18 novembre 2014

A COSA SERVE LA LETTERATURA?


     È appena uscita l’edizione italiana della Petite écologie des études littéraires di Jean-Marie Schaeffer, che molto interesse ha suscitato nel dibattito culturale europeo sulla funzione della cultura umanistica: Piccola ecologia degli studi letterari. Come e perché studiare la letteratura?, trad. di Marina Cavarretta, Torino, Loescher (“QDR Didattica e Letteratura” n. 1), 2014.      

      Riprendiamo da  http://www.leparoleelecose.it/ la premessa al volume seguita da uno scritto di Simone Giusti, docente e studioso di didattica della letteratura, co-direttore della collana “QDR”.

 Piccola ecologia degli studi letterari


di Jean-Marie Schaeffer

Viviamo in un’epoca che ama piangersi addosso. Il sottotitolo stesso della mia riflessione potrebbe far pensare che anche io mi stia avventurando su questa strada: fare un necrologio degli studi letterari e del loro oggetto – la letteratura – condannati come sono a periclitare in un mondo che, per come ci viene raccontato, diventa progressivamente più ostile alla cultura e alla letteratura in particolare.
Questo genere di lamento in realtà non è solo della nostra epoca: fa parte degli esercizi obbligati dei nostri Studi Umanistici da molti lustri. Tuttavia il fatto che si tratti di una figura ricorrente non la dequalifica in quanto tale. Il ventesimo secolo europeo ha conosciuto almeno due regimi politici, il nazismo e il comunismo, che si sono tradotti in un morbo culturale letale. Ma queste due forme di regime totalitario non hanno niente a che vedere con le attuali società occidentali, e questo dovrebbe immediatamente metterci in guardia quando attribuiamo ad esse gli stessi misfatti. Siamo davvero in grado di riconoscere nelle nostre società il germe di questa malattia? Non credo. I percorsi attuali della cultura umanista non sono più (solamente) quelli dell’educazione classica. Sono venute alla luce altre forme, che meritano lo stesso credito e la stessa attenzione di quelle antiche, senza che una debba per questo escludere l’altra.
Non c’è nulla poi a indicare che l’avvenire della letteratura sia minacciato, anche se la posizione relativa che ricopre all’interno della vita culturale non è più la stessa da molte generazioni.
Questo si deve al fatto che altri supporti, come il cinema, svolgono ormai una parte delle sue precedenti funzioni sociali. Non si sono tuttavia mai lette tante opere letterarie quanto ai giorni nostri e niente fa pensare che i lettori contemporanei siano meno esigenti e sensibili rispetto ai lettori del passato. Perché allora stiamo prendendo atto di questo stato di crisi? La mia ipotesi è che la presunta crisi della letteratura nasconda una crisi reale, ovvero quella della nostra rappresentazione intellettuale della «Letteratura» (vedremo come la parola stessa rappresenti il nucleo del problema). Se davvero di crisi si deve parlare, si tratta di una crisi degli studi letterari. Una triplice crisi a dire il vero, che coinvolge allo stesso tempo la trasmissione dei valori letterari, lo studio cognitivo delle attività letterarie e la formazione degli studenti in letteratura. Sarebbe più corretto dire che si tratta di un nuovo inizio di crisi, poiché gli studi letterari hanno la strana peculiarità di presentare un profilo storico ciclotimico, che ricorda la sindrome maniaco-depressiva: periodi di esaltazione cognitiva immotivata, alternati a periodi di pessimismo scettico altrettanto ingiustificato. Questa costante oscillazione tra i due estremi ci impedisce di misurare gli importanti progressi della conoscenza dei fatti letterari, soprattutto a partire dagli inizi del XIX secolo. Questi progressi non derivano unicamente da un accumulo di nuovi saperi di erudizione (che in sé non sarebbe un male), ma anche da un approfondimento della nostra conoscenza. Possiamo facilmente capire rispetto ai nostri predecessori l’importanza della creatività verbale – e di conseguenza anche quella della letteratura, che non è altro che uno degli aspetti di questa creatività – nella vita degli uomini e delle società.
A partire da questa duplice constatazione, e adottando un punto di vista indubbiamente più filosofico che letterario, questa piccola opera si propone un doppio fine: recuperare le radici del carattere storicamente ricorrente della crisi degli studi letterari, ma arrivare anche a dimostrare come il pessimismo cognitivo, al quale sembra tendere questa situazione, non sia assolutamente giustificato. Si tratta evidentemente di due imprese che non possiamo pretendere di esaurire in poche pagine, spero tuttavia di riuscire a far percepire al lettore l’importanza reale del loro valore che va al di là del problema del destino degli studi letterari. Se saremo disposti ad ammettere che quello che s’intende per “Letteratura”, al giorno d’oggi, costituisce, sotto diversi aspetti, una realtà importante della vita di tutti gli uomini e di tutte le società umane, allora il destino degli studi letterari assumerà un’enorme importanza per tutto il campo delle scienze umane e sociali; e una migliore comprensione dei fatti letterari non potrà che contribuire alla conoscenza di quello che siamo e di quello che possiamo essere.
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L’ecologia letteraria di Jean-Marie Schaeffer
di Simone Giusti

