03 giugno 2014

VEDI NAPOLI E POI MUORI...



In mostra a Napoli un’«altra storia» della città, tra rivoluzionari, nobili, briganti, ballerine e popolane: soggetti fotografati tra il 1860 e il 1930 da oggi esposti alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III.

Giuseppe Galzerano

Napoli, l’album mai visto

Ritratti di rivo­lu­zio­nari e mar­chesi, bri­ganti e signori, bal­le­rine e donne del popolo sono alcuni dei sog­getti foto­gra­fati tra il 1860 e il 1930 che fanno parte della straor­di­na­ria e ricca mostra che si inau­gura oggi alla Biblio­teca Nazio­nale Vit­to­rio Ema­nuele III di Napoli, diretta da Mauro Gian­ca­spro che evoca ritratti e pro­fumi di un’epoca.

Settant’anni di foto­gra­fia e ben die­ci­mila ritratti testi­mo­niano il tempo che fu con i costumi e i volti di una grande città. Facce e per­so­naggi d’altri tempi, a comin­ciare dai primi anni dell’unità d’Italia fino agli anni del fasci­smo trion­fante. Facce mai viste e ine­dite, in posa, stu­diata e attenta, per comu­ni­care — attra­verso la fisio­gno­mia del per­so­nag­gio — sen­ti­menti, emo­zioni, situa­zioni. I ritratti, impressi prima su lastra e poi stam­pati su carta, par­lano ancora oggi.

Allora la foto non era cosa facile, biso­gnava sot­to­porsi a un rito e si andava dai foto­grafi dopo averlo pen­sato giorni e giorni e il foto­grafo ese­guiva un’operazione tec­nica e arti­stica che richie­deva sen­si­bi­lità, intuito, psi­co­lo­gia, espe­rienza, fami­lia­rità con la luce del sole, insieme ad altri impor­tanti ele­menti come l’occhio e la mano del foto­grafo, l’abbigliamento giu­sto, la pet­ti­na­tura delle donne, lo sguardo comu­ni­ca­tivo. Tutto diverso da oggi che, col cel­lu­lare e il tablet, sono tutti foto­grafi e spesso le foto sono senza espres­sione e senza gra­zia artistica.

La mostra sul ritratto uti­lizza mate­riale del Fondo del mar­chese Luigi Pic­ci­rilli (1889–1935), custo­dito alla sezione napo­le­tana della Biblio­teca Nazio­nale e dell’Archivio (recen­te­mente rile­vato con grande corag­gio da Ste­fano Fit­ti­paldi) Giu­lio Pari­sio, un famoso foto­grafo napo­le­tano attivo dal 1919 che non si occupò di cro­naca ma di ritrat­ti­stica e pae­sag­gi­stica e fu foto­grafo di re e regine, e prima di pre­mere lo scatto si intrat­te­neva con i clienti, par­lando a lungo per creare l’atmosfera adatta e met­tere le per­sone a pro­prio agio per evi­tare pose inna­tu­rali.

A distanza di tanti anni quelle foto non hanno perso nulla del loro fascino e sono docu­menti umani, sto­rici, cul­tu­rali e poli­tici di note­vole inte­resse in quanto offrono varie let­ture e uno spac­cato della società napo­le­tana a cavallo tra l’Ottocento e i primi decenni del Nove­cento. L’interessante e vivace gal­le­ria è uno spec­chio di donne e uomini di ogni con­di­zione che si sono pre­sen­tati davanti agli obiet­tivi dei foto­grafi napo­le­tani per avere e per lasciare un’immagine di se stessi, da inviare ai parenti lon­tani, alla fidan­zata o al fidan­zato.

Tra quei volti ano­nimi ci sono cer­ta­mente molti emi­granti che nei giorni pre­ce­denti l’imbarco per le Ame­ri­che pas­sa­rono per quei studi foto­gra­fici, molti vicino al porto, per una delle ultime testi­mo­nianze ita­liane sul filo della memo­ria e della nostal­gia per un paese che si abbandonava.

Nella sua vita il mar­chese Luigi Pic­ci­rilli, ispet­tore ono­ra­rio della Sovrin­ten­denza Biblio­gra­fica di Napoli e appas­sio­nato biblio­filo — rac­conta Rosa Rossi, cura­trice della mostra e intel­li­gente respon­sa­bile della sezione napo­le­tana della Biblio­teca Nazio­nale — ha col­le­zio­nato circa cin­que­mila foto e alla sua morte, avve­nuta nel 1935, gli eredi pro­po­sero l’acquisto al Mini­stero dell’Educazione Nazio­nale, che l’acquistò per tren­tan­cin­que­mi­la­lire (il mini­stero sborsò ven­ti­cin­que­mi­la­lire e il Banco di Napoli le restanti die­ci­mila lire).

Da allora è la prima volta che i ritratti ven­gono tirati fuori dai fal­doni e dagli album e il mate­riale è messo a dispo­si­zione del pub­blico. La rac­colta com­prende fondi avuti in dono o acqui­stati presso gli studi foto­gra­fici della città ma spesso anche di altre città e all’estero come Roma, Firenze, Milano, Parigi, Ber­lino, New York, Mosca, Pie­tro­burgo, Costan­ti­no­poli.

