Dal sito http://unaltrasestu.com/ mi piace prendere questa mattina questi interessanti documenti:
LINGUA, POLITICA E RELIGIONE
Il ritrovamento di un libretto nel
fondo Sardegna della Biblioteca regionale, contenente il testo di una
celebre cantada campidanesa svoltasi a Sestu nell’aprile di 84 anni fa,
in piena epoca fascista, ha offerto a Vittoriano Pili l’occasione per
scrivere una serie di interessanti e dotti articoli sull’argomento (Cun scannus e cadiras o banghittus, Il libretto ritrovato, Analisi del testo, 1° giro, Analisi del testo, 2 e 3° giro).
Seguendo il filo della memoria storica e personale ci ha spiegato la
complessa struttura dei componimenti, il repertorio di temi e motivi da
cui attingevano i cantadores, e quindi il valore letterario di una delle
più antiche espressioni della poesia popolare sarda,
erroneamente ritenuta rozza e priva di valenza poetica. Con il commento
al terzo giro poetico
e con la successiva rievocazione di un dialogo con il compianto poeta
sestese Tomaso Cara, si conclude il discorso sviluppato sul tema da
Vittoriano Pili. Su questo blog ve lo abbiamo presentato in capitoli
separati ma esso era stato pensato dal suo autore come un corpo di
scritti unitario intitolato “Cantadas a Sestu, lingua, politica e religione”.
3° GIRO POETICO: AMORI – SANTIDADI – GHERRA – PAXI.
Pasquale Loddo porge
all’attento popolo sestese un delicato canto d’amore. Lei si chiama
Speranza ed ha gli occhi e la grazia di un angelo mandato dal cielo per
far sospirare il suo cuore. Il poeta non è del tutto convincente, ma
piace questo mutetu a 8 peis, specie ai giovani che stanno
preparando la “domanda” per la loro “Speranza”. Nella Rima invita gli
altri poeti in gara ad ampliare il volo sui quattro punti cardinali.
Francesco Farci ricorda
invece la santità di Gregorio I detto anche Magno. Un Papa famoso per
aver edificato ben 7 conventi. Poiché il “dotto” Farci ci ricorda anche
l’anno della sua morte, il 604 (esatto), siamo disposti a credere anche
al resto, Preidi Sanna presente consentendo. Nella torrada de su mutetu a 8 peis l’andirivieni delle rondinelle è paragonato al volo dei pensieri dei poeti.
Efisio Loni interviene con un mutetu sèmpiri a 8 peis, ma con la sterrina che descrive abbastanza fedelmente una scena di guerra. Ricorda l’ultima battaglia contro s’Austriàcu che, sconfitto, è costretto ad arrendersi. Motivo ancora caro ai poeti ed al popolo (specie quello d’Eroi). Nella torrada,
invece, chiede a se stesso ed ai suoi compagni che cosa possano mai
fare, se non restare in attesa del ritorno delle colombe mandate in
volo.
Luigi Taccori, il poeta di Sestu emigrato a Dolianova, chiude il 3° giro, a sorpresa, con un mutetu a 10 peis
(ma ne ho trovato persino di 20), che riporta – udite, udite – una
notizia che da un anno a questa a parte suscita (ancora) un gran
clamore: il Concordato tra Stato (fascista) e Chiesa (cattolica) firmato
(l’11 Febbraio 1929) dal Ministro Mussolini (per il Re Vittorio
Emanuele III) e dal Cardinale Gasparri (per il Papa Pio XI). I due “non
si camorrano” e il fatto resti “memorando” per una pace duratura
(“infinita”). È una parola grossa. Comunque, sia pure con qualche
ritocchino di craxiana memoria, ancor dura. Nella torrada il nostro Taccori considera già un trionfo il ritorno delle colombe al punto di partenza. Concordiamo. Quasi.
***
POESIA E VERITÀ – IN COBERTANTZA
Venne a trovarmi Tomaso, una sera di tanti anni fa.
Sereno, come sempre. Pochi convenevoli, come s’usa tra vecchi amici.
