Picasso e Olga
Nella primavera del 1917 Picasso soggiornò per otto settimane in Italia. Quel viaggio cambierà la sua visione dell’arte,che si aprirà alla Grecia e agli Etruschi, alla ceramica e all’eros. Una grande mostra a Roma nel 2017 racconterà il legame fra l'artista e il nostro paese.
Stefano Bucci
Picasso allarga il
Mediterraneo
Da quel suo breve Grand Tour d’Italie (nemmeno otto settimane incominciate il 17 febbraio 1917) l’ancor giovane Pablo era tornato comunque cambiato. A Roma, mentre preparava i costumi e le scene per i Ballets Russes di Diaghilev, aveva conosciuto Olga Kochlova (ballerina mediocre, di una bellezza e di un’intelligenza così mediocri da fargliela sembrare esotica almeno secondo la controversa biografia pubblicata da Arianna Stassinopoulos nel 1988) che qualche mese dopo sarebbe diventata la sua prima, infelicissima moglie.
A Napoli, grazie all’
Ercole Farnese e all’ Antinoo del Museo Archeologico (ma anche ai
misteriosi affreschi delle ville di Pompei), aveva definitivamente
messo a punto quella sua voglia di classicità che già nelle Stanze
del Vaticano gli aveva fatto scoprire Raffaello (del maestro avrebbe
amato moltissimo La Fornarina ). A Firenze, nell’unico giorno
trascorso lì, sarebbe invece andato in giro con Alberto Magnelli,
scoprendo (tra l’altro) il Giorno e la Notte scolpiti da
Michelangelo per la Sacrestia Nuova di San Lorenzo.
Se Pablo non fosse
stato Picasso, più o meno «il massimo artista del XX secolo»,
quell’incontro con l’universo italiano sarebbe bastato da solo a
dare una svolta definitiva alla sua ispirazione che, al contrario, si
sarebbe rivelata «assai più profonda, più articolata e più
complessa».
All’approfondimento del legame tra l’artista e il nostro Paese (ma anche con l’intera area del Mediterraneo) sarà dedicata la mostra-evento del 2017 delle Scuderie del Quirinale di Roma: Pablo Picasso. Tra Cubismo e Neoclassicismo: 1915-1925 , in programma dal 21 settembre 2017 al 21 gennaio 2018. Un centinaio i capolavori scelti dal curatore Olivier Berggruen: tra questi il Ritratto di Olga in poltrona (1917), Léonide Massine come Arlecchino (1917), la natura morta con Chitarra, bottiglia, frutta, piatto e bicchiere su tavolo (1919), le Due donne che corrono sulla spiaggia (1922), il Flauto di Pan (1923), il Saltimbanco seduto con braccia conserte (1923).
Una serie di prestiti
eccellenti a cominciare dal Musée Picasso di Parigi al Moma di New
York passando per il Museum Berggruen di Berlino creato nel 1996 dal
padre di Olivier, Heinz, dopo sessant’anni di esilio negli Stati
Uniti per sfuggire alle leggi razziali, proprio per ristabilire il
legame con la Germania.
«L’idea della mostra — spiega Berggruen a “la Lettura” — è prima di tutto quella di fare chiarezza sul rapporto tra Picasso e l’Italia». Giusto a cent’anni dal primo viaggio in Italia dell’artista, Berggruen precisa alcuni elementi fondamentali per capire il senso di quel Grand Tour: «Picasso parte al seguito dei Ballets Russes per le pressioni di Jean Cocteau, all’epoca un giovane poeta molto ambizioso. L’idea era quella di dare una mano alla realizzazione del balletto Parade . Diaghilev firmava la coreografia, Cocteau il testo, Satie la musica, Picasso le scene e i costumi». Erano, oltretutto, gli anni della guerra, quando Roma sembrava essere in qualche modo «il centro del mondo».
Dunque tutto ruota attorno a Parade . Non a caso uno dei pezzi forti della mostra di Roma è il grandioso (10 metri per 16) sipario creato da Picasso per il balletto, di solito conservato al Centre Pompidou e già esposto in Italia nel 1998, in occasione della mostra Picasso 1917- 1924 a Venezia, a Palazzo Grassi: non sarà alle Scuderie (viste le dimensioni) ma nel vicino Palazzo Barberini, sotto le volte della grande sala affrescata da Pietro da Cortona con il Trionfo della Divina Provvidenza (1632).
