In mostra a Napoli
un’«altra storia» della città, tra rivoluzionari, nobili,
briganti, ballerine e popolane: soggetti fotografati tra il 1860 e il
1930 da oggi esposti alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III.
Giuseppe Galzerano
Napoli, l’album
mai visto
Ritratti
di rivoluzionari e marchesi, briganti
e signori, ballerine e donne del popolo sono
alcuni dei soggetti fotografati tra il 1860 e il
1930 che fanno parte della straordinaria e ricca
mostra che si inaugura oggi alla Biblioteca Nazionale
Vittorio Emanuele III di Napoli, diretta da Mauro
Giancaspro che evoca ritratti e profumi di
un’epoca.
Settant’anni di
fotografia e ben diecimila ritratti
testimoniano il tempo che fu con i costumi e i
volti di una grande città. Facce e personaggi d’altri
tempi, a cominciare dai primi anni dell’unità d’Italia
fino agli anni del fascismo trionfante. Facce mai viste
e inedite, in posa, studiata e attenta, per
comunicare — attraverso la fisiognomia del
personaggio — sentimenti, emozioni,
situazioni. I ritratti, impressi prima su lastra e poi
stampati su carta, parlano ancora oggi.
Allora la foto non era
cosa facile, bisognava sottoporsi a un rito e si
andava dai fotografi dopo averlo pensato giorni e giorni
e il fotografo eseguiva un’operazione tecnica
e artistica che richiedeva sensibilità,
intuito, psicologia, esperienza, familiarità
con la luce del sole, insieme ad altri importanti elementi
come l’occhio e la mano del fotografo, l’abbigliamento
giusto, la pettinatura delle donne, lo sguardo
comunicativo. Tutto diverso da oggi che, col
cellulare e il tablet, sono tutti fotografi
e spesso le foto sono senza espressione e senza
grazia artistica.
La mostra sul ritratto
utilizza materiale del Fondo del marchese Luigi
Piccirilli (1889–1935), custodito alla sezione
napoletana della Biblioteca Nazionale
e dell’Archivio (recentemente rilevato con
grande coraggio da Stefano Fittipaldi) Giulio
Parisio, un famoso fotografo napoletano attivo
dal 1919 che non si occupò di cronaca ma di ritrattistica
e paesaggistica e fu fotografo di re
e regine, e prima di premere lo scatto si
intratteneva con i clienti, parlando a lungo
per creare l’atmosfera adatta e mettere le persone
a proprio agio per evitare pose innaturali.
A distanza di tanti
anni quelle foto non hanno perso nulla del loro fascino e sono
documenti umani, storici, culturali e politici
di notevole interesse in quanto offrono varie letture
e uno spaccato della società napoletana
a cavallo tra l’Ottocento e i primi decenni del
Novecento. L’interessante e vivace galleria
è uno specchio di donne e uomini di ogni
condizione che si sono presentati davanti agli
obiettivi dei fotografi napoletani per avere
e per lasciare un’immagine di se stessi, da inviare ai
parenti lontani, alla fidanzata o al fidanzato.
Tra quei volti anonimi
ci sono certamente molti emigranti che nei giorni
precedenti l’imbarco per le Americhe
passarono per quei studi fotografici, molti
vicino al porto, per una delle ultime testimonianze
italiane sul filo della memoria e della nostalgia
per un paese che si abbandonava.
Nella sua vita il
marchese Luigi Piccirilli, ispettore onorario
della Sovrintendenza Bibliografica di Napoli
e appassionato bibliofilo — racconta Rosa
Rossi, curatrice della mostra e intelligente
responsabile della sezione napoletana della
Biblioteca Nazionale — ha collezionato
circa cinquemila foto e alla sua morte, avvenuta
nel 1935, gli eredi proposero l’acquisto al Ministero
dell’Educazione Nazionale, che l’acquistò per
trentancinquemilalire (il ministero
sborsò venticinquemilalire e il
Banco di Napoli le restanti diecimila lire).
Da allora è la
prima volta che i ritratti vengono tirati fuori dai
faldoni e dagli album e il materiale è messo
a disposizione del pubblico. La raccolta
comprende fondi avuti in dono o acquistati presso gli
studi fotografici della città ma spesso anche di altre
città e all’estero come Roma, Firenze, Milano, Parigi,
Berlino, New York, Mosca, Pietroburgo,
Costantinopoli.