Era d’estate. Si alzò e si sfilò dal colletto della maglia leggera,
frugando con la mano nel petto, una busta azzurrina che posò sul tavolo,
prima di sedersi: «Ti piace ancora la poesia? – apriva la busta –
Quella sarda, dico». Aveva sparso sul tavolo tre o quattro libretti
sgualciti ed un quaderno a righe (per la Va elementare) con
la copertina nera lucida. «Certo – risposi –, ma è un po’ che non viene a
trovarmi». Mi guardò severo: «Siamo noi che dobbiamo cercarla, se la
vogliamo incontrare. Vedi, in questi libretti ci sono dei versi di vari
uomini che amavano così tanto la poesia da volerla come professione.
Loro aspiravano ad essere poeti. C’è chi vende musica e chi vende
parole, chi vende erba e chi vende carne. In questo quaderno invece non
c’è scritto niente. Facciamo così, come loro, scegliamo un argomento, un
titolo, “un fine” ben accetto a noi due e lo cantiamo, cioè lo
scriviamo, prima tu o prima io, in un sonetto, sul quaderno. Lo conosci
il Padre nostro in Sardo? Ti va di metterlo in poesia?». L’idea mi piaceva: «Su Babbu nostu?
Benissimo, però inizia tu, Tomaso». Fu così che accettai la sfida,
chiedendogli: «E chi è che perde?». Allargò le mani grandi: «Perde chi
si ritira». Disse. E fu così che mi permise di sporcargli qualche pagina
di quel suo prezioso quaderno a righe. E vinse, anche. Quindi aprì un
libretto dalla copertina grigia con la scritta GARA POETICA, gemello,
credo, di questo appena “ritrovato” dalla più che attenta e gentile, abilla e donosa, Sandra Mereu. «Leggi Loddo al n. 21 (sesto giro) e spiegami questo mutetu». Conoscevo questa cantada,
famosa ed esemplare, benché grondante di “licenze” linguistiche,
ortografiche e tipografiche, ma sapevo che con Tomaso c’era sempre da
imparare sulla poesia sarda. Non era mai salito sul palco, ma era un cantadori di rispetto. Per me un maestro. Lessi:
21 – Loddo
A dirigibili e Areoplanu
Oi si viagiat in America
Po su Sud e de su Brasili
Si girat sa terra rotonda
Armau de paracaduttu
Comenti fiat Depinedu po fortuna
Girai Asia America e Oceania
E girai tottu su globu terresti
Continuamenti esplorendi
Senza à terra tenni addobu.
Rima
Su Crobu est ind’una sponda teverica
Picchiendi su Graniu bruttu a Vili Diocresianu.
Espressi quindi il mio parere su questo mutetu a dexi peis: «Per me Loni nella sterrina
ha voluto comporre un breve inno al progresso, che specialmente in
campo aeronautico effettivamente in quegli anni c’è stato. Era
l’orgoglio dell’Italia e del Fascismo. È nominato Depinedo, ma non si
può dimenticare Italo Balbo, audacissimo trasvolatore atlantico (nonché
volontario del ‘15-‘18, irredentista repubblicano, squadrista,
Quadrumviro Marcia su Roma, capo della MVSN nel ‘24, Ministro
Aeronautica ‘29-‘33, Crociera Roma-New York-Roma 1934, Maresciallo
dell’Aria e Governatore della Libia, più fascista di Mussolini ma
contrario alla politica filo-tedesca ed alle leggi razziali, morì per un
tragico errore della nostra contraerea sul cielo di Tobruch, nel 1940).
Nella Rima, o meglio Torrada, ritorna su fini,
argomento o tema proposto nella gara poetica. Il Corvo su una sponda del
Tevere becca l’orrido cranio del vile Diocleziano (l’imperatore
romano)». Tomaso ascolta, ma dissente: «Queste sono le parole, cantate e
scritte, in poesia, in figura e in rima. Io voglio sapere quello che
intende dire veramente il poeta, come si dice, fuor di metafora». Ho
capito. Tomaso vuole l’interpretazione del sogno, la verità implicita
nella profezia. Resto pensieroso. In Sardo molti usano la parola cobertantza come sinonimo di Torrada, cioè la Rima, la parte che chiude il mutetu dopo sa Sterrina. Se questa è la “stesura”, la cobertantza
è la “copertura” o “chiusura”. Significa però anche “metafora” e
“allegoria”, che sono la veste usuale del poetare sardo, come delle
sentenze e dei proverbi. Si dice in cobertantza per
“velatamente”. Tomaso mi viene incontro: «Tra gli appassionati delle
gare poetiche sta girando questa interpretazione: il Corvo (che ha fama e
fame di morte) si trova oltre Tevere, a Roma, dove becca
insistentemente il cranio orribile del vile imperatore Diocleziano del
tempo (1930), cioè Benito Mussolini. Si dice anche che Loddo, sceso dal
palco, sia stato convocato in caserma per spiegazioni. Tu che ne dici?».
