È appena uscita l’edizione italiana della Petite écologie des études littéraires di Jean-Marie Schaeffer, che molto interesse ha suscitato nel dibattito culturale europeo sulla funzione della cultura umanistica: Piccola ecologia degli studi letterari. Come e perché studiare la letteratura?, trad. di Marina Cavarretta, Torino, Loescher (“QDR Didattica e Letteratura” n. 1), 2014.
Riprendiamo da http://www.leparoleelecose.it/ la premessa al volume seguita da uno scritto di Simone Giusti, docente e studioso di didattica della letteratura, co-direttore della collana “QDR”.
Piccola ecologia degli studi letterari
di Jean-Marie Schaeffer
Viviamo in un’epoca che ama piangersi
addosso. Il sottotitolo stesso della mia riflessione potrebbe far
pensare che anche io mi stia avventurando su questa strada: fare un
necrologio degli studi letterari e del loro oggetto – la letteratura –
condannati come sono a periclitare in un mondo che, per come ci viene
raccontato, diventa progressivamente più ostile alla cultura e alla
letteratura in particolare.
Questo genere di lamento in realtà non è
solo della nostra epoca: fa parte degli esercizi obbligati dei nostri
Studi Umanistici da molti lustri. Tuttavia il fatto che si tratti di una
figura ricorrente non la dequalifica in quanto tale. Il ventesimo
secolo europeo ha conosciuto almeno due regimi politici, il nazismo e il
comunismo, che si sono tradotti in un morbo culturale letale. Ma queste
due forme di regime totalitario non hanno niente a che vedere con le
attuali società occidentali, e questo dovrebbe immediatamente metterci
in guardia quando attribuiamo ad esse gli stessi misfatti. Siamo davvero
in grado di riconoscere nelle nostre società il germe di questa
malattia? Non credo. I percorsi attuali della cultura umanista non sono
più (solamente) quelli dell’educazione classica. Sono venute alla luce
altre forme, che meritano lo stesso credito e la stessa attenzione di
quelle antiche, senza che una debba per questo escludere l’altra.
Non c’è nulla poi a indicare che
l’avvenire della letteratura sia minacciato, anche se la posizione
relativa che ricopre all’interno della vita culturale non è più la
stessa da molte generazioni.
Questo si deve al fatto che altri
supporti, come il cinema, svolgono ormai una parte delle sue precedenti
funzioni sociali. Non si sono tuttavia mai lette tante opere letterarie
quanto ai giorni nostri e niente fa pensare che i lettori contemporanei
siano meno esigenti e sensibili rispetto ai lettori del passato. Perché
allora stiamo prendendo atto di questo stato di crisi? La mia ipotesi è
che la presunta crisi della letteratura nasconda una crisi reale, ovvero
quella della nostra rappresentazione intellettuale della «Letteratura»
(vedremo come la parola stessa rappresenti il nucleo del problema). Se
davvero di crisi si deve parlare, si tratta di una crisi degli studi
letterari. Una triplice crisi a dire il vero, che coinvolge allo stesso
tempo la trasmissione dei valori letterari, lo studio cognitivo delle
attività letterarie e la formazione degli studenti in letteratura.
Sarebbe più corretto dire che si tratta di un nuovo inizio di crisi,
poiché gli studi letterari hanno la strana peculiarità di presentare un
profilo storico ciclotimico, che ricorda la sindrome maniaco-depressiva:
periodi di esaltazione cognitiva immotivata, alternati a periodi di
pessimismo scettico altrettanto ingiustificato. Questa costante
oscillazione tra i due estremi ci impedisce di misurare gli importanti
progressi della conoscenza dei fatti letterari, soprattutto a partire
dagli inizi del XIX secolo. Questi progressi non derivano unicamente da
un accumulo di nuovi saperi di erudizione (che in sé non sarebbe un
male), ma anche da un approfondimento della nostra conoscenza. Possiamo
facilmente capire rispetto ai nostri predecessori l’importanza della
creatività verbale – e di conseguenza anche quella della letteratura,
che non è altro che uno degli aspetti di questa creatività – nella vita
degli uomini e delle società.
A partire da questa duplice
constatazione, e adottando un punto di vista indubbiamente più
filosofico che letterario, questa piccola opera si propone un doppio
fine: recuperare le radici del carattere storicamente ricorrente della
crisi degli studi letterari, ma arrivare anche a dimostrare come il
pessimismo cognitivo, al quale sembra tendere questa situazione, non sia
assolutamente giustificato. Si tratta evidentemente di due imprese che
non possiamo pretendere di esaurire in poche pagine, spero tuttavia di
riuscire a far percepire al lettore l’importanza reale del loro valore
che va al di là del problema del destino degli studi letterari. Se
saremo disposti ad ammettere che quello che s’intende per “Letteratura”,
al giorno d’oggi, costituisce, sotto diversi aspetti, una realtà
importante della vita di tutti gli uomini e di tutte le società umane,
allora il destino degli studi letterari assumerà un’enorme importanza
per tutto il campo delle scienze umane e sociali; e una migliore
comprensione dei fatti letterari non potrà che contribuire alla
conoscenza di quello che siamo e di quello che possiamo essere.
