dell’auge e del declino delle sinistre
extraparlamentari, delle iniziative antagoniste e del conflitto armato
negli anni ’60 e ’70, il testo va definendo anche un ottimo punto di
partenza per una riflessione sugli anni della lotta armata in Italia,
sui legami internazionali dei movimenti, sui loro militanti e sui
diversi epiloghi delle loro lotte.
Un
saggio su Mújica, personaggio estremamente mediatizzato e quindi, in
qualche modo, “normalizzato”, incorporava il rischio di diventare
apologetico e scontato. Invece Tarquini e Angelucci, da giornalisti
esperti di America Latina e osservatori attenti delle vicende
uruguaiane, non sono caduti nella trappola e sono riusciti a mettere in
evidenza luci ed ombre di un uomo politico carismatico, perseverante,
pragmatico e atipico, specialmente se paragonato ai rappresentanti di
classi politiche abituate a magniloquenze, formalismi ed espressioni
prive di contenuto e di coraggio.
La trasformazione operata da stampa mainstream
e reti sociali sulla figura José Mújica, divenuto in pochi mesi
un’icona mediatica globale, cioè il “presidente più povero del mondo”
che dà in beneficenza il 90% del suo stipendio, ha il difetto, tra gli
altri, di far passare in secondo piano l’operato del suo governo e di
banalizzare o rendere folclorica la sua storia e la sua complessità
politica. E infine svia l’attenzione da quanto è stato fatto
concretamente in Uruguay dai partiti raggruppati nel Frente Amplio Progresista e da quello che manca ancora da fare.
Tarquini e Angelucci ci riportano nel paese reale, c’immergono nella sua evoluzione e nelle sue problematiche, in cui il Frente Amplio,
la coalizione di governo, da oltre 40 anni (precisamente dal 1971)
riesce a tenere insieme cattolici progressisti ed ex guerriglieri,
socialisti, comunisti e anche correnti d’ispirazione liberale e
democristiana. Dopo essere stato proscritto durante la dittatura
(1973-1985) e dopo quasi vent’anni d’opposizione, il Frente ha
conquistato la maggioranza parlamentare e la presidenza della Repubblica
in due occasioni, nel 2004 con Tabaré Vázquez e nel 2009 con Pepe
Mújica. Come forza di governo ha dovuto fare i conti con la crisi
internazionale e il predominio dell’ideologia neoliberale, all’esterno, e
con le opposizioni del Partido Colorado e del Nacional e con la sfida delle riforme, all’interno.
Di nuovo dal prologo di Erri De Luca: “Pepe
Mújica è il compagno che ognuno avrebbe voluto a fianco e che molti
hanno conosciuto sotto diversi nomi. La sua vicenda prima che politica è
sentimentale, perché fondata sul primo sentimento che affiora alla
coscienza: la giustizia”. Facendo uso di un gran numero di fonti
giornalistiche e documentali, gli autori hanno ricostruito la gioventù
del presidente, col suo fervore politico e l’adesione alla lotta armata
nel Movimento di Liberazione Nazionale-Tupamaros, e poi i lunghi anni in
carcere durante la dittatura, il suo amore per la terra, le cose
semplici e soprattutto per la moglie, anche lei ex guerrigliera, Lucia
Topolansky. Propongono anche scorci della loro vita attuale in campagna,
nei dintorni della capitale Montevideo, vicini ai contadini, al mondo
rurale e dei lavoratori.
“La
battaglia che stiamo perdendo contro il capitalismo è in realtà la
battaglia contro il consumismo. E’ quella di questa società dei consumi
che indirizza i nostri giovani in strada a cercare con qualsiasi mezzo
‘ciò che si usa oggi’, quel particolare tipo di cellulare, la marca di
scarpe sportive alla moda. Ciò comporta che una persona qualsiasi che
magari ha la sfortuna di arrivare a malapena a potersi procurare il
necessario per vivere, s’indebiti per comprarsi il televisore al plasma.
E questo a causa de mezzi di comunicazione di massa che s’incaricano di
generare desideri travestiti da necessità; i genitori non sanno come
negare ai figli quei prodotti che i pubblicitari si incaricano di
vendere”, ha spiegato Lucia Topolansky in un’intervista esclusiva di
pochi mesi fa che è stata inclusa nel volume.
“Il
tema della terra e il legame di questa con l’uomo, che hanno segnato la
vita di Mújica sin dalla sua infanzia, contribuiscono alla sua
elaborazione politica e trascendono dal piano personale a quello
pubblico”. Demetrio Mújica, padre di Pepe, era di origini basche e morì
quando suo figlio aveva 8 anni. Sua moglie, Lucy Cordano, veniva da una
famiglia contadina di migranti italiani: suo nonno arrivava, infatti,
dalla zona di Rapallo in Liguria. Il nome del Movimento di Liberazione
Nazionale uruguayano MLN-Tupamaros s’ispirava a Tupac Amaru II, ovvero a
José Manuel Condorcanqui, meticcio andino-spagnolo discendente di Tupac
Amaru, ultimo sovrano inca che fu giustiziato a Cuzco nel 1781 per aver
organizzato la più imponente rivolta indigena contro gli spagnoli e che
disse: “Domani tornerò e sarò milioni”.