Abbiamo discusso di molte cose, Tomaso ed io. Di religione e di
politica, di pace e di guerra, di povertà e di ricchezza, di vita e di
morte. Cercavamo la verità, assieme, senza inganni e senza paure. Ora mi
sentivo più tranquillo: «Sinceramente questa interpretazione mi pare
più un artificio di matrice politica tardiva di qualche decennio,
piuttosto che una cobertantza finalmente svelata. La sterrina
di Loddo, come tante altre di Taccori, di Loni e di Farci, si può
considerare almeno in buona sintonia con lo spirito del regime fascista,
se non anche di plauso. Che la Torrada o Rima uscisse in
contraddizione fuori dal seminato sarebbe strano. E, fatto più grave,
contro ogni regola della poesia sarda nelle “gare”, che perdesse di
vista il tema preposto, su fini, affidato dal comitato dei festeggiamenti proprio a Loddo. Fini
che riguardava la figura di san Giorgio Martire, come sarà rivelato al
pubblico da tutti i quattro poeti nell’ultimo giro. Che c’entra
Mussolini e a che proposito una tale cobertantza di carattere
politico su un palco di poesia popolare allestito per la festa del santo
patrono? L’interpretazione data non sta in piedi, come la convocazione
in caserma… O no?». Tomaso sorride : «La poesia è fatta di parole e di
pensieri che volano e a volte ti sfuggono, convieni?». Il ferro è caldo:
«Si, ma la verità c’è, anche nella poesia» e «Quale sarebbe?». Riprendo
il libretto e leggo: «Su Crobu … a vili Diocresianu.
Il carnivoro nero demoniaco affamato che ossessiona il crudele
imperatore romano per mettere a morte i tanti martiri cristiani, come il
nostro S. Giorgio». Tomaso consente: «Può sfuggire anche la verità,
alle volte». Parlammo ancora di poesia, con rima e senza rima. E
dissentimmo ancora: «Hai ragione tu», «No, hai ragione tu». Basciu e contra. È stato bello cantare insieme, Tomaso.
Vittoriano PiliE alla fine “is cantadoris” vennero portati in caserma…
Ho letto con vero interesse gli articoli a firma del dottor Vittoriano Pili, apparsi in questo blog, relativi al libretto che riproduce la famosa Cantada tenuta a Sestu il 23 aprile 1930,
in occasione della festa del santo Patrono san Giorgio Martire e
Cavaliere. Vittoriano Pili, nel trattare l’argomento, dimostra di
essere, oltreché profondo conoscitore e appassionato cultore della
materia, persona dotta perché possiede la capacità di porgere le sue
conoscenze con competenza e allo stesso tempo con semplicità e
immediatezza anche a chi, come me, ne è completamente digiuno. Cun scannus e cadiras o banghitus,
il primo articolo della serie, che ha evidentemente una funzione di
introduzione, è particolarmente suggestivo. Qui Vittoriano Pili riesce a
ricreare l’atmosfera che era propria e tipica di queste manifestazioni
paesane, in cui l’allegria e la felicità si potevano cogliere nei volti
di tutti i partecipanti, non foss’altro che per la straordinarietà e
novità degli avvenimenti che erano sul punto di accadere. Era una
giornata di festa e in quanto tale doveva presentarsi come diversa da
tutte le altre, vissute nel grigiore e nella noia della vita quotidiana.
