03 giugno 2014

MARC BLOCH TRA STORIA E POLITICA




Massimo Mastrogregori
Senza mai girare le spalle alla storia
A pro­po­sito di Marc Bloch molti hanno par­lato della sostan­ziale unità che leghe­rebbe i molti volti dello sto­rico Marc Bloch: il cit­ta­dino, il sol­dato, il resi­stente e anche le molte deno­mi­na­zioni con cui si firma in dif­fe­renti momenti della sua esistenza.
Par­tiamo dall’unità delle dif­fe­renti figure: Nar­bonne, Marc Fou­gè­res, Mau­rice Blan­chard, Marc Bloch (lo sto­rico, il sol­dato, il resi­stente). Que­sta unità è assi­cu­rata dai valori del patriot­ti­smo repub­bli­cano, dalla pre­senza di un forte legame alla sfera pub­blica, allo Stato, altret­tanto ai valori di una reli­gione quasi laica, che con­tano molto di più dei tratti carat­te­riali dell’individuo Marc Bloch (le testi­mo­nianze dicono che egli fosse una per­sona molto «egoi­sta» e ambi­ziosa).
In effetti basta pen­sare al testa­mento del 1915 («sono morto per una causa che amavo (…) voi mi avete inse­gnato a met­tere certe cose al di sopra della mia vita stessa» (Marc Bloch,Écrits de guerre, A. Colin, Parigi) o, trent’anni dopo, alle parole scritte il 27 feb­braio 1944, a Simonne Bloch, sua moglie, in una let­tera ancora ine­dita: «Gra­zie per l’impegno a darmi corag­gio. Deci­sa­mente i con­tatti umani spesso sono delu­denti, ma ci sono cose più grandi degli uomini, e negli uomini stessi cose che li superano».
Nel momento che si rive­lerà cru­ciale, Bloch esprime la sua delu­sione nei con­fronti dell’atteggiamento di qual­che per­sona; forse, ma non è detto, anche di com­pa­gni della lotta clan­de­stina. L’esperienza poli­tica di Bloch della Resi­stenza pro­ba­bil­mente è stata tutt’altro che sem­plice. Ma si legge anche in que­sta stessa let­tera la con­ferma in extre­mis (Bloch sarà arre­stato nove giorni dopo) di valori che tra­scen­dono la vita individuale.

Personalità multiforme
Con­si­de­rando que­sta ten­sione verso lo Stato il «fuoco cen­trale» della moti­va­zione di Bloch – ossia la dimen­sione pub­blica, il patriot­ti­smo repub­bli­cano –, è pos­si­bile deli­neare due per­corsi con l’ausilio delle testi­mo­nianze dispo­ni­bili. La prima con­duce dalla sfera pub­blica alla poli­tica e riguarda l’agire del cit­ta­dino patriota che par­te­cipa a due guerre, nel 1940 rifiuta la scon­fitta e con­ti­nua a com­bat­tere nella Resi­stenza.
La seconda va dalla sto­ria alla sfera pub­blica e copre l’azione dello sto­rico cri­tico e inno­va­tore della disci­plina. Que­sti due distinti ordini di azioni si ori­gi­nano dun­que da un mede­simo cen­tro, ma pren­dono due dire­zioni net­ta­mente diver­genti: Nar­bonne che decritta un mes­sag­gio cifrato a Lione non svolge la stessa atti­vità di Marc Fou­gè­res che redige una scheda per i Mélan­ges d’histoire sociale, anche se Marc Bloch soster­rebbe, in linea teo­rica, che la fina­lità di que­ste due azioni è, al fondo, iden­tica: in un modo o nell’altro, le dire­zioni diver­genti, con­ver­ge­reb­bero verso il cen­tro, verso la sfera pubblica.
Una prima tra­iet­to­ria con­duce così dallo Stato alla poli­tica. Ricor­diamo di primo acchito che Bloch non pra­tica, se non alla fine, la poli­tica come una lotta par­ti­giana, o come una lotta di capi per la con­qui­sta e l’esercizio del potere. Poli­tica è il titolo che egli dà a una nota del suo qua­derno Mea (1940–1943), dove cita gli Essays in Per­sua­sion di Key­nes lad­dove l’economista inglese scrive: «Gli uomini di stato moderni hanno per metodo di dire tante scioc­chezze, quante ne reclama il pub­blico e di non farne di più, di quel che esige ciò che si è detto» (Marc Bloch,Car­nets 1917–1943). Dire e fare scioc­chezze: insomma Bloch ese­crava, per­fino temeva e disprez­zava, le lotte per il potere, i par­titi e i capi – che essi agi­scano in regimi par­la­men­tari o nelle «reli­gioni poli­ti­che» rite­nute tota­li­ta­rie (non scrive forse nel 1934 che il comu­ni­smo e il nazi­smo sono chia­ra­mente delle reli­gioni? Marc Bloch – Lucien Feb­vre, Cor­re­spon­dance, Fayard).
Il suo senso pro­fe­tico era suf­fi­cien­te­mente raf­fi­nato per distin­guere dove avreb­bero por­tato le scioc­chezze di diversi attori poli­tici incolti — occorre richia­mare ciò che Bloch e Feb­vre hanno scritto su Blum, Dala­dier, Neville Cham­ber­lain, Hitler e Mus­so­lini? Egli aveva, d’altra parte, una certa stima per Chur­chill, così come testi­mo­nia una nota del dia­rio di Léon Werth (Léon Werth, Dépo­si­tion. Jour­nal 1940–1944). Del resto, il sen­ti­mento pre­va­lente, soprat­tutto negli anni Trenta, è stata la fru­stra­zione di non avere alcuna influenza sugli avvenimenti.

