Emil Cioran: meditazioni “Sulla Francia”
Come ricorda Cioran, la Francia può considerarsi il regno apollineo del limite, della raison illuministica, ed è campionessa insuperabile di raffinatezza formale; per contro, è incapace di esprimere i toni tragici e sublimi tipici del dramma shakespeariano e del romanticismo tedesco.
Cioran non parla soltanto di letteratura o filosofia, ma si dimostra, più in generale, un acuto osservatore della civiltà francese nel suo complesso, denunciandone la decadenza politica e antropologica, paradigmatica del funesto destino dell’intero Occidente: «La Francia servirà […] da modello alle grandi nazioni moderne; mostrerà loro dove vanno e dove finiranno, tempererà i loro entusiasmi. Giacché la Francia prefigura il destino degli altri paesi. È arrivata più rapidamente alla fine, perché si è spesa molto, e da molto tempo ormai». Ci sono anche intuizioni profetiche, come questo oroscopo davvero folgorante (stiamo parlando di uno scritto del 1941!) che sembra perfettamente attagliarsi alla nostra post-modernità: «L’avvenire spirituale del continente sarà composto da un miscuglio di universalismo e scetticismo. L’impero dissolve le ideologie.Al loro posto appariranno dubbi infinitamente raffinati».
Cioran vede, dunque, nella Francia l’avanguardia dello spengleriano tramonto dell’Occidente e, da conoscitore e sperimentatore di tramonti quale egli è, non può non subirne il fascino, tant’è che finisce addirittura per rispecchiarsi in essa: «Capisco bene la Francia attraverso tutto ciò che c’è di marcio in me». Come si vede, in questo libro, è impossibile distinguere nettamente l’autore dal soggetto trattato. Ciò emerge con chiarezza fin dall’incipit, in cui Cioran indica nella sua fatale inclinazione alla noia la scintilla che ha innescato la sua passione per questa nazione: «Non credo che avrei a cuore i francesi se non si fossero così annoiati nel corso della loro storia».
Per l’autore romeno confrontarsi con la Francia significa, in primo luogo, iniziare ad appropriarsi di una lingua che avrebbe poi padroneggiato in modo magistrale nei suoi scritti. L’opzione per il francese fu, per Cioran, anche una sorta di antidoto contro i deliri ideologici e le oltranze romantiche della sua gioventù. Quando afferma che occorre rivolgersi alla Francia «per correggere le estremità del nostro cuore e del nostro pensiero, come una scuola del limite, del buon senso e del buon gusto», Cioran sta chiaramente parlando anche, e innanzitutto, di se stesso.
È l’inizio di un percorso tormentato che porterà l’autore a fare i conti con gli abbagli politici della propria giovinezza (si pensi, ad esempio, alla controversa, e in parte ripudiata dall’autore stesso, Trasfigurazione della Romania, pubblicata cinque anni prima della stesura di Sulla Francia), per poi approdare alla smagliante eleganza della prosa del Précis de décomposition (1949), la prima e la più importante delle sue opere francesi. Nel frattempo, come sappiamo, Cioran deciderà di rimanere in Francia ben oltre la durata della sua borsa di studio, per stabilirvisi definitivamente. A testimonianza del forte legame con un Paese che, a suo modo, Cioran amò, e a cui, già in questo scritto, riconobbe una riserva di vitalità tale da resistere a ogni futura crisi: «Quando l’Europa sarà avvolta dalle ombre, la Francia rappresenterà la sua tomba più viva».
Articolo pubblicato sabato, 29 novembre 2014, su http://www.minimaetmoralia.it/
Precedentemente su “Alias/ il manifesto”. (Fonte immagine)
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