Altro aspetto che si può cogliere
è dato dalla descrizione della partecipazione degli spettatori per
seguire e godere dei pezzi di bravura di questo o di quel poeta
estemporaneo, del quale già si conoscono le notevoli capacità per averne
in passato avuto modo di apprezzarne personalmente il valore, o perché
arrivava preceduto da una fama meritata. Ma ciò che emerge con vivezza
dall’articolo è soprattutto quel senso di ansia e l’impegno degli
organizzatori e di quanti in qualche modo si considerano “addetti ai
lavori”, che si affaticano e prodigano per far si che niente e nessuno
possano creare difficoltà od ostacoli, e perché la manifestazione abbia
il maggior successo possibile. Credo
che anche in quel famoso 23 aprile 1930 si respirasse un’atmosfera
identica, o quantomeno simile, a quella che viene dipinta come in
quadretto nel racconto di Vittoriano Pili. Molto interessanti appaiono
anche gli altri due articoli sulla Gara Poetica, nei quali l’autore si
dilunga in una serie di puntuali osservazioni e di pregevoli rilievi di
carattere linguistico-formali; ed espone in modo piano ed accessibile le
regole tecniche alle quali devono far riferimento quanti ambiscano a
salire nei palchi e cimentarsi in questa forma di poesia estemporanea.
Dopo aver letto questi articoli,
non ho potuto fare a meno di pormi una domanda. Questa gara poetica, mi
sono detto, tutto sommato non è né migliore né peggiore di tante altre.
E, allora, se questo giudizio è corretto, per quale motivo è rimasta
famosa? Vittoriano Pili non ha precisato; o forse non ha deliberatamente
voluto o ritenuto di precisare i motivi per cui essa è rimasta famosa.
Ma non mi sento neppure di escludere che si debba addebitare a me
l’incapacità di cogliere questi motivi. Mentre
facevo queste considerazioni tra me e me, dicevo, mi sono ricordato di
averne sentito accennare dall’amico dottor Gianni Mereu, persona
particolarmente versata in questa materia, oltreché ugualmente colta e
dotta. E, alla prima occasione in cui mi è capitato di rincontrarlo, gli
ho raccontato degli articoli di Vittoriano Pili e del loro contenuto.
Da persona gentile e disponibile quale è, Gianni Mereu è stato allora
prodigo di notizie e di informazioni. Concludendo la chiacchierata mi ha
riferito di aver illustrato i motivi che avevano reso famosa quella
Gara in un articolo scritto tempo addietro per il giornale Il Caffé Sestese, dove era stato puntualmente pubblicato col titolo “Sa Cantada de su 1930 po sa Festa de Santu Giorgi”.
E, facendo seguire alle parole immediatamente i fatti, mi ha dato in
prestito un esemplare del famoso libretto, perché potessi leggerlo con
tutto comodo, e una copia del suo scritto.
Nell’articolo pubblicato su Il Caffé sestese, Gianni
Mereu senza por tempo in mezzo, affronta l’argomento
utilizzando registri di natura politico-sociale. La gara poetica –
afferma – “esti passada a sa storia po su significau politicu de certas sterrinas e de medas rimas”.
Subito dopo fa una succinta ma precisa analisi circa la cattiva
considerazione che queste manifestazioni popolari avevano presso le
Autorità sia civili che religiose, attribuendone i motivi al contesto
politico-sociale: “seus in prena era fascista”. Una puntualizzazione,
quest’ultima, quanto mai opportuna e condivisibile. E’ infatti il caso
di ricordare che l’anno prima, cioè nel 1929 – appunto “in prena era fascista”
–, era stato firmato il “Concordato”, che lo Stato Italiano aveva
stipulato con la Santa Sede. Perciò, proprio in forza di questa
intervenuta riconciliazione fra i due poteri – quello civile e quello
religioso – era più che naturale che i medesimi, quando sollecitati da
motivi e da interessi diversi ma non confligenti, si presentassero uniti
a sanzionare comportamenti o atteggiamenti considerati non idonei.
Le gare poetiche dialettali – spiega Gianni Mereu nell’articolo –
erano avversate dalle autorità civili, che consentivano unicamente
l’uso della lingua italiana vietando quello delle lingue straniere. Gli
insegnanti, a cominciare da quelli delle scuole elementari, punivano
severamente i trasgressori. Io stesso, che pure sono nato quando il
regime fascista era caduto, ho fatto personale esperienza di questa
severità. Specularmente, le medesime autorità civili avversavano le
autonomie linguistiche – i dialetti – e il dialetto sardo non andava
esente da questa valutazione negativa. La Cantada, oltre ad
essere una gara poetica in lingua sarda, scontava il fatto di
essere giudicata aprioristicamente di scarso valore artistico: “is Autoridadis civilis – precisa Gianni Mereu – consideranta is cantadoris genti ignoranti, incolta, de basciu livellu artisticu”.
