14 novembre 2014

ALLA RICERCA DEL PRINCIPIO DELLA FINE...








Ancora alla fine degli anni Quaranta c'erano soldati italiani prigionieri nei lager russi. Una pagina quasi dimenticata oggi, ma utilizzatissima nella politica di allora con una DC che se ne fece un cavallo di battaglia e un PCI che negava anche l'evidenza.
Il principio della fine del PCI comincia allora...
 
Antonio Carioti
Soldati italiani in mano a Stalin

Volti esausti, da cui traspare uno sconsolato fatalismo: i soldati italiani fotografati dopo la cattura da parte dei sovietici, nell’inverno 1942-43, sono consapevoli di avere davanti a sé giorni durissimi. E infatti il tasso di mortalità nelle loro file sarà spaventoso, più elevato di quello dei tedeschi. Le immagini qui pubblicate, insieme a molte altre, arricchiscono la nuova edizione del libro I prigionieri italiani in Russia (il Mulino, pp. 495, e 29), frutto di una minuziosa ricerca condotta da Maria Teresa Giusti negli archivi di Mosca e di Roma. Ma l’apparato iconografico non è certo l’unica parte nella quale il volume, in libreria da oggi, si presenta ampliato e approfondito rispetto alla prima versione, edita nel 2003.

In questi anni Maria Teresa Giusti ha infatti proseguito il suo lavoro di scavo, con risultati importanti. Per esempio ha scoperto una direttiva, firmata dallo stesso Stalin nel giugno 1945, contenente ordini dettagliati per lo sfruttamento dei prigionieri come manodopera coatta. Le indicazioni dall’alto però cozzarono spesso con la disorganizzazione delle strutture che avrebbero dovuto applicarle, a partire dai campi di detenzione: qui, soprattutto all’inizio, regnavano la negligenza e il caos, con effetti disastrosi. Lo stesso apparato repressivo sovietico, il famigerato Nkvd, intervenne per migliorare le condizioni dei militari reclusi, che morivano come mosche, ma spesso le disposizioni rimasero sulla carta.

Di notevole interesse anche le novità sui prigionieri italiani a cui vennero addebitati crimini di guerra. Da documenti sovietici risulta che alcuni di loro non avevano compiuto affatto atrocità ed erano colpevoli soltanto di comportarsi da fascisti convinti. Comunque vennero trattenuti dal Cremlino dopo la fine della guerra, insieme al personale diplomatico della repubblica di Salò catturato dall’Armata rossa in Romania e Bulgaria, per essere usati come ostaggi, merce di scambio. E il nostro governo dovette piegarsi: con un accordo del 1949 ottenne il loro rimpatrio, ma dietro la consegna dei cittadini sovietici, donne e bambini inclusi, che si erano rifugiati nel nostro Paese anche prima della guerra, la cui sorte successiva si può facilmente immaginare.

C’è poi un’altra vicenda che Maria Teresa Giusti sottrae all’oblio: quella dei militari italiani catturati e internati dai tedeschi dopo l’8 settembre, i cosiddetti Imi, che caddero nel 1944 in mano sovietica e furono trattati, in modo del tutto arbitrario, come prigionieri di guerra, anche se avevano rifiutato di arruolarsi nella Rsi, nonostante l’Italia del Regno del Sud fosse ormai Paese cobelligerante al fianco degli Alleati. Così circa 1.300 Imi, sopravvissuti ai lager di Hitler, perirono in quelli di Stalin.

Il Corriere della sera - 13 novembre 2014

1 commento:

  1. Fa rabbia pensare che Antonio Gramsci fin dal 1926 aveva intuito la fine che avrebbe fatto l'URSS guidata da Stalin. Ma, come si sa, il suo allarme rimase inascoltato...

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