Negli
anni sessanta e settanta il conflitto è scandito dalle azioni armate,
dalle “carceri del popolo”, dall’ampio sostegno popolare, dagli espropri
proletari, dalle azioni dimostrative ma anche dai sequestri, come
quello dell’agente FBI Dan Mitrione, che degenerò nell’omicidio
dell’agente, e dalle fughe epiche, come quella da Punta Carretas
nel 1971. Parallelamente, però, s’acuisce la controffensiva dello stato
coi processi, le condanne, le incarcerazioni, e infine con la stretta
finale contro i Tupamaros che porta al loro smantellamento e
all’imprigionamento di tutti i leader, compreso Mújica. Questi, dopo
vari arresti e fughe, viene catturato e rinchiuso definitivamente nel
1972. Alla fine dell’esperienza della lotta armata, nel contesto della
Guerra fredda e delle svolte autoritarie in quasi tutto il
sottocontinente latinoamericano, comincia una dittatura militare che
dura dal 1973 al 1985. E’ l’epoca del Plan Condor, operazione regionale
volta alla repressione sistematica di ogni dissidenza coordinata dai
regimi dittatoriali sudamericani e dalla CIA, cui aderiscono, oltre alla
cupola militare dell’Uruguay, anche quelle del Brasile (al potere dal
1964), del Cile di Pinochet (dopo il golpe del 1973), dell’Argentina
(dal 1976), della Bolivia (governata dai militari dal 1964) e del
Paraguay, che viveva nella tirannia dal 1954.
Il
centro del capitolo “Sepolti vivi” è l’esperienza della prigione e
della dittatura, sia dal punto di vista del popolo e della società, che
provava a resistere all’autoritarismo, alla repressione del dissenso e
alla “politica” delle desapariciones, sia da quello dei
“sepolti”, cioè di quei guerriglieri e quelle guerrigliere cui era stato
riservato il carcere duro e che rischiavano d’impazzire o d’ammalarsi,
come effettivamente accadde in alcuni casi.
Il libro dedica uno spazio di digressione, preziosissimo e necessario, al caso delle rehenas
(ostaggi) della dittatura, cioè undici donne prigioniere la cui vita
carceraria fu particolarmente dura, resa impossibile cinicamente dal
regime che così intendeva “dare l’esempio”: il martirio di alcuni
serviva per tutti. Le storie e le testimonianze dei detenuti uomini
della dirigenza guerrigliera tupamara sono note da anni, mentre
per quanto riguarda le donne c’è stato un silenzio trentennale,
interrotto solo nel 2012 da Marisa Ruiz e Rafael Sanseviero con il libro
Las rehenas. Historia oculta de once presas de la dictadura
(Ed. Fin de Siglo, Montevideo). Tarquini e Angelucci ci parlano della
resistenza di queste donne e delle condizioni della loro reclusione, ci
raccontano della “grammatica terrorista” dello stato uruguayano che, nel
suo delirio totalitario e intimidatorio, prevedeva “l’appropriazione
del corpo delle persone alla mercé di un potere abusivo”. Espressione di
ciò furono il regime d’isolamento carcerario assoluto, la
sottoalimentazione, la disidratazione, le sevizie, le violenze, le
percosse, le sessioni di tortura e la rotación, ossia lo spostamento coatto e continuo del prigioniero tra varie caserme.
Appena
uscito dal carcere, nel marzo 1985, Mújica si riappropria della sua
vita familiare, personale, sociale e politica. Va a stare da sua madre
per un po’. Rincontra l’attuale moglie, Lucia Topolansky, anche lei
finita in prigione dal 1972 al 1985, e da allora non se ne separa più.
Con lei riprende la militanza politica. Dieci anni dopo diventa il primo
ex tupamaro a diventare deputato. In seguito nel governo di Tabaré
Vázquez ricopre la carica di ministro dell’agricoltura e nel 2009
diventa candidato presidenziale per il Frente e vince le
elezioni. Il libro non indugia nei trionfalismi e si dedica a spiegare i
cinque anni di governo di Mújica, che quest’anno volgono al termine,
così come i suoi provvedimenti, i discorsi ormai storici del presidente
guerrigliero, ma anche i suoi limiti e le critiche che gli sono state
rivolte da destra e da sinistra.
Chi è, infine, José Pepe
Mújica? “E’ un vecchio che ha sulle spalle parecchi anni di carcere, e
qualche proiettile in corpo”, ha dichiarato lui stesso, “e che si sente
molto felice, tra le tante ragioni, di contribuire a rappresentare
umilmente chi non c’è più e dovrebbe esserci […] Chi non coltiva la
memoria, non sfida il potere. E’ questo lo strumento per costruire il
futuro che, in ogni caso, è nostro perché non hanno potuto
sconfiggerci”.
Il libro fa parte della collana Viento del Sur
di Nova Delphi Libri. Un vento che il giornalista e accademico
argentino Adolfo Gilly ama descrivere con queste parole, citate in
apertura de Il presidente impossibile: “Da Genova a Buenos
Aires, le città sono nostre. Ancora una volta osiamo pensare e
immaginare il socialismo, una società di persone uguali e libere, contro
questa barbarie senza senso e senza pietà che è il mondo globale del
capitale: ecco il messaggio che possiamo leggere in questo nuovo vento
del Sud”.
Link su Carmilla:
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SUL SITO http://www.carmillaonline.com/
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