05 giugno 2014

VENEZIA MOSTRA COSA E' L'ITALIA D'OGGI


Pubblichiamo un intervento di Tomaso Montanari apparso sul Fatto quotidiano. Vi segnaliamo che oggi Montanari è a Napoli, ospite di La Repubblica delle Idee per un incontro con Gustavo Zagrebelsky dal titolo Cultura vuol dire esercizio della democrazia. (Fonte immagine)

Venezia, storia di un suicidio


Massimo Cacciari – tra i cui non molti meriti di sindaco di Venezia c’è quello di essersi sempre opposto al Mose – ha detto che le radici della corruzione vanno cercate nell’urgenza. Vero, ma il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero lentissimi. Perché è un progetto sbagliato in sé: frutto di quella vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi.
Per mille anni la Repubblica Serenissima ha vegliato sul delicato equilibrio della Laguna, che è la particolarissima ‘campagna’ che circonda Venezia. In natura, una laguna ha una vita limitata nel tempo: o vincono i fiumi che portano materiali solidi verso il mare, e la laguna si trasforma in palude e piano piano si interra, oppure vincono le correnti marine, che tendono a renderla un golfo o una baia. I veneziani capirono subito che tenere in vita la laguna salmastra voleva dire assicurarsi uno scudo naturale sia verso la terra che verso il mare. Non mancarono le discussioni: celeberrima quella cinquecentesca tra Alvise Cornaro, che avrebbe voluto bonificare la Laguna, e Cristoforo Sabbadino, che ne difese vittoriosamente la manutenzione continua. Così la storia di Venezia – ha scritto Piero Bevilacqua – è stata «la storia di un successo nel governo dell’ambiente».
Una storia che, con l’avvento dell’Italia unita si è, però, interrotta, ed è definitivamente collassata negli ultimi quarant’anni di malgoverno veneziano. Per fare entrare le Grandi Navi (turistiche, industriali e commerciali) si sono dragati e approfonditi i canali d’accesso in Laguna, e contemporaneamente se ne è abbandonata la secolare manutenzione. Il risultato è stato un abnorme aumento dell’acqua alta, culminato nella vera e propria alluvione del 1966. Fu proprio quell’enorme choc che mise Venezia di fronte all’alternativa: o riprendere il governo della Laguna e mantenere l’equilibrio, o essere mangiata dall’Adriatico.
Fu allora che emerse la terza via: il Mose, che permise di eludere la scelta tra responsabilità e consumo. L’idea era di continuare indefinitamente a violentare la Laguna e poi rimediare meccanicamente, con una gigantesca valvola che chiudesse le porte al mare. È come se un paziente ad altissimo rischio di infarto venisse persuaso dai medici a non sottoporsi ad alcuna dieta né ad alcun esercizio fisico, e a scommettere invece tutto su una costosissima e complicata operazione di angioplastica. Non verrebbe da pensare solo che i medici sono incompetenti: ma anche che hanno qualche interesse occulto nell’operazione. E se poi quei medici finissero in galera, chi potrebbe stupirsi?
Follemente, la scelta della terapia è stata affidata direttamente ai chirurghi. Fuor di metafora: la salvezza di Venezia e del suo territorio è stata affidata ad un consorzio di imprese private (il Consorzio Venezia Nuova) interessate a realizzare il costosissimo meccanismo di riparazione del danno, il Mose appunto. E tutto è stato asservito a questo ente: anche il controllo del Magistrato delle Acque, che si è trovato a ratificare (invece che a sorvegliare) scelte operate in base all’interesse privato.
Sarebbe difficile spiegare un simile suicidio se non vedessimo che Venezia si distrugge ogni giorno in mille altri modi, prostituendosi, fino alla morte, ad un turismo cannibale. Ma mentre gli abitanti continuano a scendere (sono ora 59.000: un terzo della popolazione del 1950, la metà di quella del 1510) e le Grandi Navi sembrano inarrestabili, c’è ancora chi resiste, tra mille difficoltà.
Esemplare il caso di Italia Nostra, cui appartiene la voce più ferma e coraggiosa contro la morte di Venezia, una voce che un anno fa aveva documentato pubblicamente proprio la corruzione del Mose: ebbene, la soprintendente architettonica veneziana Renata Codello ha querelato l’associazione, che le rimproverava pubblicamente la difesa delle Grandi Navi, e l’autorizzazione allo scempio (futuro) del Fondaco dei Tedeschi e al raddoppio (in corso) dell’Hotel Santa Chiara sul Canal Grande (quello dove, secondo i pm, la segretaria di Giancarlo Galan avrebbe ricevuto le mazzette!). E che avvocato ha scelto la Codello? Ma quello del Consorzio Nuova Venezia, che controlla il Mose. Pulire la Laguna, insomma, sarà un’impresa lunga.
Tomaso Montanari

da   http://www.minimaetmoralia.it/wp/venezia-mose/

1 commento:

  1. Ha scritto ieri un mio caro amico:
    "Oggi mi sono guardato allo specchio: avevo i capelli dritti in testa (no, non ero stato dal barbiere del ghetto). Ero assalito da un pensiero (capita di rado): non ero stupito (non più di tanto) dagli arresti legati al sistema di corruzione che ruotava attorno alla 'grande opera' chiamata Mose ma da un pensiero che quando si limita ad un'analisi è (a volte) sorgente di amarezza ma quando quel pensiero ti ottenebra (fino a stordirti come una vertigine) è perché hai maturato una consapevolezza ineluttabile: quello che Sciascia pensava della Sicilia, e cioè che fosse irredimibile, è vero per l'Italia tutta.
    Il tempo trascorso da quando Sciascia espresse quel pensiero, sino ai giorni nostri, ha segnato, con una cruda evidenza, un peggioramento esteso in longitudine e latitudine (non intendendo solo una cognizione geografica) che non è altro che la prova tangibile di uno scarto inesorabile nell'evoluzione umana.
    Non è una somma di fenomeni isolati, ha una sorta di coerente potenza iconoclastica, nel senso di saper distruggere alla radice ogni minimo segno di giustizia annidato nel senso comune, perché cento euro, centomila euro, un milione di euro (ogni singolo euro) indicano la temperatura (i gradi) di una febbre inguaribile.
    Questa febbre (e non altro) che non è soltanto la sintomatica evidenza del sistema economico capitalista ma è anche la straordinaria (per me amarissima) consapevolezza che gli uomini non solo non stanno combattendo alcuna battaglia (magari con un alternarsi dialettico di vittorie e sconfitte) ma piroettano felici in una macabra danza della morte." (Fabrizio Trabona)
    Penso che sia superfluo aggiungere che la penso esattamente come lui.

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