12 aprile 2014

F. STASSI: COME UN RESPIRO

Foto di Man Ray

Soledad, una voce che fa innamorare tutti

di Francesco Longo


Tutti quelli l’ascoltano si innamorano di lei. Ha il naso piccolo, il taglio degli occhi affilato e la bocca violenta. Secondo chi l’ha conosciuta: «avrebbe sempre amato con disperazione, con una disperazione luminosa e solitaria, da animale in fuga». In prima media, viene condannata al silenzio dal suo professore di musica e per tutta la vita non inciderà mai un disco. Si chiama Soledad ma tutti la chiamano Sole, canta, ed è l’impenetrabile protagonista del nuovo romanzo di Fabio Stassi, Come un respiro interrotto (Sellerio). È talmente difficile definire con precisione chi sia Sole, che Stassi ha escogitato un romanzo corale, in cui ogni persona che l’ha incontrata racconta di lei un episodio o una storia, elementi che insieme si affannano per restituire la complessità di questa seducente artista.
Parte della storia si svolge a Roma – in una Trastevere con serate di luce sabbiosa – e parte in una Sicilia arcana, spesso solo evocata, in cui «la luce feriva gli occhi e incendiava la carta stagnola del litorale». La prima volta che Lorenzo la incontra si rende conto di aver riconosciuto la voce per cui aveva sempre scritto le sue canzoni, così la coinvolge in una band che si esibisce in un locale romano e lei, a piedi nudi, esegue strazianti canzoni argentine. In Come un respiro si riconoscono tutte le atmosfere dei tre precedenti romanzi di Fabio Stassi. C’è la palpitante sensualità che innervava È finito il nostro carnevale, la decadente nostalgia di La rivincita di Capablanca (entrambi pubblicati da minimum fax) e la ricostruzione mitica di una identità, già sperimentata col ritratto dell’infaticabile Charlot morente di L’ultimo ballo si Charlot (Sellerio). Come tutta la narrativa di Stassi, anche qui il lettore sprofonda in un mondo letterario, epico, che gronda Sudamerica, fatto di odori («la salsedine mi bruciava il naso»), di forme («scelsi il contrabbasso perché richiedeva una grande forza fisica, e aveva i fianchi formosi di una donna»), di oggetti, e soprattutto di suoni e melodie: Sole «cantava delle note che prima di lei nessuno vedeva».
Cancellata la pronuncia siciliana, Sole vive gli anni Settanta a Roma, tra teatro d’avanguardia, indiani metropolitani e slogan dei cortei. L’aria si riempie di lacrimogeni e del fischio metallico dei proiettili. Anche Palermo è nel pieno di una lotta urbana ed è attraversata da un furore che cerca di materializzarsi in azioni politiche – una Palermo quindi simile a quella che narrò Giorgio Vasta ne Il tempo materiale.
Il romanzo procede a briglie sciolte, con una maturità stilistica che si manifesta, tra l’altro, nel virtuoso cambio continuo di narratori e punti di vista. Sullo sfondo, personaggi minori comprano biglietti di sola andata per São Paulo, si ritrovano dopo essersi persi, non dormono per troppa malinconia. Stassi descrive tutti attraverso le camminate – che siano storte o inebrianti – li fa parlare molto, e sottolinea i grandi silenzi, che spesso durano anni: «nel suo silenzio c’erano tutte le storie della nostra famiglia, tutte le parole e tutte le lingue che ci avevano abitati, tutte le terre che avevamo dovuto abbandonare, generazione dopo generazione».
Come un respiro racconta la battaglia tra voci suadenti e reticenze, tra i desideri dei singoli e la Storia, tra il talento artistico e l’impossibilità di imprigionarlo. Sotto i platani romani malati, nell’aria tiepida, Stassi ha fatto crescere un personaggio di inconsueta magia e inquietudine. Un personaggio intimamente romanzesco, pronto a dissolversi, con «un profilo che sembrava quello di una straniera scesa lì per caso e sempre sul punto di ripartire».

Fonte: Corriere della sera, 12 aprile 2014

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