Negli ultimi anni, a partire dalla pubblicazione del pamphlet La letteratura in pericolo di Tzvetan Todorov (Flammarion 2007, ed. it. Garzanti 2008), si è sviluppato in Europa e negli Stati Uniti un dibattito sul ruolo della letteratura nella vita delle persone e, quindi, sul suo insegnamento nella scuola secondaria e nell’università. Mosso da una passione tutta personale per i libri e la letteratura, Todorov metteva alla berlina una concezione formalista della letteratura, giudicata riduttiva, solipsista e, in estrema sintesi, impoverita, e cercava di promuovere una riflessione sulla funzione cognitiva della lettura delle opere, da considerarsi come una fondamentale chiave di accesso alla conoscenza della condizione umana. “Essendo oggetto della letteratura la stessa condizione umana, – si legge nel capitolo conclusivo – chi la legge e la comprende non diventerà un esperto di analisi letteraria ma un conoscitore dell’essere umano”.
Dopo Todorov, si sono cimentati in questo nuovo genere saggistico definito da Isabella Mattazzi “trattato in difesa degli studi letterari”, Antoine Compagnon, Vincent Jouve, Martha Nussbaum e, nel 2010, Yves Citton, che nel suo Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici? (ed. it. :duepunti edizioni 2012) propone una revisione radicale del concetto di sapere in cui l’attività interpretativa trova un posto centrale e un ruolo politico fondamentale per la costruzione di nuove visioni del mondo e, soprattutto, di narrazioni condivise in grado dare un senso ai futuri possibili.
Il saggio Petite écologie des études littéraires. Pourquoi et comment étudier la littérature? di Jean-Marie Schaffer (Marchaisse 2011, ed. it. Loescher 2014), frutto della rielaborazione di una conferenza del 2005, occupa un posto di rilievo in questo filone di studi, all’interno del quale si distingue per il suo approccio eminentemente filosofico e per la sua immediata utilità nell’ambito della didattica della letteratura.
Convinto, come Todorov, che l’avvenire della letteratura non sia minacciato poiché “non c’è mai stato un numero così grande di uomini in grado di leggere e scrivere”, e che la crisi della letteratura sia in realtà una crisi degli studi letterari, Schaeffer fornisce un valido fondamento teorico alla sostituzione di pratiche didattiche basate sul commento ai testi e sulla scrittura di temi o dissertazioni con pratiche didattiche fondate sull’attivazione dei testi.
Si legge in Piccola ecologia degli studi letterari. Come e perché studiare la letteratura?, traduzione di Marina Cavarretta, Torino, Loescher (“QDR Didattica e Letteratura” n. 1), 2014, pp. 22-23:
“Riconosco che esistono dei problemi specifici nell’insegnamento letterario. Come non interrogarsi sul ruolo del metodo analitico negli istituti della scuola secondaria? Esiste innanzitutto un problema di metodo. Per poter maneggiare con efficacia, e quindi in maniera creativa, gli strumenti dell’analisi strutturale – o di qualsiasi altra analisi tecnica –, bisogna avere già acquisito una grande esperienza di lettura letteraria. Non è evidentemente il caso degli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Si pone poi, più profondamente, un problema che riguarda il fine dell’insegnamento della letteratura al livello primario e secondario: conviene insegnare la conoscenza della letteratura, o è più importante attivare prima di qualsiasi altra cosa la scrittura «letteraria», come particolare tipo di accesso alla realtà? I programmi scolastici hanno scelto la prima strada, ed è davvero un peccato, perché le opere letterarie, sotto qualsiasi forma esse si presentino, sono uno stupefacente mezzo di sviluppo cognitivo, emotivo ed etico; esse ci mostrano i loro prodigi fin dal momento della lettura in comune, se ci riflettiamo con attenzione. Promuovere la lettura, e arricchirla, dovrebbe essere uno degli scopi principali di un corso di letteratura che si rivolga ad adolescenti, ovvero a individui impegnati a costruire la loro identità. L’altro fine, fondamentale a tutti gli effetti, dovrebbe essere la conoscenza attiva dell’arte letteraria e più in generale dell’arte di scrivere. Infatti la pratica di un’arte non permette solamente di comprendere meglio il suo funzionamento, ma anche di penetrarvi in profondità. Allo stesso modo, la pratica della scrittura poetica aiuta incontestabilmente a sviluppare una maggiore sensibilità per la poesia e per le sue ricchezze. Ci aiuta a sviluppare un tipo di attenzione multifocale – o «polifonica», per riprendere un termine di Roman Ingarden – indispensabile per poter accedere alla complessità cognitiva ed emotiva della poesia. Il caso dell’arte del racconto è ancora più evidente. Sviluppare la nostra capacità di raccontarci equivale a coltivare una risorsa cognitiva indispensabile a ogni essere umano, dal momento che la nostra identità personale si costruisce per la maggior parte sotto forma di configurazione narrativa.”


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