L’azione del combattente
Con l’inizio delle osti­lità (ago­sto 1939), il cit­ta­dino Bloch può final­mente entrare in azione, ma egli è imme­dia­ta­mente assa­lito dai dubbi per quella deci­sione. Dopo la scon­fitta, egli si con­vince pro­gres­si­va­mente che la Fran­cia è stata vit­tima di una «vasta impresa di tra­di­mento», insomma di un com­plotto che ha favo­rito il crollo mili­tare e il «colpo di Stato». Il suo impe­gno leale di cit­ta­dino comin­cia a subire una tra­sfor­ma­zione pro­fonda e inte­res­sante, che si compie dopo l’11 novem­bre 1942, con l’invasione tede­sca del ter­ri­to­rio di Vichy.
Egli riven­dica la sua appar­te­nenza a una nazione che, in realtà, è fram­men­tata in nume­rose unità. Con­serva in sé il ricordo vivo di una Fran­cia ideale che non esi­ste più. Segre­ta­mente egli lascia la sua testi­mo­nianza a un tri­bu­nale a futura memo­ria. È il Témoi­gnage de 1940 che egli nasconde nel suo archi­vio, e che diverrà il libro postumo sulla «strana disfatta». Messo ai mar­gini della comu­nità nazio­nale in con­se­guenza dello Sta­tuto discri­mi­na­tivo nei con­fronti degli ebrei, Bloch con­ti­nua ad agire come cit­ta­dino rifiu­tando la smo­bi­li­ta­zione ed entrando nella Resi­stenza, per riscat­tare l’onore per­duto e scon­fig­gere i tra­di­tori.
Le cose che lo cir­con­dano cam­biano e, neces­sa­ria­mente, tra­sfor­mano la sua azione civica in azione poli­tica. Di fatto, al di là della sua lotta per libe­rare la Fran­cia, Bloch si ritrova a lot­tare la con­qui­sta del potere dopo la Libe­ra­zione. L’azione del cit­ta­dino si con­fonde, in alcuni momenti, con quella, abor­rita, dell’uomo poli­tico – ciò che costi­tui­sce una novità rispetto al periodo che si chiude con la scon­fitta del 1940. In ogni caso l’azione del poli­tico non sosti­tui­sce inte­gral­mente quella del cittadino-soldato: Bloch, gene­rale che com­batte, muore col nome di Blan­chard, il gene­rale che si era rifiu­tato di com­bat­tere nella scon­fitta delle Fiandre.
La seconda con­nes­sione, cer­ta­mente più inda­gata, lega i valori della dimen­sione pub­blica, del patriot­ti­smo repub­bli­cano, alla sto­ria scien­ti­fica. Anche se nell’Apo­lo­gia della sto­ria si defi­ni­sce un arti­giano, il suo obiet­tivo, a par­tire dal qua­derno del 1906, è quello di costruire una sto­ria scien­ti­fica. Lasciamo da parte i signi­fi­cati vari e flut­tuanti della parola scienza. Ma è da que­sta altezza che la sto­ria, come disci­plina scien­ti­fica, può, a giu­di­zio di Marc Bloch, pene­trare util­mente nella società attra­verso l’insegnamento a ogni livello (di cose e non di parole), l’organizzazione della ricerca e dei suoi stru­menti, attra­verso anche la rivi­sta che dirige insieme a Lucien Feb­vre – ma pen­sata in un primo momento con Henri Pirenne, in una dimen­sione di col­la­bo­ra­zione inter­na­zio­nale – attra­verso, infine, la «società» di amici di Pirenne, sorta di embrione delle isti­tu­zioni di ricerca nate dopo la seconda guerra mon­diale e legate alle Anna­les.
Il pre­sti­gio di una disciplina
Il ragio­na­mento com­ples­sivo dell’Apo­lo­gia sull’utilità e sul diritto a esi­stere della sto­ria, sulla neces­sità per la cor­po­ra­zione degli sto­rici di ren­dere conto pub­bli­ca­mente delle loro ricer­che, l’insieme dei discorsi sull’esame di coscienza, – che lega con un filo invi­si­bile il Témoi­gnage sulla scon­fitta del 1940 all’Apo­lo­gia – suona alla fine come una domanda reto­rica: Bloch è per­suaso che sia impos­si­bile fare a meno della sto­ria. Certo, egli ammette – per prin­ci­pio o per il pia­cere della pro­vo­ca­zione intel­let­tuale – che la civiltà occi­den­tale possa cam­biare e «vol­gere le spalle alla sto­ria». Ma se, nel bel mezzo del ven­te­simo secolo anti­sto­rico (l’anti­sto­ri­ci­smo del Croce del 1930), egli esprime, con­tro­cor­rente, que­sta fidu­cia incrol­la­bile è per­ché, forte della sua espe­rienza, egli è con­sa­pe­vole che la sto­ria può essere una pra­tica deci­siva, degna di rico­no­sci­mento sociale. Di pre­sti­gio col­let­tivo. E per­ché ha con­sta­tato che la sto­ria potrebbe susci­tare entu­sia­smo e che costi­tui­sce un pila­stro senza il quale non si creano legami sociali.
il manifesto - 3 Giugno 2014

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