Proprio da uno
studio fotografico di Mosca proviene un inedito
ritratto molto intenso dello scrittore Maxim Gorky. Tra
i ritratti eseguiti negli studi fotografici
napoletani sono da segnalare quelli dello scrittore
Emile Zola, del musicista Giacomo Puccini,
dell’on. Giustino Fortunato, di 29 briganti
e brigantesse, di un giovane Enrico De Nicola,
futuro primo Presidente della Repubblica Italiana,
della bellissima scrittrice Amelia Rosselli
Pincherle con un libro tra le mani, dell’attrice Eleonora
Duse.
Molti esemplari
riportano a piè di foto e sul retro la
riproduzione del marchio, la dedica autografa al
destinatario anche se spesso è per il marchese
Piccirilli che ha richiesto la foto. Tra i tanti
album di diverso formato, con copertine in pelle o stoffa,
c’è da segnalare quello che custodisce
un’insolita, intrigante, curiosa e affascinante
raccolta di ritratti di Donne celebri, come recita il
titolo datogli dal marchese. Ne fanno parte attrici,
cantanti, ballerine e anche turiste
italiane e straniere, che visitavano la
città partenopea e poi passavano dal
fotografo per cogliere e immortalare la propria
immagine.
Invece Assunta Torres,
anche lei attenta studiosa della sezione napoletana,
ci guida tra gli studi fotografici che, dopo la scoperta
della fotografia nel 1839, si diffusero
a Napoli, dove la fotografia suscita un grande
interesse e molto stupore nel mondo scientifico.
I primi studi fotografici sorgono tra il 1855
e il 1859.
Nei loro ateliers
i fotografi accoglievano la clientela e poi
si passava al rituale della posa. L’esecuzione della
fotografia è un momento magico e pieno di
fascino. I primi ateliers fotografici sono di
artisti stranieri, come i francesi Bernoud,
Chauffourier, Grillet e i tedeschi Sommer,
Rive, Conrad.
Sembra che il primo
studio fotografico napoletano sia di
Alphonse Bernoud, che lo aprì in Via del Boschetto della Villa
Reale e poi al n. 256 di Via Toledo. La Torres ce lo
descrive come abile ritrattista, fotografo ufficiale
della corte e della marina militare. In occasione del
terremoto del 1857 fu sul campo e realizzò
un’importante campagna fotografica in
Basilicata. I fatti del 1860, la fuga del re da
Napoli, lo portarono a bordo delle navi inglesi
e francesi stanziate nel porto di Napoli. La sua
ultima foto è del 1872 e riprende l’eruzione del
Vesuvio.
Anche Gustavo Eugenio
Chauffourier veniva da Parigi e prima di arrivare
nel 1870 a Napoli aveva aperto la Photographie
parisienne a Palermo. Invece il tedesco Giorgio
Sommer arriva dalla Svizzera: nel 1861 segue lo scontro
di Gaeta e poi, per incarico del governo, documenta
la repressione del brigantaggio.
Agli stranieri
seguono gli italiani e nell’Annuario Industriale,
pubblicato nel 1865, vengono registrati ben
quattordici studi fotografici, tra stranieri
e non, operanti a Napoli. Tra i fotografi
italiani la Torres ricorda Achille Maiuri, che si
trasferì a Napoli da Foggia e, dotato di grande
senso degli affari, rilevò lo studio fotografico del
francese Bernoud con tutto l’archivio fotografico.
Ricorda anche Francesco Pesce e i figli Ettore
e Alfredo. Francesco ebbe anche premi
internazionali, ma per la sua partecipazione
come volontario in Lombardia, fu carcerato
e punito con l’esilio dal regime borbonico. Nel
1862 il ritrattista Carlo Fratacci all’esposizione
di Londra ricevette una medaglia d’oro.
Giuseppe Luzzati
della Fotografia Pompeiana avvia l’attività nel
1864 e il suo è il solo stabilimento
fotografico che esegue «ritratti di notte colla
lampada a luce magnesio e ritratti di grandezza
naturale anche a tutta figura», come leggiamo in una
pubblicità del Giornale di Napoli del 17 marzo 1865.
Inoltre ha una macchina triscopica colla quale
può eseguire «tre differenti ritratti della
medesima persona, in una sola posa, contenuti in
un biglietto da visita». A Napoli dal 1864 è attivo
anche uno studio dei fratelli fiorentini
Alinari.
Questa è un’altra
storia di Napoli, che da oggi (l’inaugurazione è alle
16,30) al 18 giugno si può conoscere e ammirare
alla Sala delle Esposizioni della Biblioteca
Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli.
Il manifesto – 3 giugno
2014
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