***
L’ecologia letteraria di Jean-Marie Schaeffer
di Simone Giusti
Negli ultimi anni, a partire dalla pubblicazione del pamphlet La letteratura in pericolo
di Tzvetan Todorov (Flammarion 2007, ed. it. Garzanti 2008), si è
sviluppato in Europa e negli Stati Uniti un dibattito sul ruolo della
letteratura nella vita delle persone e, quindi, sul suo insegnamento
nella scuola secondaria e nell’università. Mosso da una passione tutta
personale per i libri e la letteratura, Todorov metteva alla berlina una
concezione formalista della letteratura, giudicata riduttiva,
solipsista e, in estrema sintesi, impoverita, e cercava di promuovere
una riflessione sulla funzione cognitiva della lettura delle opere, da
considerarsi come una fondamentale chiave di accesso alla conoscenza
della condizione umana. “Essendo oggetto della letteratura la stessa
condizione umana, – si legge nel capitolo conclusivo – chi la legge e la
comprende non diventerà un esperto di analisi letteraria ma un
conoscitore dell’essere umano”.
Dopo Todorov, si sono cimentati in
questo nuovo genere saggistico definito da Isabella Mattazzi “trattato
in difesa degli studi letterari”, Antoine Compagnon, Vincent Jouve,
Martha Nussbaum e, nel 2010, Yves Citton, che nel suo Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici?
(ed. it. :duepunti edizioni 2012) propone una revisione radicale del
concetto di sapere in cui l’attività interpretativa trova un posto
centrale e un ruolo politico fondamentale per la costruzione di nuove
visioni del mondo e, soprattutto, di narrazioni condivise in grado dare
un senso ai futuri possibili.
Il saggio Petite écologie des études littéraires. Pourquoi et comment étudier la littérature?
di Jean-Marie Schaffer (Marchaisse 2011, ed. it. Loescher 2014), frutto
della rielaborazione di una conferenza del 2005, occupa un posto di
rilievo in questo filone di studi, all’interno del quale si distingue
per il suo approccio eminentemente filosofico e per la sua immediata
utilità nell’ambito della didattica della letteratura.
Convinto, come Todorov, che l’avvenire
della letteratura non sia minacciato poiché “non c’è mai stato un numero
così grande di uomini in grado di leggere e scrivere”, e che la crisi
della letteratura sia in realtà una crisi degli studi letterari,
Schaeffer fornisce un valido fondamento teorico alla sostituzione di
pratiche didattiche basate sul commento ai testi e sulla scrittura di
temi o dissertazioni con pratiche didattiche fondate sull’attivazione dei testi.
Si legge in Piccola ecologia degli studi letterari. Come e perché studiare la letteratura?, traduzione di Marina Cavarretta, Torino, Loescher (“QDR Didattica e Letteratura” n. 1), 2014, pp. 22-23:
“Riconosco che esistono dei problemi
specifici nell’insegnamento letterario. Come non interrogarsi sul ruolo
del metodo analitico negli istituti della scuola secondaria? Esiste
innanzitutto un problema di metodo. Per poter maneggiare con efficacia, e
quindi in maniera creativa, gli strumenti dell’analisi strutturale – o
di qualsiasi altra analisi tecnica –, bisogna avere già acquisito una
grande esperienza di lettura letteraria. Non è evidentemente il caso
degli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Si pone
poi, più profondamente, un problema che riguarda il fine
dell’insegnamento della letteratura al livello primario e secondario:
conviene insegnare la conoscenza della letteratura, o è più importante
attivare prima di qualsiasi altra cosa la scrittura «letteraria», come
particolare tipo di accesso alla realtà? I programmi scolastici hanno
scelto la prima strada, ed è davvero un peccato, perché le opere
letterarie, sotto qualsiasi forma esse si presentino, sono uno
stupefacente mezzo di sviluppo cognitivo, emotivo ed etico; esse ci
mostrano i loro prodigi fin dal momento della lettura in comune, se ci
riflettiamo con attenzione. Promuovere la lettura, e arricchirla,
dovrebbe essere uno degli scopi principali di un corso di letteratura
che si rivolga ad adolescenti, ovvero a individui impegnati a costruire
la loro identità. L’altro fine, fondamentale a tutti gli effetti,
dovrebbe essere la conoscenza attiva dell’arte letteraria e più
in generale dell’arte di scrivere. Infatti la pratica di un’arte non
permette solamente di comprendere meglio il suo funzionamento, ma anche
di penetrarvi in profondità. Allo stesso modo, la pratica della
scrittura poetica aiuta incontestabilmente a sviluppare una maggiore
sensibilità per la poesia e per le sue ricchezze. Ci aiuta a sviluppare
un tipo di attenzione multifocale – o «polifonica», per riprendere un
termine di Roman Ingarden – indispensabile per poter accedere alla
complessità cognitiva ed emotiva della poesia. Il caso dell’arte del
racconto è ancora più evidente. Sviluppare la nostra capacità di
raccontarci equivale a coltivare una risorsa cognitiva indispensabile a
ogni essere umano, dal momento che la nostra identità personale si
costruisce per la maggior parte sotto forma di configurazione
narrativa.”
Nessun commento:
Posta un commento