Un giudizio, quest’ultimo, evidentemente falso, dettato solo da
preconcetto, cattiveria e malanimo, come può verificare chiunque vuol
prendersi la briga di leggere le risultanze trascritte dagli affezionati
cultori del genere. Di riconosciuta bravura erano certamente is cantadoris
che presero parte alla gara poetica svoltasi a Sestu il 23/04/1930.
Alcuni di loro eseguirono anche un’altra celebre esibizione, svoltasi a
Monserrato qualche anno prima (1926), conosciuta appunto come “sa cantada de is dottus” (vedi foto).
Quanto poi alle Autorità religiose, esse non vedevano di buon occhio le gare poetiche – si legge ancora nell’articolo de Il Caffè sestese – perché “medas
sterrinas fadiant riferimentu a argumentus de sa Bibbia, de su Vangelu e
a is precettus e regulas de sa Cresia no sempiri in manera rigorosa”. Accadeva cioè che is cantadoris assai
di frequente si richiamavano a episodi biblici, sia del Vecchio che del
Nuovo Testamento, per comprovare e dar forza alle loro idee,
con interpretazioni non sempre conformi a quelle ordinariamente proposte
dalla gerarchia ecclesiastica. Se poi capitava che mettessero in
discussione gli insegnamenti e i precetti impartiti dai pulpiti, allora
venivano tacciati di falsità o accusati di riproporli alterati o in modo
non fedele.
A comprovare quanto detto sopra,
si potrebbero citare numerosi casi. Ma ritengo sia sufficiente quello,
che si può considerare emblematico, citato da Gianni Mereu, riguardante
la pubblicazione de Sa Mundana Cumedia
di Bore Poddighe. E’ noto che quando questa composizione poetica
apparve, nel 1924, scatenò un putiferio, creando non pochi fastidi al
suo autore che per ciò cadde in depressione e fini per suicidarsi. Sa Mundana Cumedia
contiene infatti una denuncia sociale, in generale dello sfruttamento
del lavoro, e in particolare dei poveri che prestavano la loro opera
nelle miniere del Sulcis-Iglesiante. Non mancavano in quest’opera anche
forti tratti anticlericali. Per queste ragioni il componimento e il suo
autore furono oggetto di aspre critiche ma anche di appassionata difesa.
Fra coloro che non risparmiarono strali si può ricordare Salvatorangelo
Vidili di Aidomaggiore, il quale accusò Poddighe di aver usato “toni
troppo aspri e diffamatori nei confronti della Chiesa (Critica a sa Mundana Cummedia). Tra i più sinceri difensori va invece senz’altro ricordato Pitane Morette (Difesa a sa Mundana Cumedia).
All’epoca della famosa Gara poetica di Sestu, accadde dunque qualcosa di simile a ciò che successe con la Mundana Commedia di Bore Poddighe. Spacciada sa cantada - prosegue Gianni Mereu -, is
applausus no teniant studa, ma su maresciallu invitat is cantadoris in
caserma po fai craresa a riguardu de certas sterrinas. Ita si siant naus
in caserma, nisciunus ddu scit cun siguresa. Si scit però ca
funti abarraus discutendi cun su maresciallu prus de tres oras; e candu
funti bessius de caserma, is cantadoris no potànta cara bella. E quindi conclude:
“Nanta ca is tres amigus, a Pasquali Loddu, ndi dd’hanti nau de donnia
colori; e dd’hanti puru minacciau de no arziai prus in palcu cun issu”. Il
che non è strano, considerando che le due manifestazioni artistiche si
collocano a breve distanza temporale l’una dall’altra e quindi risentono
dello stesso clima politico. Era quello un periodo di grande confusione
e particolare sconcerto fra i diversi ceti della popolazione nazionale.
Era dunque più che naturale che singoli avvenimenti ed espressioni
artistico-letterarie venissero variamente interpretati e valutati.
Pinotto MuraFonte: http://unaltrasestu.com/ aprile 2014
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