«Sarà stupendo mettere
a confronto la nuova modernità di Picasso con la grande maniera del
Seicento italiano», spiega il curatore. Che, a proposito del
complesso rapporto dell’artista con la classicità, aggiunge: «Il
Raffaello delle Stanze Vaticane lo aveva colpito, così come
Michelangelo, così come l’ Ercole Farnese, l’Antinoo, gli
affreschi di Pompei e di Ercolano». E i futuristi suoi coetanei? «Li
aveva conosciuti proprio a Roma. La loro carica rivoluzionaria lo
aveva all’inizio intrigato ma poi i loro eccessi lo avrebbero
allontanato, ancora di più quando Picasso avrebbe cominciato ad
avere più successo e più soldi e in qualche modo si sarebbe
imborghesito. L’unico con cui sarebbe rimasto legato era Gino
Severini».
Ma visto che per Berggruen Picasso rappresenta il prototipo dell’artista contemporaneo «con la sua continua voglia di contaminazione e sperimentazione di nuovi linguaggi», il legame con l’antico non poteva restare scontato: «Delle statue antiche lo avevano colpito la monumentalità e la sensualità nascosta, più che le forme e le proporzioni. Ma poi, anticipando certe moderne trasgressioni, Pablo (all’epoca trentacinquenne) aveva iniziato a mettere insieme con grande disinvoltura «alto» e «basso». In che modo? Andando a vedere musei e chiese ma anche gli spettacoli delle marionette, il vaudeville (di cui gli piaceva assai la sfilata che concludeva la recita) oppure collezionando le cartoline d’epoca con giovani donne romane e napoletane in costume tradizionale». Un souvenir d’Italie di basso profilo che avrebbe, ad esempio, prodotto la bellissima Italiana (1917) della Collezione Bührle di Zurigo.
«L’Italia rappresenta un riferimento fondamentale per Picasso, così come per tutti gli artisti della sua generazione»: questa l’opinione anche di Laurent Le Bon, presidente del Musée Picasso di Parigi, tra i partner della mostra romana, inserita nel progetto Picasso-Méditerranée , avviato nel 2015 dallo stesso Le Bon, in occasione della riapertura del museo parigino. Un progetto che coinvolge oltre sessanta istituzioni di Paesi affacciati sul Mediterraneo e «che vuole mettere in luce i legami dell’artista con quel mare e quel mondo» (fortissimi ad esempio quelli con le antiche statue greche del periodo cicladico e con le tecniche della ceramica). Un progetto importante anche politicamente, anticipa Le Bon a «la Lettura»: «In un momento in cui l’Europa e il mondo intero sono in crisi, bisogna allargare i nostri sguardi oltre i confini, cercare elementi comuni nel nostro patrimonio artistico e culturale. A questo può servire una mostra come quella di Roma ma anche una mostra su Picasso messa in piedi in Libano o in Marocco».
Così a dare il via al progetto Picasso- Méditerranée saranno appunto due esposizioni Made in Italy: Picasso / Parade: la sirena Partenope a Napoli e il pittore cubista, Napoli 1971 , prevista per aprile 2017 alla Reggia di Capodimonte, a cui seguirà appunto l’esposizione alle Scuderie (a questa faranno da corredo una serie di eventi come concerti e la ri-messa in scena di Parade ).
Le Bon concorda con Berggruen («Non
ho mai conosciuto Picasso di persona, ma conservo la lettera di
congratulazioni che aveva inviato a mio padre quando sono nato») sul
controverso legame di Picasso con l’Italia: «Nella sua voglia di
un’arte che fosse al tempo stesso più moderna ma anche più
primitiva, Picasso si interessava però ancora più a tutti quei
mondi “ai margini della classicità”, preferendo all’Antica
Roma e al Rinascimento gli Etruschi, gli affreschi erotici di Pompei,
le maschere della Commedia dell’arte, la vita frenetica della via
Margutta del 1917 o quella dei vicoli di Napoli». Poi, una volta
tornato a Parigi, ormai ricco e famoso, Picasso avrebbe assicurato
con certezza «di preferire Roma alla Grecia».
Il Corriere della sera/La
lettura - 4 dicembre 2016
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