Pro­prio da uno stu­dio foto­gra­fico di Mosca pro­viene un ine­dito ritratto molto intenso dello scrit­tore Maxim Gorky. Tra i ritratti ese­guiti negli studi foto­gra­fici napo­le­tani sono da segna­lare quelli dello scrit­tore Emile Zola, del musi­ci­sta Gia­como Puc­cini, dell’on. Giu­stino For­tu­nato, di 29 bri­ganti e bri­gan­tesse, di un gio­vane Enrico De Nicola, futuro primo Pre­si­dente della Repub­blica Ita­liana, della bel­lis­sima scrit­trice Ame­lia Ros­selli Pin­cherle con un libro tra le mani, dell’attrice Eleo­nora Duse.

Molti esem­plari ripor­tano a piè di foto e sul retro la ripro­du­zione del mar­chio, la dedica auto­grafa al desti­na­ta­rio anche se spesso è per il mar­chese Pic­ci­rilli che ha richie­sto la foto. Tra i tanti album di diverso for­mato, con coper­tine in pelle o stoffa, c’è da segna­lare quello che custo­di­sce un’insolita, intri­gante, curiosa e affa­sci­nante rac­colta di ritratti di Donne cele­bri, come recita il titolo dato­gli dal mar­chese. Ne fanno parte attrici, can­tanti, bal­le­rine e anche turi­ste ita­liane e stra­niere, che visi­ta­vano la città par­te­no­pea e poi pas­sa­vano dal foto­grafo per cogliere e immor­ta­lare la pro­pria immagine.

Invece Assunta Tor­res, anche lei attenta stu­diosa della sezione napo­le­tana, ci guida tra gli studi foto­gra­fici che, dopo la sco­perta della foto­gra­fia nel 1839, si dif­fu­sero a Napoli, dove la foto­gra­fia suscita un grande inte­resse e molto stu­pore nel mondo scien­ti­fico. I primi studi foto­gra­fici sor­gono tra il 1855 e il 1859.

Nei loro ate­liers i foto­grafi acco­glie­vano la clien­tela e poi si pas­sava al rituale della posa. L’esecuzione della foto­gra­fia è un momento magico e pieno di fascino. I primi ate­liers foto­gra­fici sono di arti­sti stra­nieri, come i fran­cesi Ber­noud, Chauf­fou­rier, Gril­let e i tede­schi Som­mer, Rive, Con­rad.

Sem­bra che il primo stu­dio foto­gra­fico napo­le­tano sia di Alphonse Ber­noud, che lo aprì in Via del Boschetto della Villa Reale e poi al n. 256 di Via Toledo. La Tor­res ce lo descrive come abile ritrat­ti­sta, foto­grafo uffi­ciale della corte e della marina mili­tare. In occa­sione del ter­re­moto del 1857 fu sul campo e rea­lizzò un’importante cam­pa­gna foto­gra­fica in Basi­li­cata. I fatti del 1860, la fuga del re da Napoli, lo por­ta­rono a bordo delle navi inglesi e fran­cesi stan­ziate nel porto di Napoli. La sua ultima foto è del 1872 e riprende l’eruzione del Vesu­vio.

Anche Gustavo Euge­nio Chauf­fou­rier veniva da Parigi e prima di arri­vare nel 1870 a Napoli aveva aperto la Pho­to­gra­phie pari­sienne a Palermo. Invece il tede­sco Gior­gio Som­mer arriva dalla Sviz­zera: nel 1861 segue lo scon­tro di Gaeta e poi, per inca­rico del governo, docu­menta la repres­sione del bri­gan­tag­gio.

Agli stra­nieri seguono gli ita­liani e nell’Annua­rio Indu­striale, pub­bli­cato nel 1865, ven­gono regi­strati ben quat­tor­dici studi foto­gra­fici, tra stra­nieri e non, ope­ranti a Napoli. Tra i foto­grafi ita­liani la Tor­res ricorda Achille Maiuri, che si tra­sferì a Napoli da Fog­gia e, dotato di grande senso degli affari, rilevò lo stu­dio foto­gra­fico del fran­cese Ber­noud con tutto l’archivio foto­gra­fico. Ricorda anche Fran­ce­sco Pesce e i figli Ettore e Alfredo. Fran­ce­sco ebbe anche premi inter­na­zio­nali, ma per la sua par­te­ci­pa­zione come volon­ta­rio in Lom­bar­dia, fu car­ce­rato e punito con l’esilio dal regime bor­bo­nico. Nel 1862 il ritrat­ti­sta Carlo Fra­tacci all’esposizione di Lon­dra rice­vette una meda­glia d’oro.

Giu­seppe Luz­zati della Foto­gra­fia Pom­peiana avvia l’attività nel 1864 e il suo è il solo sta­bi­li­mento foto­gra­fico che ese­gue «ritratti di notte colla lam­pada a luce magne­sio e ritratti di gran­dezza natu­rale anche a tutta figura», come leg­giamo in una pub­bli­cità del Gior­nale di Napoli del 17 marzo 1865. Inol­tre ha una mac­china tri­sco­pica colla quale può ese­guire «tre dif­fe­renti ritratti della mede­sima per­sona, in una sola posa, con­te­nuti in un biglietto da visita». A Napoli dal 1864 è attivo anche uno stu­dio dei fra­telli fio­ren­tini Alinari.

Que­sta è un’altra sto­ria di Napoli, che da oggi (l’inaugurazione è alle 16,30) al 18 giu­gno si può cono­scere e ammi­rare alla Sala delle Espo­si­zioni della Biblio­teca Nazio­nale Vit­to­rio Ema­nuele III di Napoli.


Il manifesto – 3 giugno 2014

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